Documenti rivelano un’alleanza segreta tra Israele e gli Stati arabi

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di Sofia Tranchina
Dietro la condanna pubblica della guerra a Gaza, i governi del Medio Oriente stanno costruendo con Tel Aviv un’inedita architettura di sicurezza regionale. Radar condivisi, intelligence integrata e addestramenti comuni raccontano di un’alleanza silenziosa che potrebbe cambiare per sempre gli equilibri del Medio Oriente. (navi militari israeliani e statunitensi durante un’esercitazione congiunta nel Golfo di Aqaba.   Comando Centrale delle Forze Navali degli Stati Uniti / Archivio Media CENTCOM). 

 

Nuovi documenti militari statunitensi trapelati hanno rivelato uno dei segreti di Pulcinella della regione: un gruppo di governi arabi sta costruendo, lontano dai riflettori, un’architettura di sicurezza condivisa con Israele. La coalizione – conosciuta come Regional Security Construct – riunisce Israele, Qatar, Bahrein, Egitto, Giordania, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in un progetto che potrebbe ridefinire gli equilibri geopolitici del Medio Oriente.

Le carte, verificate dal Washington Post e dall’International Consortium of Investigative Journalists, descrivono Teheran e le sue milizie come un “Asse del Male” e mostrano come questi Paesi abbiano trascorso gli ultimi tre anni a collegare i loro sistemi radar, coordinare le difese aeree, condividere intelligence e persino partecipare ad addestramenti guidati da Israele per neutralizzare i tunnel di Hamas. Anche Kuwait e Oman, pur non coinvolti direttamente, sono citati come “partner potenziali”.

Radar, chat criptate e addestramenti contro Hamas

La collaborazione tra Israele e alcuni Paesi arabi non è di per sé una novità. Ciò che sorprende è la scala del progetto, il suo livello di istituzionalizzazione e il fatto che tutto avvenga mentre la retorica pubblica resta segnata dall’ostilità verso Israele.

Mentre le proteste per Gaza scuotono le piazze, governi che un tempo fondavano la propria legittimità sull’opposizione a Tel Aviv stanno ora integrando questa cooperazione nelle proprie strategie di sicurezza. Sei dei sette membri ricevono oggi un quadro parziale della situazione aerea attraverso sistemi statunitensi; due condividono i propri dati radar con l’aeronautica USA. Tutti sono collegati a una chat criptata gestita da Washington per coordinare operazioni in tempo reale.

Dal 2021, quando Israele è passato sotto la responsabilità operativa del Comando Centrale americano (CENTCOM), il ruolo degli Stati Uniti è cambiato: da garante della sicurezza regionale a integratore attivo tra eserciti arabi e israeliano. Pattugliamenti navali congiunti, sistemi radar interoperabili e protocolli comuni di difesa antimissile stanno sostituendo il vecchio coordinamento di crisi ad hoc.

Dalla normalizzazione agli eserciti connessi

Questa alleanza è il risultato di un processo iniziato decenni fa con la pace con Egitto e Giordania e accelerato dagli Accordi di Abramo. Se all’inizio si parlava di turismo e commercio, oggi la cooperazione si muove su terreni molto più sensibili.

L’Arabia Saudita – ancora formalmente fuori dalla normalizzazione – ha permesso il sorvolo del proprio spazio aereo ai voli civili israeliani e ha attenuato la retorica ufficiale. La Giordania ospita esercitazioni congiunte con Israele e Stati Uniti, mentre le marine israeliana e americana hanno pattugliato insieme il Mar Rosso. Manovre multilaterali come Eagle Resolve hanno intanto rafforzato l’interoperabilità tra gli eserciti della regione.

Per Washington, l’obiettivo è duplice: contenere l’Iran e ancorare le forze arabe all’ecosistema militare occidentale, in un momento in cui Russia e Cina cercano di espandere la propria influenza nella regione.

Difendere Hormuz e Suez: una necessità strategica

In un’area dove passa più del 27% del petrolio mondiale e oltre il 20% del commercio globale, la sicurezza è indispensabile, ma lo Stretto di Hormuz e il Canale di Suez sono entrambi nel raggio delle milizie sostenute da Teheran.

L’Iran esercita influenza su queste rotte cruciali attraverso Hezbollah, le milizie sciite in Iraq e Siria, gli Houthi in Yemen e Hamas a Gaza.

Israele offre ai partner arabi ciò che manca loro: intelligence avanzata, difese antimissile collaudate e capacità cibernetiche di alto livello.

L’opinione pubblica come fattore di rischio

Nonostante le capacità tecnologiche, questa alleanza poggia su fondamenta politiche fragili. Decenni di propaganda anti-israeliana in scuole, media e moschee hanno radicato ostilità profonde. Ammettere apertamente la cooperazione potrebbe costare caro ai governi, che temono un contraccolpo interno.

Il divario tra politica e società rende l’intero progetto vulnerabile a shock improvvisi. L’attacco israeliano del 9 settembre a Doha – apparentemente sfuggito ai radar statunitensi – potrebbe aver incrinato la fiducia tra i partner e rallentato esercitazioni congiunte. Senza progressi verso uno Stato palestinese, molti nella regione continueranno a percepire la collaborazione con Israele come un tradimento, e i gruppi estremisti continueranno a sfruttare questa percezione.

Ma la cooperazione si espande anche oltre il militare: progetti comuni sulla desalinizzazione e sull’energia solare, così come il concetto di un “Cyber Iron Dome”, mostrano il potenziale di un’integrazione più profonda. Se i cittadini vedranno benefici concreti, l’ostilità popolare potrebbe ridursi.

Il futuro del Regional Security Construct dipenderà dalla capacità dei governi arabi di collegare la cooperazione militare a benefici concreti – come sicurezza cibernetica, investimenti o tecnologie – e di iniziare a rimodellare il discorso pubblico.

Per Washington, la rete rafforza la deterrenza, riduce la necessità di truppe e limita l’influenza di Mosca e Pechino, che hanno cercato di sfruttare il malcontento per offrire sistemi militari alternativi e narrative antiamericane.

La trasformazione della sicurezza mediorientale è ormai in corso, ma il suo futuro non è garantito. Per decenni Israele è stato il partner proibito: troppo controverso per essere riconosciuto, troppo rischioso per essere coinvolto.

Quel tabù è già stato infranto nella pratica. Ora la scelta è nelle mani dei leader arabi: continuare a nascondere questa cooperazione, rendendola fragile e vulnerabile, o renderla gradualmente trasparente, collegandola a benefici reali e a un quadro politico più ampio.

Se riusciranno ad allineare la retorica alla realtà, potranno contribuire a costruire un ordine regionale meno definito dal conflitto e più dalla sicurezza condivisa. Se non lo faranno, l’alleanza resterà nell’ombra – instabile, precaria e sempre esposta al rischio di collasso. In una regione che ha già pagato a caro prezzo le proprie illusioni, l’esitazione di oggi potrebbe rivelarsi ancora una volta la scelta più costosa.