I numerosi volti di Dobruska, filosofo, poeta, ribelle

Libri

di Fiona Diwan

La Philosophie Sociale di Moses Dobruska, un testo redatto nel 1793, è il vero atto costitutivo di una nuova scienza umanistica, la Sociologia, prima che Saint Simon e Comte ne usurpassero la paternità. Un saggio svela il furto intellettuale.

Uomo d’affari o raffinato letterato, filosofo controcorrente oppure arrampicatore sociale alla corte degli Asburgo? Rivoluzionario parigino, pensatore anticonformista o scellerato apostata dell’ebraismo? Empio o illuminato, sovversivo giacobino oppure cicisbeo imparruccato dei salotti viennesi? Insomma, chi è stato davvero Moses Dobruska, nato a Brno in Moravia, nel 1753, e morto a Parigi sulla ghigliottina nel 1794, vittima del Terrore di Robespierre e salito al patibolo insieme a Danton? Non è semplice tracciare l’identikit di un personaggio così sfaccettato e sfuggente, uomo coltissimo, immensamente ricco, a suo modo estremo e fuori dagli schemi, la cui vicenda si innesta sul tronco di un ebraismo esoterico e eversivo, quello dei messia fasulli e selvaggi, nel solco di Shabbatai Zvi e Jacob Frank, personaggi distruttivi che vollero dare una risposta, deviata e blasfema, alla miseria delle masse ebraiche e all’immane sofferenza provocata da emarginazione, pogrom e abusi.
Secondogenito di dodici figli, rampollo di un’agiata famiglia ebraica in odore di frankismo, convertitosi al cattolicesimo per meglio poter entrare nei palazzi dell’aristocrazia, a Moses Dobruska dobbiamo la nascita di un nuovo filone di studi, la Sociologia, una disciplina nata nell’Ottocento con Henry de Saint Simon e Auguste Comte ma che in realtà viene inaugurata dalla Philosophie Sociale di Dobruska, un testo redatto appena prima della morte, nel 1793.

A raccontarci l’avventurosa vicenda umana e filosofica di Dobruska arriva oggi l’importante saggio Il sociologo eretico (primo volume della collana della Fondazione Goren Monti Ferrari, Giuntina, 18 euro), scritto da Silvana Greco, docente di Sociologia del giudaismo alla Freie Universitat di Berlino: una disamina che dispiega, passo dopo passo, la tela di pensiero di Dobruska, da Rousseau a Montesquieu, da Hobbes a Kant (che ne apprezzò pubblicamente il lavoro), fino a Comte e Saint Simon. Silvana Greco ricostruisce le appropriazioni indebite, il furto intellettuale e lo scippo delle intuizioni operato da altri pensatori ai danni di Dobruska, un outsider di bizzarra reputazione il cui ricordo andava liquidato alla svelta e rinchiuso nello sgabuzzino della Storia. Perché crolla l’Ancien Règime? Quali i suoi elementi patologici? Come deve essere la nuova società che nasce sulle ceneri della monarchia assoluta? Come delineare una Costituzione universale che tenga conto del diritto alla felicità di ogni essere umano, si chiede Dobruska, riecheggiando la Costituzione americana? Di fatto, egli sarà il primo ad analizzare la realtà sociale in modo scientifico, distinguendola sia dalla sfera politica sia da quella morale, dando voce allo scandalo della tirannide sociale e postulando a gran voce l’esigenza di riorganizzare il corpo sociale. Dobruska enuclea 70 principi in base ai quali funziona la società che saranno in seguito i principi di una nuova Costituzione.

Precursore assoluto, sociologo ante litteram: Dobruska dedicherà la sua opera al popolo francese e ai gens de bien, alla gente perbene. Quello che Silvana Greco propone qui è un affascinante viaggio intellettuale, una storia occultata e dimenticata, riscoperta solo nel XX secolo da Gershon Sholem (che proprio a Dobruska e alle sue radici sabbatiane dedicherà un libro). Ma al di là della vita teatrale, Dobruska resta uno studioso serio e importante, fa notare Silvana Greco, un protagonista del dibattito intellettuale del suo tempo, che scrive saggi, poesie, trattati in ebraico, tedesco, boemo e francese. Ma per emergere, Dobruska è costretto a mascherarsi, gioca con le sue identità, si nasconde dietro le innumerevoli lingue che parla, muta il proprio nome come cambia camicia, a Strasburgo si fa chiamare Sigismond Gottlob, a Parigi si firma Junius Frey, a Vienna diventerà Franz Thomas Schonfeld, acquisendo un titolo nobiliare dalle mani dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria in persona. Metamorfico e sulfureo, eccolo comparire a Praga e poi materializzarsi a Vienna, spuntare a Strasburgo e un attimo dopo passeggiare sul lungosenna di Parigi.

Dicevamo della conversione: abbandono dell’ebraismo non tanto come odio di sé ma come scelta estrema in nome della Libertè e di un abbraccio tanto universale quanto illusorio, conversione come cinico biglietto d’ingresso nell’alta società, per dirla con Heinrich Heine, con Mendelssohn e con i molti ebrei tedeschi che nell’Ottocento fecero la stessa scelta.
Dicevamo: un trafficante o una spia, un avventuriero o un poeta? Enigmatico, misterioso, rocambolesco, Dobruska ci appare come uno Zelig del suo tempo, abitato da una capacità mimetica tipica di una generazione di spiriti inquieti. Ma la Rivoluzione non è un pranzo di gala e la fine è ahimè nota. Al di là del personaggio, la ricca analisi di Silvana Greco spiega e dispone per noi la sua opera, rivelandone tutta la forza di novità e l’originalità speculativa. Che cosa sarebbe diventato Dobruska se non si fosse schiantato sulla ghigliottina? Forse un altro Rousseau, anch’egli intento a cimentarsi con le magnifiche sorti e progressive, con la costruzione di un futuro in cui agli ebrei forse non sarebbe più stato chiesto di convertirsi per potersi esprimere, per farsi accettare e contare qualcosa.