Turchia e Siria protagoniste, Israele osserva. E Trump muove i fili

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di Davide Cucciati
La visita del presidente siriano Ahmad al-Sharaa alla Casa Bianca e il vertice trilaterale tra il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani, il ministro turco Hakan Fidan e il Segretario di Stato americano Marco Rubio dimostrano che l’intreccio tra Siria, Israele, Stati Uniti, Turchia e Gaza sta ridisegnando le geometrie del Medio Oriente post-2023.

 

Nella settimana appena scorsa, Siria e Turchia hanno rimarcato il loro ruolo da protagonisti nello scenario mediorientale. Infatti, il presidente siriano Ahmad al-Sharaa, in un’intervista pubblicata martedì da The Washington Post, ha chiarito i termini della possibile intesa con Israele: “Un accordo di sicurezza sarà possibile solo se Israele tornerà entro i confini precedenti all’8 dicembre 2024” ha dichiarato al-Sharaa, riferendosi al giorno in cui le forze israeliane hanno occupato la cosiddetta “zona cuscinetto” in Siria in seguito al crollo del regime di Assad.

Secondo Ynet del 12 novembre, al-Sharaa ha accusato Israele di aver compiuto oltre 1.000 raid aerei in Siria dal dicembre scorso, colpendo anche il palazzo presidenziale e il ministero della Difesa: “La nostra risposta è stata contenuta perché ci stiamo concentrando sulla ricostruzione.” Il leader siriano ha inoltre rivendicato l’espulsione delle milizie iraniane e di Hezbollah, rovesciando le narrazioni israeliane: “Israele ha sempre sostenuto di temere l’Iran e Hezbollah ma siamo stati noi a rimuoverli. Ora Israele impone condizioni per difendere il Golan, domani lo farà per difendere il sud, e poi magari il centro della Siria. Di questo passo arriveranno a Monaco.”

Lunedì 10 novembre, al-Sharaa ha incontrato il presidente Donald Trump alla Casa Bianca. Il tycoon statunitense si è espresso senza mezzi termini: “Mi fido di lui. Il suo passato è problematico ma chi non ne ha uno? Sta collaborando bene con Erdogan. Vogliamo che la Siria abbia successo e che trovi un’intesa con Israele. Sta andando tutto molto bene.” Al-Sharaa, intervistato in seguito da Fox News, ha però messo in chiaro che la Siria non è pronta ad aderire agli Accordi di Abramo, almeno per ora: “Siamo in una situazione diversa rispetto agli altri paesi. Condividiamo un confine diretto con Israele e il Golan è occupato dal 1967. Non inizieremo negoziati diretti per aderire agli Accordi ma, forse, con la mediazione americana, ci arriveremo.”

Lo stesso giorno si è svolto a Washington anche un vertice trilaterale tra il ministro degli Esteri siriano Asaad al-Shaibani, il ministro turco Hakan Fidan e il Segretario di Stato americano Marco Rubio, su istruzioni dirette di Trump. Obiettivo: “monitorare gli accordi già raggiunti tra il presidente siriano e Trump” e definire le modalità operative. Tra i punti discussi figura un elemento altamente simbolico: l’integrazione della forza a guida curda SDF (Syrian Democratic Forces) all’interno dell’esercito siriano. Una scelta che segnalerebbe la volontà di chiudere la frattura tra Damasco e le forze curde filo-occidentali, con l’approvazione di Washington e l’interesse di Ankara.

Come precisato da Ynet, martedì, a Damasco, Fidan ha poi avuto un meeting con il presidente siriano. In una dichiarazione ufficiale ha rimarcato la visione turca per la stabilità e l’unità della Siria. Il vicepresidente USA J.D. Vance, l’inviato Steve Witkoff e l’inviato speciale per la Siria Thomas Barrack hanno preso parte alla riunione, segno di un forte coinvolgimento statunitense. In un incontro separato, Fidan ha discusso con Witkoff e Barrack anche la situazione a Gaza e le difficoltà nel raggiungimento di una tregua sostenibile. Erdogan sarebbe stato informato dei contenuti e avrebbe elogiato “l’approccio equilibrato” di Trump sulla Siria.

Tuttavia, secondo Al-Akhbar del 12 novembre, giornale vicino a Hezbollah, l’Egitto si opporrebbe alla partecipazione turca nella futura forza internazionale da dispiegare a Gaza, proponendo invece ad Ankara un ruolo più centrale nella ricostruzione post-bellica. A tal proposito, Reuters evidenzia che il ministro Fidan incontrerà nei prossimi giorni il collega egiziano Badr Abdelatty ad Ankara per discutere di Gaza, della ricostruzione e della controversa forza multinazionale, mentre proseguono i contatti anche con Arabia Saudita, Qatar, Giordania, Pakistan, Emirati e Indonesia.

L’intreccio tra Siria, Israele, Stati Uniti, Turchia e Gaza sta ridisegnando le geometrie del Medio Oriente post-2023. Con l’ombra lunga del Golan, l’ambiguità strategica turca e l’attivismo diplomatico di un Trump di ritorno sulla scena, la partita è appena iniziata. Il 16 novembre, su Israel Hayom, il Prof. Eyal Zisser dell’Università di Tel Aviv ha chiosato: “Il governo israeliano è tenuto a formulare una politica sulla questione siriana, cosa che non ha fatto finora. E in assenza di una politica israeliana, è Trump a decidere per noi, il mese scorso riguardo a Gaza e ora anche riguardo alla Siria.”