di Davide Servi
Martedì 21 ottobre, presso l’Aula Magna della Comunità Ebraica di Milano, si è tenuta la proiezione del documentario We Will Dance Again, diretto dal regista israeliano Yariv Mozer e vincitore dell’Outstanding Current Affairs Documentary ai News & Documentary Emmy Awards 2025.
L’iniziativa, promossa dall’Ambasciata d’Israele in Italia, dall’Associazione Setteottobre, dalla Comunità Ebraica di Milano e dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, ha riunito un pubblico selezionato per una serata di memoria, testimonianza e speranza.
A moderare l’incontro è stato Sergio Scalpelli, storico giornalista e moderatore, che al termine della proiezione ha dialogato con due dei sopravvissuti protagonisti della serata, Yuval Siman-Tov e Tamir Leshetz. Scalpelli ha aperto il dialogo con due domande essenziali: «Come siete tornati alla vita? E com’è Israele oggi, dopo la guerra più lunga della sua giovane storia?»
Fin dalle prime immagini, il film rivela la sua ambizione: un atto collettivo di memoria. Il documentario ricostruisce, quasi minuto per minuto, l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023 al Nova Music Festival (noto anche come Supernova Festival), un evento EDM nel deserto del Negev.
Quella mattina, centinaia di giovani che ballavano e accoglievano l’alba tra tende, musica e libertà sono stati travolti da un assalto improvviso dei terroristi di Hamas: solo tra i partecipanti del festival, 364 uomini e donne uccisi, decine presi in ostaggio, centinaia feriti o dispersi.
Attraverso filmati amatoriali, testimonianze dirette e sequenze reali dell’assalto, Mozer costruisce una narrazione che segue la progressione del caos: dal ritmo spensierato dell’alba ai primi razzi, dal panico collettivo alla fuga disperata, fino ai momenti di orrore puro.
Il documentario mostra in modo crudo — ma necessario — come i terroristi di Gaza abbiano sfondato la recinzione fra Israele e la Striscia in oltre sessanta punti diversi, intrappolando i civili in una morsa da più direzioni. Le strade d’uscita si trasformano in imbottigliamenti mortali, i campi in trappole senza via di scampo.
Tra le storie che emergono, quella di Osama, un beduino del Negev che, parlando arabo, ha cercato di difendere un gruppo di giovani rifugiatisi in un bunker. È stato catturato, torturato e ucciso dai terroristi.
E poi quella di Aner Shapira, ventenne israeliano che, durante l’assalto, ha afferrato più volte a mani nude le granate lanciate nel rifugio per rilanciarle all’esterno, salvando così decine di persone. Alla nona granata, esplosa prima che potesse scagliarla via, Shapira muore da eroe.
We Will Dance Again non è solo una cronaca documentaria: è un atto di resistenza morale e civile. Il titolo nasce dalla promessa dei sopravvissuti di tornare a danzare — non per dimenticare, ma per continuare a vivere. La danza diventa così simbolo di rinascita, comunità e libertà: un gesto che afferma la vita contro il trauma.
Durante il dibattito, Yuval Siman-Tov ha raccontato che il viaggio per tornare alla vita «è iniziato due anni fa e probabilmente durerà per sempre». L’aiuto reciproco con Tamir, ha spiegato, è stato essenziale: «La cosa che ha aiutato me e Tamir è sapere che abbiamo l’uno l’altro. Prima del 7 ottobre avevo fondato un’associazione che sostiene gli anziani sotto la soglia di povertà, e ho capito che aiutare gli altri è, in fondo, un modo per aiutare sé stessi».
«So che avete letto i giornali e visto le foto, ma quando vedete il film e noi qui davanti a voi è come se toccaste la realtà», ha aggiunto Yuval, racchiudendo in poche parole il senso profondo della testimonianza: non basta sapere, bisogna incontrare.
Tamir Leshetz ha sottolineato che andare avanti è una scelta quotidiana, «una decisione di stare nel bene», e ciò che li ha salvati è stato proprio «sapere di avere l’uno l’altro». L’amicizia, dice, è diventata «una porta aperta, uno spazio sicuro dove poter dire tutto».
Scalpelli ha ricordato l’importanza di portare queste voci anche nelle scuole e nelle università italiane, perché solo l’incontro con i testimoni può restituire verità a un dolore che rischia di essere travisato o dimenticato.
In sala, l’emozione era palpabile. Più che una semplice proiezione, la serata è stata un momento collettivo di sospensione e consapevolezza: un invito a guardare, ascoltare e ricordare — perché si possa, insieme, danzare ancora.