Le tensioni in Israele continuano a crescere con nuovi sviluppi militari e proteste civili. In un’escalation inaspettata, gli Houthi yemeniti hanno rivendicato un attacco diretto contro il cuore delle infrastrutture civili israeliane, l’aeroporto Ben Gurion, mentre Gaza continua a contare le vittime di una guerra che sembra non conoscere tregua. Parallelamente, in Israele, cresce la mobilitazione contro il conflitto con una marcia simbolica da Tel Aviv fino al confine con la Striscia, tra richieste di pace e controversie sull’identificazione con le vittime.
Attacco missilistico Houthi all’aeroporto Ben Gurion
Secondo quanto riportato dall’emittente yemenita Al Masirah, le forze armate yemenite fedeli agli Houthi hanno lanciato un missile balistico ipersonico “Palestine-2” contro l’aeroporto Ben Gurion, nei pressi di Tel Aviv. Il portavoce militare Yahya Sariya ha dichiarato che “l’operazione ha avuto successo” e che l’attività dell’aeroporto è stata sospesa. L’azione avrebbe anche impedito, per il secondo giorno consecutivo, l’atterraggio di un aereo cargo militare statunitense in Israele.
Il gesto viene presentato come “un sostegno al popolo palestinese oppresso”, con un significato strategico e simbolico che intensifica ulteriormente la regionalizzazione del conflitto in corso a Gaza.
I morti dalle due parti
A Gaza la conta dei morti continua drammaticamente a salire. Purtroppo gli unici dati a disposizione sono quelli del Ministero della Salute della Striscia, controllato da Hamas, impegnato ormai dall’inizio della guerra a diffondere informazioni false per danneggiare la reputazione di Israele.
Da parte israeliana, durante la settimana si sono contati quattro caduti tra i soldati che servono nell’esercito. Lunedì, tre soldati israeliani sono stati uccisi nel nord della Striscia di Gaza, nella zona di Jabalya, a causa dell’esplosione di un ordigno piazzato lungo la strada logistica che stavano percorrendo con un Humvee. Le vittime sono il sergente maggiore Lior Steinberg (20 anni, di Petah Tikva), il sergente maggiore Ofek Barhana (20 anni, di Yavne) e il sergente maggiore Omer Van Gelder (22 anni, di Ma’ale Adumim), parente di un altro soldato ucciso sei mesi fa in Libano.

Altri due soldati sono rimasti feriti in modo moderato. Le forze IDF sono intervenute per evacuare i feriti, operando in un’area disseminata di esplosivi, senza scontri attivi durante l’operazione.
I cinque militari stavano partecipando a un’operazione per distruggere infrastrutture terroristiche sotterranee e di superficie. Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha ordinato l’espansione dell’offensiva di terra a Gaza e la creazione di nuovi centri di distribuzione umanitaria. Secondo Zamir, Hamas ha perso il controllo dell’enclave.
L’esercito israeliano ha annunciato che martedì è stato ucciso in combattimento nel nord della Striscia di Gaza il sergente maggiore della riserva Alon Farkas, di 27 anni. Nello stesso episodio, un altro soldato è rimasto gravemente ferito.
Farkas, originario del Kibbutz Kabri nel nord di Israele, era studente di ingegneria all’Università Ben Gurion.
Dall’inizio della guerra il 7 ottobre 2023, sono caduti 861 soldati israeliani. Dalla fine della tregua il 18 marzo 2025, sono stati uccisi 12 soldati e un ufficiale della polizia di frontiera a Gaza, oltre a due soldati morti in incidenti stradali operativi (uno a Gaza, l’altro sulle alture del Golan).
Aiuti umanitari nel mirino: strade bloccate e nuove vittime
L’esercito israeliano ha messo in guardia i residenti della Striscia dal recarsi verso i centri di distribuzione degli aiuti, dichiarando che le strade che vi conducono sono ora considerate “zone di combattimento”. Questo avvertimento segue la morte di almeno 27 palestinesi, colpiti ieri mentre aspettavano il cibo fornito dalla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), sostenuta dagli Stati Uniti.
La GHF ha sospeso temporaneamente la distribuzione per “lavori di aggiornamento, organizzazione e miglioramento dell’efficienza” e ha dichiarato di essere in trattativa con le Forze di Difesa Israeliane per rafforzare le misure di sicurezza intorno ai propri punti di distribuzione. Lo smistamento degli aiuti umanitari è stato oggetto di una serie di accuse infondate all’esercito israeliano.
Bombardamenti israeliani contro obiettivi siriani
A conferma della complessità e dell’espansione del conflitto, le Forze di Difesa Israeliane (Idf) hanno colpito stamattina obiettivi militari in Siria, nella zona meridionale del Paese, in risposta a un attacco missilistico lanciato ieri dalle alture del Golan. “Il regime siriano è responsabile di ciò che accade nel suo territorio”, ha dichiarato l’esercito israeliano in un comunicato, “e continuerà a sopportarne le conseguenze finché permetterà attività ostili contro Israele”.
La protesta si muove: marcia per la pace da Tel Aviv a Gaza
In mezzo a questo scenario bellico, una voce diversa si è alzata dalla società civile israeliana. Un gruppo di manifestanti anti-guerra ha dato il via a una marcia di tre giorni da Tel Aviv fino al confine con la Striscia di Gaza, chiedendo un accordo per il rilascio degli ostaggi ancora trattenuti da Hamas e la fine delle ostilità.
Si tratta dell’ultima di una serie di marce di protesta organizzate negli ultimi anni da attivisti israeliani. In passato, marce simili avevano portato i manifestanti da Tel Aviv a Gerusalemme, culminando in sit-in di massa davanti alla Knesset.
Nonostante i numeri iniziali siano modesti, gli organizzatori prevedono che la partecipazione crescerà sensibilmente nei prossimi giorni, soprattutto in prossimità del confine. Sono attesi anche diversi parenti degli ostaggi. Per venerdì è prevista una “White March” guidata da una vasta coalizione di organizzazioni di sinistra, coordinata dal movimento ‘Standing Together’.
Tuttavia, la marcia non è stata accolta senza polemiche. Alcuni manifestanti sono stati contestati per aver esposto immagini di bambini palestinesi uccisi nei bombardamenti su Gaza, invece che ritratti degli ostaggi israeliani, come i fratellini Bibas, assassinati da Hamas. Il dibattito sull’identificazione delle vittime — e su chi abbia diritto di rappresentare il dolore — rimane così uno dei nodi più delicati in una società israeliana divisa, scossa e affaticata da mesi di guerra.