Tra psicoanalisi e spiritualità, passando da Maimonide a Jung: una serata di Kesher

di Michael Soncin
Domenica 31 marzo, presso la scuola della comunità ebraica di Milano, si è tenuta la conferenza organizzata da Kesher intitolata ‘Percorsi psicoanalitici e spirituali. ‘Al di là dell’io”, con la presenza di Rav Della Rocca ad introdurre e moderare il dibattito tra i diversi relatori.

“Questo incontro di Kesher si propone di approfondire quelli che sono alcuni segmenti, alcune coniugazioni tra quelle che sono le fonti spirituali e i percorsi psicoanalitici: ogni persona nella vita fa un percorso per individuare il suo vero sé”, ha dichiarato Rav Della Rocca, dicendo che la psicoanalisi in qualche modo è una scienza ebraica, poiché fu fondata dall’ebreo austriaco Sigmund Freud.

Corpo e mente in Maimonide

La prima relatrice è stata Viviana Fargion, psichiatra e medico psicoterapeuta professionista. Durante la conferenza ci espone il suo contributo sulla visione di Maimonide, considerato uno dei più grandi rabbini di tutti i tempi.

“Se mi posso permettere oggi di interpretare il pensiero di Maimonide sull’argomento della nostra conferenza  – afferma Viviana Fargion – direi innanzitutto che Al di là dell’io, c’è Hashem essenzialmente e fondamentalmente e poi c’è il rapporto con se stesso e con l’altro”.

Maimonide considera il corpo e la mente un insieme unico e indissolubile, laddove il corpo soffre la mente soffre e viceversa. Il corpo è quindi da conservare integro e far sì che prevenendo le malattie – che si possono prevenire – possiamo dargli delle regole di vita per non ammalarsi. Le regole di Maimonide, possono apparire difficili, ma se eseguite giornalmente divengono quasi automatiche; i regolamenti riguardano in particolare l’alimentazione, fonte della nostra sopravvivenza.

Maimonide, pur seguendo le regole dettate dalla Torah, si rivolge a tutti, ebrei e non, poiché sono precetti generali. Insiste sulla moderazione dei pasti, sulla scelta degli alimenti in estate e inverno, sulla qualità e quantità, sul fatto di alzarsi da tavola non completamente sazi.

Oggi sappiamo che molte malattie metaboliche, si curano con la dieta, in primis il diabete, che è curato sia con la dieta sia con l’esercizio fisico, dà come regola di poter bere vino ai pasti e non durante il giorno, per non occludere la mente, l’esercizio fisico per mantenersi autonomi ed efficienti, le ore del sonno, circa otto, secondo il bisogno individuale e l’obbligo di lavare il corpo almeno una volta alla settimana.

Per ciò che riguarda i disagi dell’anima, per Maimonide è importante che l’individuo si renda conto di essere su una via sbagliata, nel condurre la propria vita; sapere se si è inclini più all’ira che alla flemma, più all’ingordigia che alla moderazione, più all’avarizia che alla generosità.

Queste inclinazioni volte all’eccesso possono portarci a non distinguere il bene dal male, oppure a fraintendere la verità, possono ripercuotersi anche con disturbi fisici e farci ammalare.

“Oggi si parla spesso di malattie psicosomatiche, perlopiù dovute all’accesso di stress, dicono i medici, che non è altro che l’eccessiva reazione che scaturisce dall’essere rancorosi, invidiosi – ha continuato Fargion -; tutte inclinazioni dannose che non sappiamo o meglio che non vogliamo moderare, ma così facendo perdiamo il rispetto verso noi stessi, alterandoci, sopraffacendo l’altro, usando un linguaggio offensivo o addirittura svergognandolo pubblicamente, che per la Torah è come ucciderlo, non cercando insomma la mezza via come rimedio da imparare attraverso anche la nostra volontà. Abbiamo soprattutto l’obbligo di rispettare la nostra dignità, con il nostro comportamento, il nostro linguaggio, il nostro modo di abbigliarci e di porci verso l’altro, per rispettare anche la dignità dell’altro”.

A questo proposito Maimonide, ricorda come sia salutare il silenzio, anche per capire dove siamo, che cammino abbiamo imboccato. Rispettiamo davvero le nostre aspettative? Siamo arrivati al punto in cui saremmo voluti arrivare? Oggi sappiamo di avere a disposizione, tanti mezzi, tanti psicofarmaci, tante persone pronte a rivelarci come vivere come avere un pensiero positivo, cosa mangiare, cosa comprare, come vestirci; come se noi fossimo oggetti incapaci di pensare autonomamente.

Per seguire l’armonia del corpo e dell’anima invece per Maimonide ci vuole veramente tanto studio, un esercizio quotidiano di azioni volte al bene per il bene, senza aspettarsi una ricompensa da esso perché esso stesso è già una ricompensa e ci vuole soprattutto una grande volontà.

“In conclusione io penso che abbiamo alle spalle circa cent’anni di psicoanalisi ma il mondo sta male, e anzi nel secolo scorso non è mai stato così male – ha spiegato la studiosa -; ciò significa che aiutare il singolo a curare il proprio disagio non basta. Maimonide pensava già a quella catena umana basata sul rispetto reciproco per creare una comunità sana in cui possano crescere i nostri figli e questo è l’augurio che io faccio anche a noi”.

Rav Della Rocca ha poi raccontato che Maimonide ha scritto anche dei trattati sull’ansia, classificandola come malattia psicosomatica, sulla psoriasi e un piccolo saggio sull’importanza di fare del movimento fisico, facendo notare che queste osservazioni provenivano da un rabbino del dodicesimo secolo e portando a riflettere di quanta lungimiranza era dotato, in rapporto al periodo storico in cui viveva.

L’Io per Jung

Romano Madera, professore emerito dell’università degli studi di Milano-Bicocca, membro dell’Associazione italiana di psicologia analitica, tra i più grandi studiosi del pensiero di Carl Gustav Jung, ha poi parlato di Martin Mordechai Buber, grande studioso e filosofo ebreo, che aveva litigato con Jung su questioni filosofiche. Secondo Madera, Buber ci dice molto sulla questione di che cosa sia la psicoanalisi: a tal proposito ha citato una storiella di Buber in cui si parla di un Golem, della sua difficoltà nel ritrovare gli abiti il giorno dopo e del fatto che era così preoccupato che alla sera aveva paura di andare a dormire.

Una sera il Golem si fece coraggio, prese una matita e scrisse dove metteva ogni capo del vestiario,e  il mattino seguente si alzò contento e prese la sua lista, ritrovando dove aveva messo ogni vestito; ma improvvisamente, in preda all’ansia si chiese: “Ma io dove sono e dove sono rimasto?”. Invano si cercò e ricercò, ma non riusciva a trovarsi.

“Così succede anche a noi – asserisce Madera -: il vestito, la maschera sociale, anzi le maschere sociali, che noi indossiamo, sono centinaia e molto diverse tra loro, e spesso cozzano; noi non siamo solo le nostre maschere sociali, non siamo solo i nostri vestiti. Uno dei temi fondamentali della psicoanalisi risponde alla domanda “Ed io, dove sono rimasto?” perché noi siamo qualcosa che sta sotto i nostri vestiti e sotto il nostro io. Noi crediamo attraverso il nostro comportamento di tenere a bada un “resto” di cui non sappiamo molto, ma che ogni tanto si fa vivo, in una sofferenza, in un piccolo dolore, o in una fantasia, o ne vien fuori un sogno strano, il cosiddetto inconscio.”

Il grande tema Junghiano, secondo Madera, riguarda l’individuazione, questa individuazione bisogna leggerla attentamente, perché non vuole dire individualismo, bensì l’opposto. Bisogna facilitare un processo che non divide e non separa, poiché non possiamo dimenticarci di noi mentre svolgiamo i nostri ruoli, indossando le nostre maschere sociali. Individuazione vuol dire non diventare unilaterali, ma avere la capacità di fare ponti tra le nostre diverse parti, tenendo conto delle diversità e dei contrasti.

“La cosa interessante di Jung è che mette al centro della sua proposta il tema del senso,  – ha spiegato -. Il nesso tra psicoanalisi e spiritualità è possibile ritrovando un senso, condizione necessaria per valorizzare la propria vita. Quando ci sono opposti, quando c’è conflitto, bisogna cercare di immaginare una soluzione: tutta la nostra vita concreta è fatta da realtà da immaginare e poi mettere in atto. Soltanto ciò che ha un senso, redime, guarisce”.

Essere se stessi nel mondo

Ma che cosa spaventa di più l’essere umano? Secondo lo psicoterapeuta David Gerbi, presidente all’associazione ebrei sefarditi d’Italia ed  esperto della materia del sonno, una delle cose che spaventa di più l’essere umano è l’incontro con se stessi, perché bisogna cercare un significato alla propria vita e questo richiede un cammino molto lungo.

“Per Freud è tutto legato al passato, mentre per Jung, abbiamo un percorso da fare, per la ricerca della nostra esistenza – ha spiegato -. “Una persona secondo Jung – soffre per due motivi: o perché è adattata alla propria natura ma non al mondo esterno, oppure perché è adattata al mondo esterno ma non alla propria natura. La grande sfida è di tenere assieme questi due opposti.”

Ma come posso essere me stesso, nel mondo ? La nevrosi è in questo caso associata a una mancanza di appartenenza. Nel momento del processo d’individuazione, facciamo un nostro cammino individuale.

Gerbi ha poi introdotto qualche interrogativo: l’individuazione è possibile soltanto per le persone che seguono le mitzvot? Oppure anche per le persone che seguono un approccio più laico? “Per l’ebraismo noi non siamo qui solo per continuare la specie e a riprodurci – ha spiegato – ma come dice Jung, il processo d’individuazione risiede nel trovare un significato alla propria vita”.

Gerbi parla dell’esistenza di due tipi d’individuazione: uno dal punto di vista ebraico individuale e un altro dal punto di vista ebraico collettivo, perché per raggiungere l’individuazione completa non dobbiamo dimenticare che abbiamo qualcos’altro da raggiungere, come l’avvenuta del Messia, la ricostruzione del terzo santuario di Gerusalemme e il tema della resurrezione dei morti.

Parlando poi del sogno, ha dichiarato: “Esso è importantissimo; nel Talmud, un sogno non interpretato è come una lettera non letta. A differenza della psicoanalisi i nostri rabbini hanno una cosa che può aiutarci, perché se facciamo un incubo, attraverso una preghiera, che ha bisogno di tre rabbini, è possibile trasformare il sogno da negativo a positivo: esattamente come faceva, da un altro punto di vista, Jung, che trasformava un pensiero da oscuro a luminoso, attraverso un processo di analisi e individuazione”.