Un video girato all’interno della Casa della Salute di Pratovecchio Stia, in provincia di Arezzo, ha scatenato indignazione e polemiche. Nelle immagini, due dipendenti pubbliche — la dottoressa Rita Segantini e l’infermiera Giulia Checcacci — si riprendono mentre gettano nel cestino confezioni di farmaci prodotti dall’azienda israeliana Teva. Il filmato, realizzato in divisa e sul posto di lavoro, è stato poi diffuso sui social.
🟥 BUTTANO I FARMACI NEL CESTINO. SORRIDONO. FILMANO. PUBBLICANO.
Alla Casa della Salute di Pratovecchio Stia, due dipendenti pubbliche — la dottoressa Rita Segantini e l’infermiera Giulia Checcacci — si riprendono mentre buttano via farmaci prodotti da TEVA.
Sì: li buttano nel… pic.twitter.com/qN8JUlQgjK— Free4future (@Free4futur99001) August 19, 2025
Le reazioni: “Non è libertà di opinione, è una vergogna istituzionale”
L’episodio è stato denunciato pubblicamente, suscitando sdegno: “I farmaci che gettano li paghiamo noi. Con le nostre tasse. Sono beni sanitari pubblici, e loro li trattano come immondizia per fare like. Non è libertà di opinione, non è dissenso terapeutico: è una vergogna istituzionale”, si legge in uno dei commenti circolati online.
Il gesto viene descritto come una vera e propria “messinscena consapevole”, compiuta dentro una struttura sanitaria pubblica e dunque doppiamente grave: non solo per lo spreco di beni sanitari, ma anche per l’utilizzo del camice e del ruolo medico a fini propagandistici.
Il comunicato dell’Associazione Medica Ebraica (AME)
Con una lettera indirizzata al Ministro della Salute e alla direzione della Casa della Salute, l’Associazione Medica Ebraica ha espresso “viva preoccupazione” per l’accaduto: “È evidente che il gesto non sia stato casuale, ma compiuto con l’intento di invitare al boicottaggio di farmaci prodotti in Israele. Ciò appare particolarmente grave, perché i farmaci non devono essere strumenti di polemica politica o ideologica: essi sono beni fondamentali per la cura dei cittadini e devono essere rispettati come tali.”
Nella stessa nota si sottolinea come i medicinali siano “beni pubblici acquistati con spesa a carico dello Stato” e che, se non utilizzabili, vadano smaltiti secondo le procedure previste. Gettarli nel cestino — si aggiunge — significa non solo compiere un gesto di disprezzo simbolico, ma anche “arrecare un danno alla collettività”.
Teva e il boicottaggio: “Una stupidaggine colossale”
Sulla vicenda è intervenuto anche Yehoshua Bubola Levy de Rothschild, professionista del settore farmaceutico legato a Teva, che ha ridimensionato le ragioni di un ipotetico boicottaggio: “Vorrei precisare che la maggior parte dei farmaci di Teva non sono prodotti in Israele. Teva ha 28 impianti produttivi in Europa e solo 3 in Israele. Boicottare Teva, una delle principali aziende farmaceutiche di farmaci generici, è oltretutto una stupidaggine colossale.”
Ha spiegato inoltre che molti principi attivi vengono realizzati e confezionati in Paesi europei, con un indotto che coinvolge decine di migliaia di lavoratori: “Boicottare Teva significa di fatto colpire 20.000 impiegati europei oltre che l’intera industria farmaceutica europea.”
Più in generale, Levy de Rotschild ha sottolineato il ruolo centrale di Israele nell’innovazione scientifica globale: “Israele, pur rappresentando solo lo 0,2% della popolazione mondiale, contribuisce a circa il 10% della ricerca medica globale. Chi propone un boicottaggio scientifico o industriale verso Israele lo fa a discapito della salute di tutti.”
Le scuse delle protagoniste
Dopo la diffusione del video, le due professioniste hanno rapidamente pubblicato un secondo filmato di scuse, palesemente sotto pressione della direzione sanitaria della struttura, precisando di non aver agito durante l’orario di lavoro e di non avere intenti propagandistici, salvo contraddirsi nei pochi minuti di dichiarazione affermando che facesse parte di “una campagna più ampia”. Una giustificazione che molti osservatori hanno definito “imbarazzante” e insufficiente rispetto alla gravità dell’episodio.