di Pietro Baragiola
Agli inizi d’ottobre l’organizzazione UK Lawyers for Israel (UKLFI) ha inviato una lettera a tutte le filiali britanniche dei colossi dell’industria dell’intrattenimento informandoli che aderire o sostenere il boicottaggio di Israele potrebbe costituire una violazione della legge del Regno Unito con serie ripercussioni economiche e legali.
Netflix, Disney, Amazon Studios, Apple e Warner Bros. Discovery sono solo alcune delle aziende che hanno ricevuto la missiva, insieme alle principali agenzie di talenti e ai sindacati del settore.
Questo episodio si inserisce in un contesto di crescente tensione dell’industria cinematografica, dopo che migliaia di professionisti hanno firmato l’appello di Film Workers for Palestine a “non proiettare film apparire o collaborare in alcun modo con istituzioni cinematografiche israeliane implicate nel genocidio e nell’apartheid del popolo palestinese”.
La lettera di UK Lawyers for Israel
Nella loro lettera, i membri dell’UKLFI sostengono che l’appello al boicottaggio, che oggi ha superato le 5000 firme includendo celebrità hollywoodiane come Joaquin Phoenix, Olivia Colman ed Emma Stone, viola palesemente l’Equality Act britannico che tutela i cittadini da discriminazioni fondate su razza, religione, nazionalità o etnia.
“Se l’industria televisiva o cinematografica britannica collude con atti contrari a questa legislazione, le organizzazioni stesse rischiano di violarla” spiega la lettera. “Può crearsi così un precedente pericoloso che perdona l’esclusione di individui o istituzioni sulla base della loro identità nazionale o religiosa.”
La lettera dell’UKLFI aggiunge che le eccezioni previste dalla Film Workers for Palestine, che invita al boicottaggio ma ammette eccezioni per alcuni gruppi come gli arabi israeliani, mostrano chiaramente come “la loro protesta si basa non solo su motivazioni politiche ma anche su elementi di nazionalità, religione ed etnia”.
“Anche i produttori, gli agenti e le società di management artistico potrebbero essere ritenuti responsabili se i propri dipendenti o rappresentati partecipano ad attività di boicottaggio” riporta la lettera. “Le violazioni deliberate dall’Equality Act sono altamente suscettibili di costituire un rischio di contenzioso e un evento soggetto a notifica assicurativa con la possibilità di invalidare le coperture. Inoltre, il rispetto della legge è spesso un requisito per accedere ai finanziamenti pubblici nel Regno Unito.”
Negli Stati Uniti un avvertimento analogo è stato lanciato dal Louis D. Brandeis Center for Human Rights Under Law che ha ricordato alle major hollywoodiane come qualsiasi forma di boicottaggio possa violare la legge federale e quelle di diversi stati americani.
Warner Bros. e Paramount rifiutano il boicottaggio
Su esempio della Paramount che lo scorso mese ha preso pubblicamente le distanze dal boicottaggio, la Warner Bros. Discovery ha rilasciato negli ultimi giorni un comunicato ufficiale in cui afferma che non sosterrà le proteste della Film Workers for Palestine.
“Warner Bros. Discovery si impegna a promuovere un ambiente inclusivo e rispettoso per dipendenti e collaboratori,” ha dichiarato la compagnia. “Le nostre politiche vietano ogni forma di discriminazione, inclusa quella basata su razza, religione o origine nazionale. Riteniamo che il boicottaggio delle istituzioni cinematografiche israeliane violi tali principi.”
Il dibattito continua a dividere il mondo del cinema, tra chi vede nel boicottaggio un atto di solidarietà politica e chi lo considera una forma di discriminazione. Intanto, le major sembrano orientate a difendere una linea comune: quella della neutralità legale e inclusione universale, per evitare che l’impegno politico si trasformi in una violazione delle leggi anti-discriminazione.