L’insulto antigiudaico non ha più freni inibitori. L’avvenire della superstizione

Opinioni

di Claudio Vercelli

[Storia e controstorie] Partiamo dal 7 ottobre 2023 per arrivare ad oggi. Non si fa in tempo a finire di commentare e affrontare un fattaccio che subito se ne impone, alla cronaca pubblica, un altro. E poi un altro ancora.

Esempi conclamati di una tentazione, quella dell’insulto antigiudaico, che non ha oramai più freni inibitori. A fronte degli episodi denunciati pubblicamente, c’è l’inquietante oceano di microeventi che si ripetono in una sorta di assordante ovvietà, quasi a volere confermare che, nella tradizione nera dell’antisemitismo, poco o nulla è cambiato. Semmai, molto si è invece rafforzato. Qualche amara riflessione – quindi – senza per questo abbandonarsi a chissà quale abissale afflizione, pertanto si impone. Ben sapendo che se, in fondo, si reiterano analisi già fatte e dette, è perché sono gli eventi medesimi a riproporsi nella loro sconfortante e desolante ripetitività. La diffusione, sempre più pervasiva, di affermazioni antisemitiche e complottiste – che riducono la complessità e l’apparente indecifrabilità del reale a un’interpretazione altrimenti diretta, lineare, antropomorfa (i responsabili del disagio che si sta vivendo sono sempre “altri” uomini e donne) e, soprattutto, di falsa “denuncia” dello stato delle cose esistenti, attribuendo infine qualsiasi evento all’azione di “forze occulte” (ma anche di non meglio precisati “poteri forti”) – non è infatti un residuo del passato ma la prospettiva alla quale rischiamo di consegnarci in una sorta di medioevo tecnologico. Nel quale, all’evoluzione quasi esponenziale della massa di dati e informazioni trattati, subentra, per molti cittadini, la crescente incomprensibilità degli effetti del mutamento. Tante sollecitazioni, nessuna comprensione. A volere dire che la realtà si presenta come un guazzabuglio che va riordinato. Alla ricerca, pertanto, di una causa. Che nel linguaggio di senso comune diventa una “colpa”. Tale poiché da attribuire a esseri in carne ed ossa.

L’antisemitismo, e con esso la delirante visione cospirativa che vi si accompagna, non nascono quindi da un difetto di conoscenza ma – piuttosto – dal bisogno e dalla presunzione di potere conoscere il tutto del mondo, altrimenti “oscuro”, dominandolo con i propri sensi e per il tramite di una ragione tanto delirante quanto in sé falsamente lucida nonché irriducibilmente inflessibile. La superstizione subentra quindi a riempire il vuoto della cognizione, della prospettiva, del futuro, agendo da vero e proprio ansiolitico e da inibitore dell’angoscia da mancanza di comprensione. Non basta stigmatizzarla e condannarla. Essa, infatti, non demanda al campo della comprensione e della cognizione ma, piuttosto, a quello dell’emozione e al risentimento. Agisce quindi su un piano che non è della ragionevolezza intellettuale, così come dell’etica dei sentimenti di reciprocità, bensì della razionalità rispetto ad un fine di sopravvivenza. Il quale, in questo caso, impone di porre un freno al dilagare di un timore panico, quello di perdere il controllo della “situazione” che si sta vivendo e, con essa, di sé stessi. Le teorie del complotto e i pregiudizi antisemitici, in quanto strutture lucidamente deliranti, hanno una loro assoluta e incontrovertibile linearità e regolarità, non prestandosi a nessuna replica di merito. Quand’essa dovesse comunque presentarsi, anche in forma ineccepibile e comprovata, ci si sentirà rispondere, da chi crede nella “minaccia ebraica”, che ciò che viene contro-affermato non è mai di per sé sufficiente a dimostrare la fallacia dell’altrui pregiudizio. Poiché il complottismo segue il percorso di qualsiasi ideologia, avendo ad oggetto non la realtà ma le costruzioni mentali, come tali ossessive, che si fanno su di essa. È, per l’appunto, la “logica di una idea”, e non un’idea sulla logica.

Sospetto sistematico, pregiudizio, teoria del complotto hanno in comune non solo la semplificazione della complessità ma anche la dichiarazione di principio che non esista altra realtà plausibile che non sia quella che deriva dalla proiezione ossessiva delle proprie fantasie. Si tratta, nel qual caso, non di follia bensì di una sorta di realizzazione di quell’istanza di autoaffermazione che parrebbe sentenziare il principio: “se la realtà non si piega ai miei bisogni, tanto peggio per la realtà stessa, costruendomene una a mia immagine e somiglianza e condividendola con altri, in una sorta di comunione d’affetti”.

Poiché i “complottisti” e gli antisemiti, intesi nel senso di coloro che denunciano l’esistenza di trame occulte in quanto ragione delle disgrazie collettive, si vivono come una comunità sentimentale e morale, condividendo un legame profondo che è generato dal riconoscersi reciprocamente come portatori di una consapevolezza superiore, quella che deriva per l’appunto dal dedicarsi allo smascheramento della congiura. L’indignazione si trasforma quindi da risorsa civile in strumento per coalizzare gli arrabbiati e canalizzarne il risentimento verso obiettivi prestabiliti. In una rincorsa al ribasso, dove ogni pudore residuo decade e dove l’impronunciabile, per il fatto stesso di essere invece detto in pubblico, assume le fattezze di un discorso accettabile poiché di senso comune. L’impianto antisemitico funziona così, pressoché da sempre, ma nella sua struttura portante non è poi molto diverso da altri disastrosi preconcetti, molto diffusi nelle nostre società. Così, tra i tanti casi possibili, per ciò che riguarda le polemiche inverosimili e bislacche, deliranti prima ancora che ingiuriose, sul declassamento dell’intensità dei terremoti a fini di calcolo politico (qualcuno se le ricorda, anche in tempi recenti?); oppure, la campagna, per molti tratti allucinata, di alcuni soggetti contro la vaccinazione (obbligatoria), nel nome della lotta nei confronti delle “multinazionali della salute” e così via.

Non è mai un caso se i più solidi pregiudizi si tengano insieme, albergando nelle medesime persone e tra gli stessi gruppi sociali. Il campo della salute del corpo (quello individuale ma anche quello collettivo, posto che la società sia raffigurata come una sorta di organismo antropomorfico) è peraltro da sempre il terreno elettivo delle peggiori demenzialità. Si tratta di dinamiche settarie, che in prospettiva minano lo stesso principio democratico della cittadinanza, in sé altrimenti inclusivo e pluralista e non esclusivo e monista. Poiché l’antisemitismo e il complottismo portano con sé, sempre e comunque, il corredo di una sottocultura del sospetto sistematico, dove una parte della società è indicata come causa delle difficoltà e dei problemi collettivi di quella restante. Ma su quest’ordine di riflessioni, avremo ancora modo di tornare a breve. (Prima parte; la seconda puntata sul Bet Magazine di settembre)