Una riflessione per Shavu‘oth. Avraham Avinu e la Torah

di Rav Giuseppe Laras

B’’H

Due sono i significati di Shavu‘oth, la Festa delle Settimane: uno di natura agricola, che si riconnette al primo raccolto del grano e delle primizie (chag ha-bikkurìm), benedizione materiale donata da Dio al Suo popolo attraverso la terra; l’altro, di natura storica, legato a un evento unico, sovrumano e irripetibile, in cui -di fronte al monte Sinai, millenni orsono- il popolo ebraico, uscito prostrato e umiliato da una lunga e dolorosa schiavitù in terra di Egitto, fece esperienza di Dio, ricevendo tramite Mosheh Rabbenu la Torah divina. Torah, ovvero insegnamento, contenente la volontà di Dio, espressa nelle mitzvòth, nei confronti di Israele e del mondo; una volontà che supera il tempo e lo spazio, raggiungendo ognuno di noi oggi e anche domani.

Le ‘assèreth ha-Dibberòth (le Dieci Parole) rappresentano la quintessenza e la sintesi dell’identità e della missione di Israele, come pure, tramite la testimonianza del nostro popolo, il patrimonio etico-religioso dell’umanità.

Entrambe le Tavole del Decalogo sottolineano, con il loro contenuto rispettivamente religioso e morale, la doppia dimensione attraverso cui la nostra esistenza si manifesta e si esprime: in un rapporto di tipo “verticale”, che ci ricollega individualmente a Dio, e in un rapporto di tipo “orizzontale”, che ci introduce nella socialità con i nostri simili, con le loro esigenze, con i loro diritti e peculiarità.

Si pensi alla mitzvah “non uccidere”, che pone al centro dell’attenzione universale l’uomo con i suoi diritti e i suoi doveri, destinatario di vita e di dignità in quanto creatura portante impresso su di sé il sigillo dell’immagine divina. Si pensi anche alla mitzvah dell’osservanza dello Shabbath che ha rivoluzionato la storia umana, anticipando e facendo impallidire qualsivoglia politica sindacale, individuando e tutelando nuovi diritti, esaltando la creatività dell’uomo, il suo lavoro e la sua azione (co-operatore di Dio nella Sua creazione), al contempo affrancandolo dall’abbrutimento bestiale, dall’asservimento e dall’alienazione da sé e dal resto del creato.

“Non uccidere” e “non rubare” possono sembrare attualmente richiami ovvii e scontati: chi di noi, infatti, non sottoscriverebbe oggi un tale perentorio monito di salvaguardare la vita e la proprietà dei nostri simili?

Queste mitzvòth, secondo alcuni Maestri (in primis Sa’adyah Gaòn e Rambàm), sarebbero di natura razionale e intuitiva (mitzvòth sikhliyyòth), radicate cioè da Dio nel cuore umano e, conseguentemente, anche senza la Torah, come in parte dimostrano altre società e culture, passate e contemporanee, l’umanità ne avrebbe sentito l’esigenza, individuandole e osservandole. L’essere umano, quindi, se sprovvisto di tali comportamenti e azioni etiche, sarebbe, da un punto di vista etico intersoggettivo, meno che umano.

Perché, allora, la Torah le prescrive? Perché un conto è avvertire interiormente tali necessità e comportamenti, un conto è vederlo prescritto nella Torah; perché questi comportamenti sono talmente importanti per comprendere e ognora nobilitare la vita umana, che la Torah deve necessariamente suggellarli; perché, infine, può succedere che gli esseri umani non ragionino bene e la loro sensibilità si ottunda, non comprendendo questi precetti autonomamente, e allora la Torah deve ricordarne l’imprescindibilità.

Ma non si tratta soltanto di “sottoscrivere”, ma di fare propri, recependoli nel nostro essere più profondo e nelle nostre azioni, tali imperativi che provengono da lontano nel tempo, ma che sono e saranno sempre attuali (purtroppo, troppo spesso, drammaticamente attuali).

Il messaggio del Sinài non è vecchio, né logoro, né superato, ancorché solenne e maestoso, ma ancora oggi è fresco, vitale e attuale, mantenendo inalterata la sua necessità per la vita di Israele e del mondo.

È opportuno, soffermarsi, infine, seppur brevemente su un’ulteriore questione. È infatti insegnamento tradizionale dei Maestri di Israele che la Torah, sia quella scritta (Torah she-bikhtàv) sia quella orale (Torah she-be-‘al-pè), sia stata conosciuta e osservata dai Patriarchi ben prima che essa fosse promulgata sul Monte Sinai.

La fonte di tale assunto si trova, rispettivamente, in Bereshìth (XXVI, 3-5) (“…Io sarò con te e ti benedirò…farò numerosa la tua discendenza come le stelle del cielo…, e nella tua discendenza saranno benedette tutte le famiglie della terra, come conseguenza del fatto che Abramo ascoltò la mia voce, osservando la mia volontà, i miei precetti, i miei statuti e i miei comandamenti.”) e nella Mishnah nel Trattato di Kiddushìn IV, 13.

Un interrogativo, a questo punto, sorge spontaneo: in che modo e attraverso quali strumenti poté Abramo conoscere e recepire la Torah nella sua interezza, prima che essa venisse effettivamente data?

La domanda, nella sua evidente ovvietà, era già stata posta dal Midràsh (Ber. R. LXI,1) che, escluso a priori che ad insegnargliela potessero essere stati il padre (idolatra) o un maestro (inesistente), formulava la seguente risposta: Il Santo e Benedetto predispose che i due reni di Abramo si trasformassero in due Maestri capaci di insegnargli Torah e Scienza, secondo quanto recitano i Salmi (XVI, 7); “Ringrazio il Signore che mi diede buoni consigli e anche perché nelle notti i miei reni mi hanno dato insegnamento”.

La conoscenza della Torah da parte di Abramo, dunque, sembrerebbe essergli pervenuta in via esclusivamente intellettiva, cioè attraverso l’uso dell’apparato sensoriale, e non dall’esterno, ovvero dal Cielo (Torah min-ha-Shamaim), come per il popolo di Israele sul Sinai.

Ciò, tuttavia, non deve far credere i Patriarchi fossero in grado autonomamente di osservare soltanto la precettistica intellettiva. Non è così! È invece un assunto della letteratura talmudica e midrashica che Abramo e i Patriarchi osservarono tutta la Torah nella sua interezza, il che includerebbe la precettistica nella sua globalità, comprendente cioè anche quella cosiddetta “uditiva”, ovvero non dipendente dall’intelletto. Tale precettistica è indicata come “uditiva” da Sa‘adyah Gaòn e da Maimonide, perché, se non fosse stata udita sul Sinai, non sarebbe stata deducibile per via razionale.

Data la profondità e l’estensione del potenziale intellettivo di Abramo, è anche però forse possibile che egli fosse in grado di recepire integralmente le mitzvòth solo per via autonoma e razionale nella loro globalità, comprendente le più diverse tipologie. Questo sarebbe accaduto, cioè, senza il bisogno di una qualsiasi comunicazione proveniente dall’esterno.

Tale questione, tutt’altro che oziosa o pedante, si espresse nell’antichità in una contrapposizione (machlocheth) tra due Maestri, Rabbì Shim‘òn e Rabbì Levì (Ber. R. XCV). Secondo il primo, Abramo aveva appreso la Torah attraverso i suoi due reni, opportunamente modificati da Dio, come già accennato; secondo l’altro Maestro, invece, Abramo aveva appreso la Torah “da sé medesimo”.

Sintetizzando, le due posizioni teorizzerebbero la capacità di Abramo, rispettivamente, di cogliere la volontà di Dio attraverso il proprio apparato intellettivo-sensoriale, come pure la capacità esclusivamente intellettiva di Abramo di accedere alla conoscenza della Torah.

Una terza posizione la possiamo infine individuare nella visione concessa da Dio ad Abramo: “quattro cose volle mostrare il Santo e Benedetto ad Abramo: l’inferno, i Regni, il dono della Torah e il Santuario (Ber. R. XLIV, 21”. Il testo non significa che Dio unicamente mostrò ad Abramo l’evento straordinario e sovraumano del ma‘amàd har-Sinai (la teofania sul Sinai), che non comprenderebbe dunque necessariamente anche ciò che fu detto in quel contesto, ma piuttosto che Egli gli fece altresì vedere e ascoltare tutto ciò che in quel contesto venne detto.

È congiuntamente da quella visione e da quell’ascolto che Abramo ebbe ad apprendere la Torah, per così dire, in anteprima, tanto nella sua generalità che nella sua particolarità.

Mo‘adìm le-simchah! Fervidi auguri di felice Shavu‘oth a tutti!

Bivrakhah,

Rav Prof. Giuseppe LARAS

Presidente del Tribunale Rabbinico del Centro-Nord Italia