Ucraina ed ebraismo, una storia intrecciata: Hrytsak al Memoriale della Shoah

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di Davide Cucciati

Il 18 giugno 2025, presso il Memoriale della Shoah di Milano, si è tenuta la conferenza dello storico ucraino Yaroslav Hrytsak. L’incontro, organizzato dall’associazione culturale Borystene nell’ambito dell’iniziativa “Ukraine is Ukraine”, ha raccolto un pubblico numeroso e partecipe, in un momento storico segnato dalla guerra e dalla lotta contro la propaganda.

La serata si è aperta con un minuto di silenzio in memoria delle 28 vittime civili dell’attacco russo a Kyiv di due giorni prima. Dopo i saluti della fondatrice di Borystene, Svitlana Tereshchenko, è intervenuto Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah, sottolineando il legame tra attualità e memoria: “Noi lavoriamo per trasmettere la memoria ma soprattutto per insegnare ai giovani quali sono i segnali da cogliere nella società e quali i veri pericoli che ci sono tutti i giorni”. Jarach ha poi ricordato con orgoglio i numeri delle visite al Memoriale: circa 55.000 studenti durante l’anno scolastico, per un totale di 110.000 visitatori annui.

Prima dell’atteso intervento dello storico, il pubblico ha assistito alla proiezione di un breve video su Babyn Yar, luogo simbolo della Shoah in Ucraina, in cui furono massacrati oltre 33.000 ebrei nel settembre del 1941.

Successivamente, Hrytsak ha aperto il suo intervento affermando: “Questa guerra è anche una guerra sulla storia”. Secondo lo storico, Vladimir Putin ha costruito la legittimazione dell’invasione dell’Ucraina su una manipolazione del passato: “dice che l’Ucraina non esiste, che è un’invenzione russa. È un’ideologia del XIX secolo, in cui si pensa che un popolo abbia diritto a un territorio solo perché lì si parla la sua lingua”. Il parallelo tracciato è efficace: “I tedeschi dell’Ottocento dicevano che la Germania si estendeva fin dove si parlava tedesco. Putin dice lo stesso della Russia: dove si parla russo, è Russia”. Molte delle città ucraine più colpite dai bombardamenti russi, come Kharkiv e Odessa, sono a maggioranza russofona, eppure proprio lì si è manifestata una delle resistenze più forti contro l’aggressione di Mosca.

Per lo storico, la lingua russa non implica adesione all’imperialismo russo; anzi, il rifiuto attivo dell’identificazione con Mosca, anche da parte dei russofoni, è una delle prove più potenti dell’autonomia dell’identità ucraina. Putin, come Trump o Orbán, promuove una visione nostalgica e distorta del passato, fondata su un’epoca d’oro da restaurare. Al contrario, gli ucraini non hanno un passato mitico a cui tornare e proprio per questo possono costruire un futuro diverso, libero dalla manipolazione politica della memoria.

Hrytsak ha ricostruito il legame millenario tra Ucraina ed ebraismo. La prima menzione scritta della Rus’ di Kiev non sarebbe in una cronaca cristiana ma bensì in una lettera ebraica del 939 di raccolta fondi, per il riscatto di un rabbino prigioniero, scoperta al Cairo. “È la storia globale dell’Ucraina: fin dall’inizio, la presenza ebraica è parte costitutiva di questo spazio.” Prima ancora, i territori tra il Mar Nero e il Volga erano abitati dai Casari, una popolazione turcofona convertita al giudaismo che costituiva una delle più grandi potenze ebraiche d’Europa. Quando i Vichinghi, i Rus, discesero verso sud, una delle prime potenze con cui entrarono in contatto fu proprio il khaganato casaro.

 

Dopo la distruzione della Rus’ di Kyiv per mano dei Mongoli nel 1240, l’Ucraina divenne una terra contesa tra potenze diverse: lituani, polacchi, ungheresi, tartari, russi, austriaci. “Era un luogo di grande diversità e anche di grande violenza. Un cronista cosacco del XVII secolo scriveva che “il sangue scorreva a fiumi”.” Hrytsak ha ricordato che il 45% delle terre nere del mondo, ovvero i suoli più fertili, si trova in Ucraina. Quando gli ebrei ashkenaziti arrivarono tra il XVI e il XVIII secolo, provenendo da Germania, Francia e Inghilterra, si trovarono inseriti in un contesto agricolo ricco e dinamico. Non coltivavano direttamente la terra, ma poterono svolgere ruoli intermedi, affittuari, esattori, commercianti, che li resero parte attiva dell’economia locale. In questo senso, ha osservato Hrytsak, “per loro era come scoprire l’America”. Queste zone venivano percepite come una “terra promessa”: i poeti dell’epoca la paragonavano a una nuova Palestina, una “terra di latte e miele”. I polacchi definivano questa ondata migratoria ebraica verso Est come una sorta di “elettorato volontario”: erano in molti a voler raggiungere questi territori, ricchi ma pericolosi. Nel mondo cristiano, infatti, agli ebrei era spesso proibito lavorare la terra; in Ucraina trovavano uno spazio libero nella nicchia del commercio, dei prestiti e della vita urbana. Più la terra era ricca, più servivano commercianti, librai, fornitori. Ma l’Ucraina non era solo terra fertile: era anche terra di frontiera. Come l’America aveva il Far West, l’Ucraina aveva la “steppa selvaggia”, abitata da tribù turche e da popolazioni nomadi. Era una regione instabile e violenta e proprio per questo le comunità ebraiche vi si insediarono spesso, attirate dalle opportunità economiche offerte dai nobili locali. La storia ebraica, raccontata in questi termini, diventa anche una lente per “decolonizzare” la visione classica della storia ucraina, troppo a lungo legata alla narrazione russa. Questa ricca presenza ebraica contribuisce a una nuova lettura dell’identità ucraina, che muta radicalmente dopo le spartizioni della Polonia alla fine del Settecento, quando l’Ucraina finisce in gran parte sotto il dominio russo. È da lì che prende avvio una nuova fase: l’Impero russo colonizza il Sud e l’Est, permettendo in alcune aree anche l’insediamento ebraico. Nascono città nuove come Odessa, che diventa il principale centro ebraico della regione, simbolo di una nuova epoca per entrambe le comunità, quella ebraica e quella ucraina. Odessa divenne uno dei principali porti del Sud dell’Impero russo e la più grande città ebraica della regione. Mentre in precedenza sia ebrei che ucraini vivevano perlopiù in villaggi, ora gli ebrei iniziarono a concentrarsi nelle città, mentre gli ucraini restavano prevalentemente in campagna. A questo cambiamento si aggiunse un ulteriore elemento: l’arrivo dei russi, funzionari, contadini, militari e borghesi, che si stabilirono anch’essi in queste zone. Nonostante questa coesistenza, il territorio rimaneva culturalmente e politicamente segnato dalla presenza polacca, in quanto i grandi proprietari terrieri erano spesso polacchi.

L’Ucraina venne quindi a configurarsi come un crocevia di popoli, religioni e tensioni: ebrei, ucraini, russi e polacchi convivevano nello stesso spazio. Tuttavia, dal punto di vista ebraico, l’Ucraina fu anche teatro di persecuzioni ricorrenti: dai pogrom cosacchi del Seicento, ai pogrom ottocenteschi, fino a quelli della guerra civile e della Shoah. I pogrom contro gli ebrei spesso scoppiano in seguito a crisi o eventi scatenanti. Uno degli episodi che alimentarono l’ondata di pogrom alla fine dell’Ottocento fu l’assassinio dello zar Alessandro II nel 1881, compiuto da un gruppo rivoluzionario clandestino. Tra i membri figurava Gesya Gelfman, ebrea. La sua presenza nel gruppo fu usata dalla propaganda antisemita per diffondere la leggenda secondo cui “erano stati gli ebrei a uccidere lo zar”, accendendo paure e ostilità che culminarono in violenze contro le comunità ebraiche, specialmente in Ucraina. I pogrom raggiungono poi il loro apice nel 1941, durante la Shoah. Per questo motivo, nell’immaginario ebraico l’Ucraina è associata al trauma dei pogrom e all’antisemitismo, una fama che condivide con Polonia, Romania e Lituania. Ma è un errore assoluto ridurre tutto a questo”, ha osservato. Su circa 1000 anni di storia ebraica in Ucraina, i pogrom e le persecuzioni si concentrano in 10 – 15 anni complessivi, anche se molto violenti. A riprova, lo storico ha citato dati secondo cui oggi l’Ucraina è il Paese europeo con il più basso tasso di antisemitismo.

Nel 2019, con l’elezione di Volodymyr Zelensky, l’Ucraina è diventata, accanto a Israele, l’unico Paese al mondo ad avere contemporaneamente un presidente e un primo ministro ebrei (Zelensky e Volodymyr Groysman). Un fatto straordinario, se si considera che l’Ucraina è spesso evocata nei cliché storici come “culla dell’antisemitismo”. Eppure, oggi è forse il Paese europeo dove l’antisemitismo è meno diffuso, tanto che un ebreo può arrivare ai vertici dello Stato senza che ciò susciti scandalo o ostilità. Un simile scenario sarebbe impensabile, ad esempio, in Russia o in Polonia. “Nel video del febbraio 2022, in cui Zelensky e il suo staff restano a Kiev, si vedono cinque figure chiave: Zelensky, Yermak, Podolyak, Shmyhal e Stefanchuk. Due di loro sono ebrei. Ma nessuno lo trova strano. Questo ci dice molto su quanto sia cambiata l’identità ucraina.”. In realtà, solo il presidente Zelensky è ebreo secondo la legge ebraica, essendo nato da madre ebrea. Il suo capo di gabinetto Andriy Yermak ha origini ebraiche da parte paterna, ma non è ebreo secondo l’halakhà. L’affermazione dello storico va dunque interpretata come una sottolineatura simbolica e culturale dell’apertura dell’identità ucraina contemporanea, più che come un dato genealogico rigoroso.

Un altro elemento emerso con forza è il cambiamento di percezione nei rapporti tra ucraini ed ebrei, e, più in generale, tra l’Ucraina e Israele. Hrytsak ha ricordato che, già durante la rivoluzione del Maidan nel 2014, molti ebrei ucraini si schierarono apertamente contro Putin e parteciparono attivamente alle manifestazioni. Da allora, il legame si è consolidato: “Forse non lo sapete ma uno dei sostenitori più attivi dell’Ucraina è il rabbino Moshe Reuven Azman, il cui figlio si è arruolato volontario ed è morto in guerra”. Oggi, ha proseguito, “tantissimi ebrei combattono per l’Ucraina contro Putin, e la maggior parte degli ebrei israeliani che sostengono l’Ucraina proviene proprio dai territori ucraini dell’ex Unione Sovietica”. Il quadro che ne emerge è quello di una solidarietà crescente: mentre gran parte degli ebrei israeliani di origine ucraina si schiera con Kyiv, anche la maggioranza degli ucraini, ha sottolineato Hrytsak, esprime sostegno per Israele. Solo una percentuale irrisoria, ha aggiunto, sostiene la Palestina.

Hrytsak ha poi offerto una sintesi efficace della lunga separazione storica tra Ucraina e Russia: “In molti territori ucraini, prima delle conquiste zariste, la presenza russa era così rara che si poteva incontrare più facilmente un cinese che un russo”. Il fattore russo, ha spiegato, è un elemento recente, e l’Ucraina ha storicamente appartenuto a uno spazio europeo multietnico e autonomo.

Tra le domande del pubblico, inevitabilmente, è emersa quella su Stepan Bandera e sulla divisione SS Galizia. Hrytsak ha affrontato l’argomento senza retorica: “Se volete unire gli ucraini, parlate di Stalin. Se volete farli litigare, parlate di Bandera”. Secondo lo storico, Bandera è stato un nazionalista radicale, che ha usato anche il terrorismo politico per l’indipendenza ucraina. Considerava gli ebrei un nemico secondario, meno importante dei russi e dei polacchi. “Durante la Shoah, Bandera era detenuto nel campo di Sachsenhausen. È difficile collaborare con i nazisti dal fondo di un lager.” Hrytsak ha invitato a distinguere tra Bandera e il “mito di Bandera”: “Il mito oggi parla con frasi che non ha mai detto: “nulla fermerà un’idea” è di Victor Hugo, “tra pane e libertà, chi sceglie il pane perde entrambi” è di Jefferson. Questo ci dice quanto il mito sia più potente della storia”. Inoltre, egli ha aggiunto: “Bandera non è il mio eroe. Ma non possiamo trasferire su di lui, e su tutti gli ucraini, la colpa della Shoah”.

Quanto alla SS Galizia, Hrytsak ha spiegato che era una divisione Waffen-SS, composta da volontari ucraini, ma sotto comando tedesco. “Non era un’unità della Gestapo. Fu formata dopo Stalingrado, quando i tedeschi cominciarono a reclutare truppe ausiliarie da popoli “non ariani”.” La divisione combatté contro l’Armata Rossa, e in alcuni casi fu coinvolta in crimini di guerra. Tuttavia, ha ricordato Hrytsak, un’inchiesta canadese negli anni ’70 non ha trovato prove dirette della partecipazione della SS Galizia alla Shoah. “Questo non li assolve moralmente, ma è un dato storico. I crimini principali furono compiuti da reparti di polizia ausiliaria, non dalla SS Galizia in quanto tale.”

In chiusura, lo storico ha ribadito che la Shoah in Ucraina fu una “Shoah di pallottole”, perpetrata sul posto, spesso con l’aiuto di collaborazionisti locali, ma sotto responsabilità tedesca. “Tutti i popoli europei hanno avuto una parte in quella tragedia. Ma se trasferiamo la colpa collettiva sugli ucraini, seguiamo la stessa logica del Cremlino.” Solo la fine della guerra permetterà una piena presa di coscienza della realtà di personaggi come Bandera. Nel turbinio attuale, prevalgono inevitabilmente semplificazioni e idealizzazioni.

A margine della conferenza, Andriy Hryvniak, fondatore del Centro di Ricostruzione Digitale Skeiron, ha presentato un progetto di digitalizzazione delle sinagoghe ucraine e di altri edifici storici: oltre 200 edifici mappati e scannerizzati in 3D per preservarli anche in tempo di guerra. “Molti edifici religiosi sono stati trasformati in magazzini o abbandonati. Digitalizzarli significa conservarne la memoria.” Dopo l’incontro, i partecipanti sono stati invitati al piano superiore del Memoriale per provare i visori 3D messi a disposizione dal team di Skeiron. Grazie a una tecnologia immersiva di alta precisione, è stato possibile esplorare virtualmente edifici storici ucraini.

Nel complesso, l’incontro ha contribuito a rafforzare una lettura storica più consapevole, restituendo profondità alla presenza ebraica in Ucraina e contrastando le semplificazioni ideologiche di ieri e di oggi.