di Nina Deutsch
I sondaggi lo danno in vantaggio e, se dovesse vincere, diventerebbe il primo sindaco musulmano della metropoli e – dettaglio non trascurabile – un ex rapper che in passato si esibiva con il nome d’arte Young Cardamom con seguito soprattutto tra i giovani. Una svolta per la sinistra americana, ma anche una fonte di profonda inquietudine per molti ebrei newyorkesi.
Oggi la città che non dorme mai trattiene il respiro. Le urne si aprono per scegliere il nuovo sindaco di New York City, e l’atmosfera è elettrica come non mai. Tra i grattacieli di Manhattan e i quartieri storici del Bronx, si intrecciano speranze, tensioni e identità in gioco. Ma è soprattutto il mondo ebraico, da Brooklyn a Queens, a vivere queste ore con un’intensità palpabile: dibattiti accesi nelle sinagoghe, chat sui social e un fermento che travalica i confini della comunità.
Il giorno della scelta del sindaco di New York
Con oltre 8,5 milioni di abitanti – circa 25 milioni considerando l’area metropolitana – New York resta la città più popolosa e simbolica degli Stati Uniti. Oggi è anche il palcoscenico di una sfida politica che ha acceso i riflettori del mondo: Zohran Mamdani, 34 anni, esponente dei Democratic Socialists of America, contro Andrew Cuomo, 67 anni, ex governatore, oggi candidato indipendente di orientamento moderato che – come riferisce Il Sole 24 Ore – ha paragonato il rivale «ai regimi di Venezuela e Cuba».
Curtis Sliwa, 71 anni, attivista outsider del Partito repubblicano – noto per essere il fondatore e l’amministratore delegato dei Guardian Angels, un’organizzazione senza scopo di lucro per la prevenzione del crimine – risulta terzo, a grande distanza dai due candidati principali. I sondaggi lo collocano tra il 13% e il 16%, rendendo improbabile una vittoria.
I sondaggi danno Mamdani in vantaggio e, se dovesse vincere, diventerebbe il primo sindaco musulmano della metropoli e – dettaglio non trascurabile – un ex rapper che in passato si esibiva con il nome d’arte Young Cardamom con seguito soprattutto tra i giovani. Una svolta per la sinistra americana, ma anche una fonte di profonda inquietudine per molti ebrei newyorkesi. Come riporta il Times of Israel, «questa non è una corsa come le altre: per la comunità ebraica, il voto su Mamdani è anche un referendum su Israele, sull’antisemitismo e sulla direzione politica della città».
Il mondo ebraico in fermento
Nessuna comunità ha seguito la campagna con tanta attenzione quanto quella ebraica. A Brooklyn, in quartieri come Borough Park e Flatbush, la partecipazione al voto anticipato è stata altissima: secondo il New York City Board of Elections, oltre 735.000 schede sono state depositate in tutta la città durante i nove giorni di early voting. Organizzazioni come la Flatbush Jewish Community Coalition hanno esortato i membri a «votare in massa per difendere i valori e la sicurezza della comunità». Sui social, rabbini, giornalisti e attivisti si confrontano apertamente. Come riassume un’analisi del Times of Israel, «per molti ebrei newyorkesi, il voto su Mamdani è anche un test sul rapporto con Israele e sull’identità politica della città».
Le ombre della polemica
L’ascesa di Zohran Mamdani non è stata priva di controversie e forti polemiche. Un’inchiesta pubblicata da India Today a fine ottobre 2025 ha riferito che la sua campagna avrebbe ricevuto donazioni da gruppi con presunti legami con il Council on American-Islamic Relations (CAIR), organizzazione che alcuni critici accusano di avere rapporti con Hamas. L’articolo precisa che non esistono prove dirette di tali collegamenti e che la campagna di Mamdani nega ogni irregolarità. La notizia, rilanciata sui social dall’attivista Linda Sarsour, ha suscitato un’ondata di reazioni contrastanti ed è oggetto di approfondimenti.
Il Forward ha poi segnalato il sostegno di Jeremy Corbyn – l’ex leader laburista britannico espulso per accuse di antisemitismo – come «benzina sul fuoco». Le accuse si sommano alle posizioni di Mamdani sul conflitto israelo-palestinese. In più occasioni, egli ha evitato di condannare apertamente Hamas e ha difeso il movimento Boycott, Divestment and Sanctions (BDS). In un’intervista al Times of Israel ha dichiarato che Israele non gli consentirebbe l’ingresso qualora fosse eletto sindaco, vista la sua linea critica verso il governo di Gerusalemme.
In questo contesto, la stampa israeliana – da Haaretz al Times of Israel – descrive la corsa di Mamdani come «una prova della tenuta del pluralismo ebraico americano» e, al tempo stesso, come un banco di prova delicato per i rapporti tra le comunità religiose della metropoli.
Le voci dei rabbini e la polarizzazione
Le settimane che hanno preceduto il voto sono state segnate da appelli pubblici e sermoni. Il rabbino Elliot Cosgrove, della Park Avenue Synagogue, ha dichiarato in un’intervista ad Haaretz che Mamdani rappresenta «una sfida morale e politica per la comunità ebraica di New York». Nelle strade di Crown Heights e Williamsburg, molti ebrei osservanti ammettono di sentirsi in allerta: «Un sindaco che non condanna chiaramente Hamas cambierebbe il clima in città», ha raccontato all’Associated Press un commerciante locale. La polarizzazione si riflette anche nelle scelte elettorali: mentre i progressisti ebrei tendono a sostenere Zohran Mamdani per le sue posizioni sociali – affitti calmierati, trasporto pubblico gratuito, lotta alla povertà – l’elettorato ortodosso si compatta dietro candidati più moderati o repubblicani.
Trump e la spinta conservatrice
A rafforzare le paure della comunità ebraica ortodossa è entrato in scena anche il presidente Donald Trump, che ha lanciato via social-media un appello diretto alla comunità ortodossa: «Ho bisogno che tutti i miei sostenitori nella comunità ortodossa di Lakewood, nel New Jersey – e delle città limitrofe – votino in grande numero», recita il post su Truth Social, specificando «compresi tutti gli studenti della yeshiva che si sono presentati a votare per me l’anno scorso». In breve, come riferisce il Jerusalem Post, Trump ha esortato gli elettori ebrei ortodossi di Lakewood a votare per il candidato repubblicano alla carica di governatore Jack Ciattarelli», segnalando un’esplicita mobilitazione della comunità ebraica a favore del candidato repubblicano.
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Le paure non riguardano solo la politica municipale: si estendono alla percezione di sicurezza della comunità ebraica non solo in una città importante come New York, ma anche di un’America che cambia rapidamente, e alla credibilità di un sindaco che dovrà affrontare problemi complessi di antisemitismo, relazione con Israele e dialogo inter-comunitario.
Un voto che vale più di un sindaco
A poche ore dalla chiusura dei seggi – alle 21:00 ora locale, le 3:00 del mattino in Italia – la tensione resta altissima. Non si tratta solo di scegliere un amministratore, ma di ridefinire l’identità di una città che per decenni ha rappresentato un crocevia di culture, fede e libertà. Come scrive Haaretz, «l’elezione di Mamdani non è solo una sfida politica, ma una prova del pluralismo ebraico americano».
Per molti ebrei newyorkesi, il voto di oggi è dunque un atto di identità: non solo su chi guiderà la città, ma su cosa significhi essere ebrei, progressisti o conservatori, in un’America in trasformazione. Domani, qualunque sarà l’esito, New York si risveglierà diversa. E con essa, forse, anche il volto dell’ebraismo americano.



