Midnight Hammer: la notte in cui l’America ha colpito la Repubblica Islamica dell’Iran

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di Davide Cucciati

La notte tra il 21 e il 22 giugno, gli Stati Uniti, con l’operazione Midnight Hammer, hanno attaccato tre siti nucleari del regime iraniano: Fordow, Natanz e Isfahan. Con un messaggio pubblicato sulla piattaforma Truth Social, il Presidente degli Stati Uniti ha rivendicato la responsabilità dell’operazione. Trump ha scritto che il raid è stato portato a termine “con successo” e “tutti gli aerei sono ora fuori dallo spazio aereo iraniano”. In particolare, egli ha dichiarato: “Su Fordow è stato sganciato un carico completo di bombe. Tutti i velivoli sono in salvo e stanno rientrando alla base”. In post successivi, il Presidente statunitense ha rilanciato la frase “Fordow is gone” e ha definito l’operazione “un momento storico per gli Stati Uniti d’America, per Israele e per il mondo intero. Ora l’Iran deve accettare di porre fine a questa guerra”. Secondo le prime analisi, le immagini satellitari del sito di Fordow mostrerebbero una serie di impatti presso i punti d’ingresso del complesso e segni di cedimento del terreno.

Reuters riporta che, verso le 4 del mattino (ora italiana) del 22 giugno, Trump ha tenuto un breve discorso televisivo alla nazione dalla Casa Bianca, affiancato dal Vicepresidente J.D. Vance e dai segretari alla Difesa (Pete Hegseth) e di Stato (Marco Rubio). In questo intervento ha confermato che “i siti nucleari chiave iraniani sono stati completamente e totalmente distrutti” da “massicci attacchi di precisione”, definendo l’operazione “uno spettacolare successo militare”. Il Presidente statunitense ha avvertito la leadership di Teheran che “il futuro dell’Iran è pace o tragedia”, minacciando ulteriori azioni “con precisione, velocità e abilità” su altri obiettivi se il regime non avesse accettato di porre fine al conflitto e di negoziare la pace. Trump ha ribadito che “è giunta l’ora della pace”, invitando l’Iran ad arrendersi e sottolineando che gli Stati Uniti non mirano a un cambio di regime ma unicamente a eliminare la minaccia nucleare. Egli ha anche lanciato un monito su Truth Social specificando che “qualsiasi ritorsione dell’Iran contro gli Stati Uniti sarà contrastata con una forza di gran lunga superiore a quella di questa sera”

Secondo fonti operative, il raid è stato condotto da bombardieri strategici B-2 Spirit. Gli aerei hanno colpito in profondità utilizzando sei bombe GBU-57/B (note come “bunker buster”), da 15 tonnellate ciascuna, capaci teoricamente di penetrare anche oltre 60 metri di cemento armato ad alta densità. A confermare l’uso di questi ordigni è stato anche il conduttore Sean Hannity, riportando fonti vicine alla Casa Bianca. Parallelamente, l’US Navy ha lanciato circa 30 missili da crociera Tomahawk da sottomarini contro gli impianti di Isfahan e Natanz.

Israel National News riporta che l’attacco era stato preparato da tempo. Già un anno fa, durante l’amministrazione Biden, Stati Uniti e Israele avevano condotto un’esercitazione congiunta simulando attacchi a infrastrutture nucleari iraniane. Nei giorni precedenti al raid, Trump e Netanyahu avevano avuto contatti diretti. Secondo fonti israeliane, Gerusalemme era stata informata con anticipo, ma si sarebbe preferito creare l’impressione di disaccordo tra i due Paesi per disorientare l’Iran. Il sito di Fordow, collocato in profondità sotto una montagna vicino a Qom, è noto per le sue attività di arricchimento avanzato dell’uranio. Isfahan ospita invece impianti di conversione e fabbricazione del combustibile, mentre Natanz rappresenta da anni uno dei centri più sensibili del programma nucleare iraniano.

L’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran ha denunciato gli attacchi come una violazione del diritto internazionale, ribadendo che il programma nucleare proseguirà. Secondo una fonte iraniana citata da Reuters, la maggior parte dell’uranio altamente arricchito presente a Fordow era stata rimossa e trasferita in una località segreta prima del bombardamento. Anche il personale sul posto sarebbe stato ridotto, segno che il regime islamico temeva l’attacco.

Sempre secondo Israel National News, le autorità iraniane di Qom hanno confermato che la base di Fordow è stata colpita, parlando di “obiettivi ostili identificati e attacco aereo nemico”. I responsabili della sicurezza regionale hanno inoltre riportato che a Isfahan e Natanz sono state registrate “incursioni vicino alle strutture nucleari”.

In Europa, la reazione è stata prudente. I principali leader hanno evitato condanne esplicite ma anche applausi formali. La linea comune è stata un appello alla de-escalation e al ritorno alla diplomazia, con un implicito riconoscimento della minaccia rappresentata dal programma nucleare iraniano.

In Israele, l’operazione ha suscitato un consenso trasversale. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha ringraziato pubblicamente Trump per “aver portato la pace attraverso la forza”. In un messaggio in inglese, ha dichiarato: “Il presidente Trump e io diciamo spesso: prima viene la forza, poi la pace. E stanotte, il presidente Trump e gli Stati Uniti hanno agito con molta forza. La sua leadership ha creato una svolta storica che può condurre il Medio Oriente e oltre verso un futuro di prosperità e pace. Presidente Trump, grazie. Il popolo di Israele la ringrazia. Le forze della civiltà la ringraziano.” Anche Yair Golan, figura di riferimento della sinistra, ha dichiarato: “L’azione americana è impressionante, importante e giustificata. Non si può tollerare un Iran nucleare, e bene ha fatto Washington a chiarirlo al mondo. Come ha scritto il presidente Trump: ora è il momento della pace, di un accordo globale, della liberazione degli ostaggi, della normalizzazione regionale, della vera sicurezza per Israele.” Anche il centro e i partiti sionisti religiosi hanno espresso pieno sostegno, riconoscendo la portata della minaccia e la necessità di coordinamento strategico con Washington.

Negli Stati Uniti, il sostegno all’operazione ha superato le divisioni partitiche, ma non sono mancate le critiche. Tra i favorevoli, spicca il senatore democratico John Fetterman, che ha scritto: “Come sostengo da tempo, questa è stata la scelta giusta da parte del presidente. L’Iran è il principale sponsor mondiale del terrorismo e non può avere capacità nucleari. Sono grato alle nostre forze armate: le migliori del mondo.”  Tra i repubblicani, hanno lodato l’operazione il senatore Lindsey Graham (“Well done, President Trump”) e lo Speaker Mike Johnson, che ha scritto: “Il Presidente ha dato all’Iran ogni opportunità di fare un accordo. Questa azione decisiva impedisce al più grande sponsor del terrorismo di ottenere l’arma più letale del pianeta.” Tuttavia, dei rappresentanti repubblicani, Thomas Massie, Warren Davidson, Marjorie Taylor Greene, Rand Paul e Mike Lee, hanno espresso riserve costituzionali sull’operazione, criticando l’assenza di un passaggio per il Congresso e il possibile superamento dei limiti del War Powers Act e dell’articolo I della Costituzione. Il Vicepresidente Vance aveva chiesto cautela prima del raid. Altri, come Greene e Massie, hanno parlato dopo, accusando Trump di tradire lo spirito del movimento America First in nome del decisionismo militare. Si tratta di una minoranza nel partito, ma che mette in evidenza le diverse anime della destra americana che vanno da quella tipicamente neocon dei primi anni 2000 per giungere al MAGA attuale. Da un lato una visione degli Stati Uniti come potenza globale che si proietta nei diversi teatri operativi anche al fine di salvaguardare il proprio primato politico, ideologico e militare, dall’altro la volontà di isolazionismo. Trump sembra oscillare tra i due poli a seconda dei contesti nonostante la campagna elettorale sia stata caratterizzata da tematiche riconducibili al MAGA, Make America Great Again. Curiosamente, su questo punto si è verificata una convergenza con l’ala più radicale dei Democratici. Infatti, la deputata Alexandria Ocasio-Cortez ha definito l’azione: “Una decisione disastrosa, una grave violazione della Costituzione e dei War Powers del Congresso. Il Presidente ha agito in modo impulsivo, rischiando di avviare una guerra che potrebbe coinvolgerci per generazioni. È senza dubbio un fondamento chiaro per l’impeachment.”

 

Al momento in cui questo articolo è scritto, ovverosia a metà giornata del 22 giugno, il Times of Israel riporta che il regime iraniano ha lanciato una nuova ondata di missili contro il territorio israeliano. Domenica mattina, almeno 27 missili balistici sono stati lanciati in due salve, intorno alle 7:30 e alle 8:00, attivando le sirene nel centro e nel nord del Paese, compresa Gerusalemme. A Tel Aviv e a Ness Ziona, alcuni missili hanno causato danni diretti. Cinque persone sono arrivate al pronto soccorso dell’Ichilov Medical Center, tra cui due bambini, con ferite lievi. Inoltre, un uomo è stato moderatamente ferito da schegge mentre viaggiava sulla superstrada 431, nei pressi di Be’er Yaakov.

Secondo le autorità sanitarie israeliane, il bilancio complessivo degli attacchi condotti dai Pasdaran dall’inizio della campagna è di 24 morti e migliaia di feriti.