di Anna Balestrieri (Gerusalemme)
Il padre dell’autore aveva nascosto le radici ebraiche della famiglia, e solo quando László aveva undici anni il segreto venne svelato.
Quando il 9 ottobre 2025 l’Accademia di Svezia ha annunciato il nome di László Krasznahorkai come vincitore del Premio Nobel per la Letteratura, la reazione è stata doppia: entusiasmo e sorpresa. Entusiasmo per l’autore di romanzi monumentali come Satantango e War & War; sorpresa per la storia personale tornata alla luce insieme al riconoscimento.
Il padre dell’autore aveva nascosto le radici ebraiche della famiglia, e solo quando László aveva undici anni il segreto venne svelato.
La notizia è stata confermata anche dal Times of Israel.
Una genealogia cancellata
Nato nel 1954 a Gyula, nell’Ungheria sudorientale, Krasznahorkai è cresciuto in pieno regime socialista.
“Era proibito parlare di certe cose,” ha raccontato al Jewish Chronicle.
Il cognome originale della famiglia, Korin, fu cambiato dal nonno in “Krasznahorkai” per evitare persecuzioni.
Quel gesto di rinominarsi — di riscrivere la propria identità — è diventato la chiave stessa della sua poetica: una letteratura che vive nel sospetto, che diffida della verità dichiarata e del linguaggio come strumento di salvezza.
L’ebraico nascosto nella prosa apocalittica
Nei romanzi di Krasznahorkai non si parla mai direttamente di ebraismo, ma il suo universo è saturo di temi tipici della condizione diasporica: l’attesa messianica, la fine che non arriva, la colpa che ritorna.
Il personaggio “Korin” di War & War — che porta il nome della famiglia originaria — è ossessionato dal salvare un manoscritto dall’oblio universale, in una corsa contro il tempo e la distruzione.
È difficile non leggerci il riflesso di un destino familiare: salvare la memoria che la Storia aveva cancellato.
Uno stile che resiste al silenzio
Krasznahorkai scrive in frasi interminabili, spesso di decine di righe, che sembrano sfidare la punteggiatura e la pazienza del lettore.
In Herscht 07769 — 400 pagine con un solo punto — la scrittura diventa un respiro unico, un atto di resistenza.
È come se la sua prosa dicesse: finché le parole scorrono, la sparizione non vince.
Il Nobel e il segreto
La stampa internazionale ha sottolineato come il Nobel abbia riportato alla luce la genealogia ebraica rimossa dello scrittore: figlio di una famiglia che sopravvisse all’Olocausto nascondendo la propria identità.
La vittoria è diventata anche una restituzione tardiva della verità negata: il segreto familiare si è trasformato in una chiave di lettura pubblica e universale.
L’eredità di chi scrive nell’ombra
Krasznahorkai appartiene alla costellazione di autori ebrei dell’Europa centrale — da Kafka a Imre Kertész, da Bruno Schulz a W. G. Sebald — che hanno fatto della perdita e del silenzio la materia prima della scrittura.
Ma mentre Kafka e Kertész esploravano la burocrazia e la memoria dell’Olocausto, Krasznahorkai racconta la coda dell’Apocalisse: il momento in cui tutto è già accaduto, e resta solo la voce che continua a parlare.
“Scrivere è sopravvivere a qualcosa che non sai di aver perduto.”