di Anna Balestrieri
Martedì 15 luglio 2025, quasi duecento persone si sono collegate su Zoom per seguire il dibattito organizzato dall’Associazione Italia-Israele di Milano, con il patrocinio dell’Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme. Il titolo, “Iran, Israele, Usa: la guerra dei dodici giorni”, ha dato spazio a un confronto denso, appassionato e per certi versi drammatico, moderato da Marco Paganoni (israele.net) e con gli interventi del demografo Sergio Della Pergola e dell’ex ambasciatore Francesco Maria Talò.
La stanchezza della diaspora e il populismo
A rompere il ghiaccio è stata Noemi Di Segni, presidente UCEI, che ha espresso il senso di logoramento profondo della società israeliana, esausta da una guerra infinita a Gaza. Un sentimento che stride con la rapidità e la nettezza del conflitto-lampo contro l’Iran, e che si accompagna all’inquietudine per il clima politico italiano. Di Segni ha denunciato l’ondata di empatia “a senso unico” per la causa palestinese, che ha portato oltre cento comuni calabresi a interrompere relazioni con Israele. Il racconto di una telefonata con un sindaco che l’ha accusata di ignorare i “bambini massacrati” e le ha riattaccato il telefono in faccia è stato uno dei momenti più intensi.
Voci fuori dal coro: solidarietà e dialogo
Lisa Palmieri Billig, voce storica del dialogo interreligioso, ha cercato di portare una luce nel buio: ha citato esempi positivi di sostegno a Israele e ai suoi ostaggi – in prigionia da 649 giorni – e ha raccontato di un incontro interreligioso per la pace tenutosi lo stesso giorno a Monteleone di Puglia. Ha lodato l’impegno di figure come Monsignor Fumagalli e dell’associazione Setteottobre, sottolineando quanto sia facile giudicare da lontano chi vive ogni giorno sotto minaccia esistenziale.
Talò: l’Iran vuole distruggere Israele, Israele vuole cambiare regime
Francesco Maria Talò ha illustrato le dinamiche geopolitiche del conflitto con l’Iran: “Non si tratta di una guerra simmetrica. L’Iran vuole eliminare Israele; Israele vuole eliminare questo regime iraniano”. Talò ha richiamato l’attenzione sul ruolo delle grandi potenze – Russia, Cina e Iran – unite dalla dipendenza energetica e dalla volontà di mantenere lo status quo. Ha concluso il suo intervento con un invito all’apertura: “Per gli italiani Israele è il prossimo; per Israele, i prossimi sono i palestinesi”.
Della Pergola: la maionese impazzita, Israele come metafora dell’Occidente
Il lungo intervento di Sergio Della Pergola ha unito l’analisi geopolitica alla riflessione esistenziale. Ha esordito con un dato: il governo israeliano, sostenuto da appena 61 deputati, è appeso a un filo. Il paese è in crisi, ma anche la diaspora ebraica è smarrita, e l’Occidente – “spaccato e incoerente” – sembra non esistere più. “Il 7 ottobre ha dato una spallata alle nostre certezze”, ha detto, evocando il ritorno di antisemitismi che si credevano sepolti. “Concetti che sembravano inammissibili oggi sono sdoganati nei media, nelle università, nella politica”.
Il conflitto con l’Iran, per quanto breve, ha lasciato ferite: 28 morti, 3.000 feriti, 13.000 sfollati, 35.000 appartamenti danneggiati, basi militari colpite, infrastrutture civili distrutte. Gerusalemme è stata risparmiata per evitare di colpire luoghi santi islamici, ma i suoi abitanti, ha ricordato Della Pergola, hanno vissuto notti intere nei rifugi antiaerei. “Un’esperienza traumatica ma anche sociologicamente interessante”, ha osservato con amarezza, sottolineando come in quelle stanze sotterranee emerga il senso di coesione del popolo israeliano.
Dal punto di vista militare, l’operazione israeliana in Iran è stata, secondo Della Pergola, “memorabile”: una macchina perfetta, in grado di colpire con precisione le infrastrutture nucleari. Ma i numeri non rassicurano: “L’Iran ha uranio sufficiente per nove bombe. Se anche ne fermiamo otto, una può colpire Tel Aviv. Questo è inammissibile, e nessuno in Occidente lo dice”.
Una critica radicale alla leadership e al dibattito pubblico
Della Pergola ha riservato dure critiche al governo israeliano, guidato da una coalizione che sacrifica le componenti più produttive del paese per sopravvivere politicamente. Ma ha anche puntato il dito contro l’Occidente: “Non ho sentito nessuna voce dire che l’intenzione dell’Iran di distruggere Israele con la bomba atomica è inammissibile. È un fallimento intellettuale”. E ha denunciato il ritorno di discorsi antisemiti che non colpiscono solo Israele, ma l’intero ebraismo, evocando la carta fondativa di Hamas che richiama apertamente i Protocolli dei Savi di Sion e l’ideologia genocidaria nazista.
Anche la diaspora, ha aggiunto, è disorganizzata e vulnerabile, esposta tanto alla violenza verbale quanto a quella fisica. La forza militare mostrata da Israele contro l’Iran contrasta con l’impasse a Gaza, dove “manca una visione chiara del dopo”. Per Della Pergola, il concetto dei “due popoli due stati” è morto il 7 ottobre, e ciò che resta è la necessità di trovare soluzioni locali per Gaza e la Cisgiordania, in collaborazione con l’Occidente e nel solco degli Accordi di Abramo.
Tornando alla sua metafora centrale, Della Pergola ha descritto Israele come “una maionese impazzita”: popolo, Stato e diaspora si sono separati, così come si è disgregata la coerenza dell’Occidente. “La sfida è ricomporla: coalizzare gli elementi separati, rinunciare forse a certi ideali astratti per salvare ciò che è comune: la sopravvivenza di Israele, del popolo ebraico, e – non da ultimo – dell’Occidente stesso”.
Un incontro che non ha offerto facili soluzioni, ma che ha restituito – con lucidità e pathos – la complessità del presente. E l’urgenza, per Israele come per il mondo, di ritrovare un baricentro.