di Pietro Baragiola
Pubblicato negli Stati Uniti alla fine degli anni ’40, questo fumetto sensazionalistico raccontava in modo volutamente scandaloso la storia di Koch, moglie di un comandante delle SS, divenuta celebre per le atrocità compiute nei confronti dei prigionieri del campo di concentramento di Buchenwald. La serie suggerisce più di una volta che proprio quelle immagini e quei racconti hanno plasmato la mente di Gein fornendogli una sorta di “modello macabro da seguire” per i suoi crimini.
Nella nuova stagione di Monster: The Ed Gein Story, Netflix intreccia due figure storiche i cui crimini hanno distrutto innumerevoli vite: Ed Gein, il killer del Wisconsin che ha ispirato film come Psycho e Il silenzio degli innocenti, e Ilse Koch, la famigerata “Bestia di Buchenwald”.
Ad unire questi due personaggi è un oggetto apparentemente innocuo ma dal contenuto terrificante: un fumetto pulp dell’immediato dopoguerra intitolato The Bitch of Buchenwald.
Pubblicato negli Stati Uniti alla fine degli anni ’40, questo fumetto sensazionalistico raccontava in modo volutamente scandaloso la storia di Koch, moglie di un comandante delle SS, divenuta celebre per le atrocità compiute nei confronti dei prigionieri del campo di concentramento di Buchenwald.
La serie suggerisce più di una volta che proprio quelle immagini e quei racconti hanno plasmato la mente di Gein fornendogli una sorta di “modello macabro da seguire” per i suoi crimini.
Il fumetto su Ilse Koch
La vera storia di Ilse Koch è già di per sé disturbante. Nata nel 1906 a Dresda, si è iscritta al partito nazista nel 1932 e ha sposato Karl-Otto Koch, comandante di Buchenwald.
All’interno della villa di famiglia, situata a pochi metri dai forni crematori, Ilse era solita organizzare ricevimenti fastosi mentre fuori si consumava l’orrore.
Secondo numerose testimonianze, Ilse selezionava prigionieri con tatuaggi particolari, ordinandone la morte per poterne utilizzare la pelle come materiale per i suoi oggetti domestici: paralumi, album fotografici, accessori.
Le accuse più macabre non furono mai completamente provate in tribunale ma bastarono a trasformarla in un simbolo mediatico del male assoluto.
“All’inizio non ero pronta a calarmi in un ruolo del genere perché mio nonno era stato in un campo di concentramento” ha spiegato l’attrice Vicky Krieps, interprete di Koch nella serie. “Questa parte della storia è molto vicina alla mia famiglia ed ero preoccupata di portarla in TV perché mi chiedevo se sarebbe stato fatto con rispetto.”
Nella sua intervista a Variety, Krieps ha spiegato di aver letto tutti i libri sulla Shoah che si potessero trovare ma la cosa che davvero l’ha aiutata ad interpretare il personaggio è stato il fatto che venisse mostrato solo come frutto dell’immaginazione di Ed, “creata mentre leggeva il fumetto”.
Nella realtà il processo della “Bestia di Buchenwald”, tenutosi nel 1947, è stato seguito a tal punto dai principali quotidiani americani che le aule del tribunale sono state specificatamente adattate per ospitare decine di giornalisti.
Da quel caso sono nati romanzi, articoli scandalistici e fumetti pulp per intrattenere e scioccare un pubblico americano affamato di storie estreme nel dopoguerra. rendendo così Koch un archetipo dell’orrore femminile nazista.
L’ispirazione di Gein

È in questo contesto che, nella serie Netflix, Ed Gein (Charlie Hunnam) entra in contatto con The Bitch of Buchenwald.
Nei primi episodi, l’uomo solitario di Plainfield, già ossessionato dalla figura materna e dall’anatomia umana, sfoglia con crescente fascino le pagine del fumetto, regalatole dall’amica Adeline Watkins (Suzanna Son) e che contribuirà a ispirarlo nei suoi crimini futuri.
Nella realtà storica, Gein non ha mai citato Koch durante i suoi interrogatori e non esistono prove dirette che abbia letto il fumetto o seguito il processo, ma l’ipotesi non è affatto inverosimile in quanto è stato uno degli scandali mediatici più seguiti degli anni Quaranta e il materiale giornalistico circolava anche nelle aree rurali del Midwest.
Per molti criminologi, il legame suggerito dalla serie non è tanto una prova storica, quanto un modo per mostrare come cultura pop, informazione sensazionalistica e immaginari estremi possano agire da detonatori nelle menti già fragili.
“È plausibile che Gein fosse esposto a quelle storie” spiega uno degli esperti intervistati nella docuserie. “Ma è altrettanto importante capire come queste narrazioni venissero interiorizzate: non come semplici fatti di cronaca, ma come miti oscuri da reinterpretare.”
La connessione tra Koch e Gein è anche una riflessione più ampia su come il male venga raccontato. Koch è stata trasformata dai media americani in una “villain” da fumetto, molto prima che Hollywood codificasse il suo archetipo nel cinema horror. Gein, a sua volta, è diventato il prototipo del “mostro americano” nella cultura pop: Norman Bates, Leatherface, Buffalo Bill, tutti in qualche modo derivano dal suo personaggio.
In questo senso, Monster costruisce un ponte simbolico tra due epoche: quella della propaganda bellica e del pulp postbellico, e quella del crimine seriale americano. Un ponte fatto di carta ingiallita, di storie vendute nei chioschi e di figure realmente vissute trasformate in icone del male.