di Anna Balestrieri
Un’intesa vicina, ma mai così lontana
Secondo fonti diplomatiche, le divergenze tra le parti si sono molto ridotte nelle ultime settimane. Si sarebbe raggiunto un consenso su molti aspetti chiave della proposta di tregua: una pausa di 60 giorni nei combattimenti, il rilascio di 10 ostaggi vivi e i corpi di 18 prigionieri israeliani uccisi, e uno scambio con un numero non ancora definito di detenuti palestinesi. Tuttavia, alcuni punti restano irrisolti.
Hamas insiste su garanzie internazionali, in particolare da parte degli Stati Uniti, affinché Israele non riprenda le operazioni militari al termine del cessate il fuoco. Inoltre, richiede che il testo dell’accordo sia formulato in modo preciso, così da evitare interpretazioni ambigue che potrebbero compromettere la sua attuazione.
La missione di Witkoff in Italia
Steve Witkoff, inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente, è considerato vicino al primo ministro Benjamin Netanyahu e avrebbe agito come intermediario informale per aprire canali di comunicazione con Hamas attraverso il Qatar.
Non è chiaro se l’iniziativa di Witkoff sia stata coordinata con il governo degli Stati Uniti, ma alcune fonti suggeriscono che funzionari americani ne fossero a conoscenza. L’immobiliarista, attivo a New York e Miami, ha già svolto in passato ruoli ufficiosi nei contatti tra Israele e attori regionali. La luce di speranza si era aperta poiché era chiaro che Witkoff non avrebbe lasciato gli Stati Uniti fino a che non ci fosse stato un progresso significativo tra le parti.
Hamas rilancia: proteste e intransigenza
Mentre il fronte diplomatico arranca, Hamas avevalanciato un appello a manifestare in tutto il mondo davanti alle ambasciate di Israele e degli Stati Uniti. La mossa, secondo osservatori palestinesi, risponde anche a un’esigenza interna: placare il malcontento crescente all’interno del movimento e mostrare di non cedere alle pressioni.
La divisione interna ad Hamas è evidente. C’è chi spinge per compromessi rapidi in cambio di benefici tangibili per la popolazione di Gaza, e chi teme che un’intesa affrettata possa equivalere a una resa politica. Per ora, ha prevalso la linea più rigida.
Richieste giudicate “inaccettabili”
Martedì sera, Hamas ha inviato una prima risposta alla proposta con nuove richieste: ritiro israeliano più marcato verso il confine, linguaggio più netto sulla cessazione delle operazioni militari, fine delle attività della Fondazione umanitaria di Gaza, e un rapporto più favorevole nello scambio tra ostaggi e detenuti.
La reazione dei mediatori è stata immediata. Sia il Cairo che Doha hanno rifiutato di trasmettere il documento a Washington, definendolo non negoziabile. Solo dopo pressioni crescenti Hamas ha inviato una versione più “morbida” giovedì, attualmente in fase di valutazione da parte israeliana.
La voce dei mediatori: “Il tempo è finito”
Tra i più critici nei confronti di Hamas, anche Bishara Bahbah, uomo d’affari palestinese-americano e figura chiave nel canale informale tra Hamas e l’amministrazione Trump. Da Doha, ha scritto su X:
“La procrastinazione di Hamas costa ogni giorno decine di vite palestinesi. Non ci sono motivi credibili per ulteriori rinvii”.
Bahbah propone un approccio graduale: firmare subito un accordo con garanzie americane, rimandando le questioni più complesse ai colloqui successivi.