Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Perché la Provvidenza Divina, o le scelte umane, o entrambe, hanno condotto il popolo ebraico a essere così piccolo? Forse perché, attraverso il popolo ebraico, Dio vuole comunicare all’umanità che non serve essere numerosi per essere grandi. Le nazioni non si giudicano in base alla loro dimensione, ma in base al loro contributo all’eredità umana.
C’è un’affermazione fatta verso la fine della parashà di Vaetchanan, così discreta che a volte può sfuggirci. Eppure è un’affermazione dalle implicazioni così profonde che mette in discussione l’impressione trasmessa finora dalla Torà, offrendo un’immagine completamente nuova del popolo d’Israele nella Bibbia: “Non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli il Signore si è affezionato a voi e vi ha scelti anzi, siete il più piccolo di tutti i popoli.” (Deuteronomio 7:7)
Questo non è ciò che abbiamo sentito finora. In Bereshit, Dio promette ai patriarchi che i loro discendenti saranno come le stelle del cielo, la sabbia del mare, la polvere della terra: incalcolabili. Ad Avraham viene detto che sarà padre non solo di un popolo, ma di molti popoli. All’inizio di Shemot leggiamo come la famiglia dell’alleanza, composta da soli settanta individui scesi in Egitto, divenne: “Feconda e prolifica; moltiplicò e crebbe enormemente, tanto che la terra ne fu piena” (Esodo 1:7).
Nel libro di Devarim, Moshe descrive per tre volte Israele “numeroso come le stelle del cielo” (Deuteronomio 1:10, 10:22, 28:62).
Il re Shlomò dice di trovarsi in mezzo a: “Un popolo numeroso, troppo grande per essere contato o calcolato” (I Re 3:8).
Il profeta Hoshea afferma che “Gli Israeliti saranno come la sabbia del mare, che non può essere né misurata né contata” (Hoshea 2:1).
In tutti questi testi, e ce ne sono altri, è la grandezza numerica del popolo a essere sottolineata. Come dobbiamo quindi interpretare le parole di Moshe, che invece ne sottolineano la piccolezza? Il Targum Yonatan interpreta il versetto non in senso numerico, ma come un riferimento all’immagine che il popolo ha di sé. Traduce non “il più piccolo tra i popoli”, ma “il più umile e modesto tra i popoli”. Rashi offre una lettura simile, citando le parole di Avraham: “Io non sono che polvere e cenere”, e quelle di Moshe e Aharon: “Chi siamo noi?”
Rashbam e Chizkuni propongono un’interpretazione più letterale: Moshe sta confrontando il popolo d’Israele con le sette nazioni che essi avrebbero dovuto affrontare nella Terra di Canaan/Israele. Dio li avrebbe condotti alla vittoria nonostante fossero numericamente inferiori agli abitanti del luogo.
Rabbenu Bachya cita Maimonide, secondo il quale ci si sarebbe aspettati che Dio, Re dell’universo, scegliesse la nazione più numerosa del mondo come Suo popolo, dal momento che: “La gloria del Re è nella moltitudine del popolo” (Mishlè/Proverbi 14:28). Ma Dio non fece così. E quindi Israele dovrebbe riconoscere quanto è straordinariamente benedetto, essendo stato scelto da Dio nonostante la sua piccolezza, per essere il Suo am segulah, il Suo popolo tesoro.
Rabbenu Bachya si sente così costretto a offrire una lettura più complessa, per risolvere la contraddizione tra Moshe che dice che Israele è il più piccolo dei popoli e, allo stesso tempo, che è “numeroso come le stelle del cielo”. Trasforma quindi il versetto in una frase ipotetica al congiuntivo: Dio vi avrebbe scelti anche se foste stati il più piccolo dei popoli.
Lo Sforno dà una spiegazione semplice e diretta: Dio non ha scelto una nazione per la propria gloria. Se fosse stato così, avrebbe certamente scelto un popolo grande e potente. La Sua scelta non ha nulla a che vedere con l’onore, ma tutto a che vedere con l’amore. Ha amato i patriarchi per la loro disponibilità ad ascoltare la Sua voce, e perciò ama anche i loro figli. Eppure, in questo versetto, risuona qualcosa che attraversa tutta la storia ebraica. Gli ebrei sono stati — e sono tutt’ora — un piccolo popolo: oggi meno dello 0,2% della popolazione mondiale.
Le ragioni sono due: la prima è il pesante tributo pagato nei secoli a causa di esili e persecuzioni, sia per gli ebrei uccisi in massacri e pogrom, sia per quelli che si sono convertiti – nella Spagna del XV secolo e nell’Europa del XIX secolo – per evitare persecuzioni. (Tragicamente, neanche la conversione funzionava: l’antisemitismo “razziale” è persistito in entrambi i casi). La popolazione ebraica attuale è solo una frazione di ciò che sarebbe potuta essere se non ci fossero stati Adriano, le Crociate o l’antisemitismo. La seconda ragione è che gli ebrei non hanno mai cercato di convertire altri. Se lo avessero fatto, il loro numero si avvicinerebbe a quello dei cristiani (2,2 miliardi) o dei musulmani (1,3 miliardi).
Il Malbim interpreta il nostro versetto proprio in questo senso. I versetti precedenti parlano dell’ingresso in una terra abitata da sette nazioni: Hittiti, Girgashiti, Emorei, Cananei, Perizziti, Chiviti e Yevusiti. Moshe ammonisce contro il matrimonio misto con queste nazioni, non per motivi razziali, ma religiosi: “Poiché allontanerebbero i tuoi figli dal seguirMi per servire altri dèi”. Malbim legge il nostro versetto come un avvertimento di Moshe agli Israeliti: Non giustificate i matrimoni misti con l’idea che così aumenterete il numero degli ebrei. A Dio non interessano i numeri.
C’è stato un momento in cui gli ebrei avrebbero potuto cercare di convertire altri (e in effetti una volta lo fecero: il re-sacerdote asmoneo Yochanan Hircano I, convertì con la forza gli Edomiti, conosciuti come Idumei. Erode era uno di loro). Questo accadde durante l’Impero Romano, nel I secolo. Gli ebrei erano circa il 10% della popolazione dell’Impero, e molti Romani ammiravano la loro fede e il loro stile di vita. Le divinità pagane stavano perdendo fascino e plausibilità, e in tutto il Mediterraneo molte persone adottavano pratiche ebraiche. Ma due aspetti dell’ebraismo costituivano un ostacolo: i precetti e la circoncisione. Alla fine, gli ebrei scelsero di non scendere a compromessi per il bene del proselitismo. I simpatizzanti dell’ebraismo finirono per adottare il cristianesimo paolino. Per tutta la storia, gli ebrei hanno preferito rimanere fedeli a se stessi, anche a costo di rimanere un piccolo popolo, piuttosto che compromettere i propri valori per aumentare di numero.
Perché la Provvidenza Divina, o le scelte umane, o entrambe, hanno condotto il popolo ebraico a essere così piccolo? Forse perché, attraverso il popolo ebraico, Dio vuole comunicare all’umanità che non serve essere numerosi per essere grandi. Le nazioni non si giudicano in base alla loro dimensione, ma in base al loro contributo all’eredità umana.
La prova più potente di ciò è che un popolo così piccolo abbia potuto produrre, in ogni generazione: profeti, sacerdoti, poeti, filosofi, saggi, giusti, decisori, interpreti, commentatori, rebbe e rosh yeshivòt; e anche alcuni tra i più grandi scrittori, artisti, musicisti, registi, accademici, intellettuali, medici, avvocati, imprenditori, innovatori tecnologici del mondo. Senza alcuna proporzione con il loro numero, gli ebrei si trovano ovunque vi sia qualcuno che combatte l’ingiustizia, la povertà, le malattie, l’ignoranza.
Per ampliare gli orizzonti spirituali e morali dell’umanità, non servono i numeri. Servono altre cose:
– Il senso del valore e della dignità dell’individuo;
– la fiducia nel potenziale umano di trasformare il mondo;
– l’importanza di dare a ciascuno la miglior istruzione possibile;
– far sentire ognuno parte di una responsabilità collettiva per migliorare la condizione umana;
– e la disponibilità di realizzare ideali alti nel mondo reale, senza lasciarsi scoraggiare da delusioni o sconfitte.
Questo è oggi più evidente che mai nel popolo d’Israele nello Stato di Israele: calunniato dai media, vilipeso da gran parte del mondo, eppure capace, anno dopo anno, di realizzare miracoli umani in medicina, agricoltura, tecnologia, arte – come se la parola “impossibile” non esistesse in ebraico.
Perciò, quando ci sentiamo spaventati o scoraggiati per la condizione di Israele, vale la pena tornare alle parole di Moshe: “Non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli il Signore si è affezionato a voi e vi ha scelti anzi, siete il più piccolo di tutti i popoli.”
Piccolo? Sì.
Ancora circondato, come lo era allora, da “nazioni più grandi e più forti di voi”. Ma quel piccolo popolo, sfidando le leggi della storia, è sopravvissuto a tutti i grandi imperi, e ha ancora oggi un messaggio di speranza per l’umanità: Non devi essere grande per essere grande. Se sei aperto a una forza più grande di te, diventerai più grande di te stesso. Israele oggi porta ancora questo messaggio al mondo.
Scritto da Rabbi Jonathan Sacks, 2012