di Luciano Assin (dal blog L’altra Israele)
È impressionante come il pogrom del 7 ottobre abbia innescato un effetto domino di cui adesso vediamo probabilmente il culmine mentre le restanti tessere ancora in piedi ci impediscono di prevedere come e quando riusciremo a vedere il termine di questi vertiginosi avvenimenti. Da quello che è successo fino ad ora ecco le conclusioni che se ne possono trarre.
È almeno dal 2011 che Israele ha inquadrato il regime iraniano come un obiettivo da colpire. Allora furono i servizi segreti e l’esercito ad opporsi, principalmente per motivi logistici e per un’insufficiente preparazione per un’operazione del genere.
L’eliminazione dei principali proxi iraniani, Hezbollah ed Hamas, ha accelerato la realizzazione dell’attuale scenario: colpire in maniera determinante la piovra iraniana dalla quale si diramano i vari tentacoli che minacciano non solo Israele, ma tutta la regione medio orientale. Per inciso anche l’Europa si trova da anni sotto la minaccia missilistica iraniana visto che la gittata dei missili del regime degli Ayatollah può raggiungere fra l’altro l’Italia, la Francia e la Germania.
Dubito fortemente in un cambiamento dell’attuale regime da parte del popolo iraniano senza un effettivo intervento militare esterno. La composizione etnica è innumerevole (i persiani sono solo il 61% della popolazione), l’opposizione al regime è frammentata e non ha una figura di spicco che possa aggregare e catalizzare la rabbia e l’odio accumulati in questi decenni verso il tirannico potere teocratico. Anche se l’esercito optasse per un colpo di Stato, il regime degli Ayatollah ha costruito una milizia parallela, i Pasdaran, legata a doppio filo ai leader del paese.
I primi attacchi israeliani e la conseguente risposta iraniana hanno, a mio avviso, fatto emergere alcuni aspetti molto interessanti e non abbastanza sottolineati dai media e dai vari commentatori. Il primo fattore è quello dell’Intelligence: la sicurezza interna iraniana si è rivelata un autentico colabrodo, sia per la facilità con la quale Israele è riuscita a colpire e mettere fuori uso diversi impianti strategici, sia per la quantità di appoggio logistico ricevuto dai dissidenti all’interno del territorio persiano. Stiamo parlando di una rete messa in piedi da almeno qualche anno, e tutto questo in un contesto spietato e sospettoso dominato dai Pasdaran.
Il secondo fattore è di carattere militare e ha rivelato le carenze strutturali dell’esercito iraniano. Tecnologie e tattiche di combattimento insufficienti e talvolta obsolete. La facilità con la quale l’aviazione israeliana domina lo spazio aereo e riesce a colpire indisturbata qualsiasi obiettivo è stupefacente.
Sempre rimanendo nel campo militare entrambi i contendenti non sono ancora in grado di quantificare quanti e quali missili abbia in dotazione il loro reciproco avversario. Israele ipotizza che gli iraniani abbiano ancora nel loro arsenale qualcosa come 2000 missili balistici, il loro problema è il numero insufficiente di rampe di lancio che ne impedisce un lancio massiccio. Anche i centri di produzione di nuovi missili sono stati neutralizzati, se ciò fosse vero significa che l’Iran deve centellinare i propri lanci per non esaurire troppo in fretta le scorte a disposizione.
Il primo problema israeliano è quello di riuscire a costruire abbastanza missili intercettori in tempo utile. Il secondo problema, enormemente più grande, è riuscire a trasformare l’attuale successo militare in un corrispettivo risultato politico. Non ci è riuscito in nessuna guerra ed ho il timore che anche questa volta non ci saranno cambiamenti radicali. Sicuramente Israele non può permettersi una guerra di logoramento di svariati anni contro gli iraniani, che nonostante le loro pecche rimangono ancora un avversario di tutto rispetto.
Oltre a queste problematiche politiche e militare continua la tragedia degli ostaggi israeliani in mano a Hamas, dal punto di vista israeliano la liberazione degli ostaggi è un punto cruciale per salvaguardare quel minimo di coesione sociale senza il quale la democrazia interna del paese si troverebbe in un serio pericolo.