Il dissidente Ashkan Rostami: “In Iran abbiamo più paura del cessate il fuoco che della guerra. Netanyahu? Ha dato un grande aiuto al popolo”

Personaggi e Storie

di Davide Cucciati
Ashkan Rostami è uno dei più autorevoli esponenti della diaspora iraniana in Europa: rappresenta all’estero il Partito Costituzionalista dell’Iran e da tempo prende parte al Consiglio di Transizione dell’Iran. La sua voce, spesso ospite di testate internazionali, offre un quadro lucido e spietato del dissenso iraniano. Oggi, con la paura che il regime rivolga la propria rabbia verso l’interno dopo il recente cessate il fuoco, Rostami avverte: “le persone in Iran sono più spaventate dal cessate il fuoco che dalla guerra”. Un punto di vista indispensabile per capire gli equilibri geopolitici e sociali attuali.

Quando sei arrivato in Italia?

Sono qui dall’agosto 2015. Prima ho vissuto per circa dieci mesi in Turchia, poi sono rientrato in Iran per un breve periodo. Alla fine, ho colto l’occasione per venire in Italia con un visto per motivi di studio. In Iran avevo studiato architettura, in Italia mi ero iscritto a informatica ma non ho terminato gli studi. Oggi lavoro e vivo a Parma.

Eri già attivo politicamente in Iran?

Sì. Ho partecipato alle proteste del 2009, ero parte del movimento studentesco e vicino al Movimento Verde. In quell’anno ho perso due amici: uno è morto durante le manifestazioni, l’altro è stato arrestato. Il suo corpo ci è stato restituito dopo tre mesi. Da allora non ho più smesso di oppormi al regime.

Come è proseguita la tua attività in Italia?

Dopo aver imparato l’italiano nei primi anni, ho fondato due gruppi: uno è il gruppo Ex musulmani in Italia, e l’altro è la Comunità iraniana di Parma. Ho cercato da subito di creare spazi di opposizione e consapevolezza, anche fuori dall’ambito politico ufficiale.

Hai avuto anche un percorso nei partiti?

Sì, ho militato in +Europa, dove sono stato coordinatore a Parma per circa un anno. Avevo simpatia per alcune posizioni sui diritti civili ma sono rimasto molto deluso soprattutto sul tema dell’accordo nucleare con l’Iran. Anche lì c’era chi non capiva quanto fosse sbagliato dare legittimità al regime. Dopo +Europa sono passato ad Azione dove ho militato per un altro anno. Ma anche lì ho trovato la stessa incomprensione: non riuscivano a vedere che un accordo con il regime è un errore strategico, oltre che morale.

Oggi dove ti collochi?

Oggi penso che il partito più affidabile sia Fratelli d’Italia. Continuo a tenere molto ai diritti civili ma in questo momento credo sia giusto privilegiare il discorso geopolitico. La priorità è fermare il regime. Non si può essere neutrali su una questione così cruciale.

Come giudichi la posizione italiana in generale?

Nessun partito ha capito davvero la realtà iraniana. La destra pensa soprattutto agli affari, l’estrema destra ragiona ideologicamente e anche la sinistra è tutta ideologia. Nessuno ha davvero ascoltato la nostra voce, quella degli oppositori.

Che idea hai del futuro politico dell’Iran?

Sono monarchico, ma liberale. Sostengo l’idea di una monarchia costituzionale ma anche una repubblica parlamentare o presidenziale andrebbe bene. Se ci fosse un referendum oggi, penso che vincerebbe la monarchia. La parola “repubblica” è associata a troppe ferite. Detto questo, tra 15 o 20 anni penso che l’Iran sarà comunque una repubblica. Le nuove generazioni della monarchia sono nate fuori dal Paese e la famiglia reale è piccola. Le cose cambieranno.

Com’è la situazione adesso in Iran?

A Teheran ci sono più posti di controllo che persone. Un mio amico mi ha detto: “ci sono più blocchi che cittadini”. Il regime si vendica sulla popolazione, la tiene sotto controllo totale. Ma non è solo Teheran: anche Mashhad, che è la seconda città dell’Iran, sacra per gli sciiti, è scesa in piazza nel 2022 per fame. Anche Fordò e Qom, città religiose, oggi sono segnate dalla povertà.

Ci sono segnali anche dalle province?

Sì, assolutamente. Le proteste possono partire da lì. Non si può pensare che solo Teheran sia decisiva. Le città medie e grandi sono piene di tensione. La scintilla potrebbe essere, come molti pensano, la morte dell’Ayatollah.

Pensi che la guerra abbia indebolito il regime?

Sì, molto. Ma ora c’è paura vera: il regime è stato indebolito e battuto dal suo nemico numero uno. Ora potrebbe vendicarsi sulla popolazione iraniana. Molti iraniani sono più spaventati dal cessate il fuoco che dalla guerra stessa.

Come è percepito Netanyahu oggi?

Netanyahu ha fatto quello che doveva fare per Israele nella guerra contro il regime. Ha dato una grande mano al popolo iraniano, anche se in modo indiretto. È vero che il regime per ora non è caduto, ma Netanyahu rimarrà nella storia. Ha colpito Hamas, Hezbollah e il cuore del sistema iraniano. Il Medio Oriente è già cambiato.

Gli Stati Uniti? Come li vede la popolazione iraniana?

C’è molta rabbia. Molti iraniani non vedono Israele come nemico ma vedono Trump come uno che ha bloccato la fine del regime. Lo considerano un bluff, anche sul cessate il fuoco. Forse tra un giorno Trump cambierà tutto e diventerà un eroe. Ma oggi, per tanti, è uno di quelli che ha salvato la Repubblica Islamica, come lo erano Obama, Biden e Jimmy Carter. Gli Stati Uniti, questi Stati Uniti, sono visti da tanti iraniani come complici.

La Cina?

Credo che la Cina abbia fatto forti pressioni per fermare tutto. Ha interesse a mantenere calma la situazione. Ma quello che hanno fatto ora è bloccare un cambiamento storico. La paura, dentro l’Iran, è altissima.

Ti aspettavi un’insurrezione popolare?

No, non si poteva pretendere che le persone scendessero subito in piazza. Oggi più che mai bisogna dare tempo all’opposizione per organizzarsi. Il regime è quasi distrutto ma è ancora feroce. Se gli si dà respiro, si riprenderà. Serve tempo, ma anche decisione.