Israele e i suoi soldati: tra memoria, crisi e nuove sfide

Israele

di Anna Balestrieri
Il destino dei soldati israeliani non si gioca solo nei campi di battaglia: si intreccia con i contrasti religiosi interni, con il peso psicologico di guerre senza fine, e con nuove strategie di reclutamento che guardano alla diaspora

Il dibattito attorno al ruolo dei soldati israeliani non è mai solo militare: è politico, religioso e identitario. Le parole del deputato Moshe Gafni, leader del partito Degel HaTorah, hanno suscitato scalpore quando ha paragonato l’attuale conflitto tra Stato e mondo ultraortodosso alla lotta dell’Impero romano contro il popolo ebraico. Una dichiarazione che appare stridente se confrontata con il sacrificio dei soldati che da oltre due anni combattono – e in troppi casi cadono – per garantire a tutti la libertà di vivere in Israele.

Arruolamento e sfide interne

Sul fronte dell’arruolamento, il tema dei haredim resta una ferita aperta. Nonostante la storica distanza del mondo ultraortodosso dalle forze armate, circa 140 giovani haredim hanno scelto di arruolarsi in ruoli di supporto, segno di un lento cambiamento. Parallelamente, l’IDF ha lanciato l’operazione speciale “Nuovo Inizio”, pensata per chi in passato aveva rifiutato o abbandonato il servizio: per cinque giorni sarà possibile regolarizzare la propria posizione ed entrare nell’esercito senza rischiare procedimenti penali o arresti. Un invito esplicito a “voltare pagina” in un momento in cui il Paese ha bisogno di ogni risorsa.

Il richiamo alla diaspora

La carenza di soldati – stimata tra i 10.000 e i 12.000 effettivi – ha aperto scenari inediti. Di fronte al basso tasso di arruolamento tra gli haredim, l’IDF guarda ora oltre i confini: ai giovani ebrei della diaspora. Secondo dati interni, solo negli Stati Uniti e in Europa ci sarebbero oltre 10.000 ragazzi e ragazze ebrei tra i 18 e i 25 anni ogni anno potenzialmente arruolabili. L’obiettivo dichiarato è reclutarne 600–700 all’anno, facendo leva sul senso di appartenenza ebraica e sul legame storico con la Terra d’Israele.

Il peso della guerra

Le notizie quotidiane dal fronte continuano a ricordare la dimensione concreta e tragica di questo conflitto. A Gaza altri due soldati israeliani sono caduti, mentre sul lungomare di Tel Aviv un’installazione composta da 893 sedie vuote ha voluto dare forma visibile all’assenza e al dolore: un monumento temporaneo che racconta, in modo silenzioso ma potente, il prezzo umano che questa guerra continua a esigere.

Ferite invisibili

Dietro le uniformi si nasconde un dolore profondo. La recente notizia del suicidio dell’ufficiale di riserva Yosef Chaim Ashraf z”l, in un bosco vicino a Tiberiade, ha scosso l’opinione pubblica. La tragedia mette in luce il peso psicologico che grava sui militari: un fardello fatto di ricordi insostenibili, sensi di colpa e isolamento. Per questo le organizzazioni come ERAN (numero 1201) e il call center del Ministero della Difesa (*8944) rappresentano strumenti vitali per offrire sostegno immediato e prevenire altri drammi silenziosi.

Il destino dei soldati israeliani non si gioca solo nei campi di battaglia: si intreccia con i contrasti religiosi interni, con il peso psicologico di guerre senza fine, e con nuove strategie di reclutamento che guardano alla diaspora. Israele vive oggi una fase critica: tra richiami alla memoria, ferite del presente e il bisogno di unire tutte le sue anime – secolari, religiose, locali e globali – sotto lo stesso vessillo di difesa e continuità nazionale.