Fra tradizione e modernità: la tradizione ebraica ai tempi dell’innovazione tecnologica

di Paolo Castellano (video di Orazio Di Gregorio)
Gli effetti della modernità sulla tradizione ebraica è una questione che pone diversi interrogativi nel mondo ebraico e che richiede una riflessione puntuale, tralasciando le soluzioni superficiali e immediate. Sulle orme di questo ragionamento, il primo dicembre, l’associazione Kesher ha organizzato un dibattito Ortodossia e Modernità  in cui sono intervenuti il Rabbino capo della comunità milanese Alfonso Arbib e lo scrittore e artista Stefano Levi Della Torre.

I due ospiti hanno incentrato i loro discorsi sulle attuali problematiche e vantaggi che la modernità ha portato nella vita di un ebreo, sia praticante che laico. In fin dei conti è proprio questo il centro del dibattito: la religione ebraica è minacciata dalle nuove scoperte scientifiche? 

Una prima risposta cerca di darla Rav Arbib che ha affermato che attualmente le scoperte prodotte dall’ambito scientifico-tecnologico sono straordinarie. Il Rabbino capo si è allora soffermato sulle moderne pratiche della medicina, sostenendo che dall’invenzione dei trapianti ci sia stata una produzione notevole di considerazioni rabbiniche raccolte nell’Enciclopedia di Halakà e Medicina di Avraham Steinberg, un rabbino neurologo israeliano esperto degli scritti talmudici. Steinberg ha finora prodotto 6 volumi sul tema che sono tuttavia in continuo aggiornamento. 

«Oggi le cose cambiano in tempo reale. L’attualità si supera con altre scoperte. L’etica medica deve dunque affrontare attraverso le fonti religiose cosa sia lecito fare al corpo di un uomo», ha sottolineato Rav Arbib, aggiungendo che inizialmente i trapianti di organi furono fortemente condannati dai rabbini poiché gli interventi non garantivano una vita più lunga ai malati a causa dei fenomeni di rigetto. «Le cose sono cambiate quando la scienza ha inventato il farmaco contro il rigetto. Lo stesso Rav Moshe Feinstein, stimato studioso tra gli ebrei ortodossi d’America, che era contrario ai trapianti definendoli “duplice omicidio”, cambiò parere con l’avvento di nuove soluzioni mediche».

Dopo aver elaborato alcune osservazioni sul diverso approccio dell’ebreo moderno con lo Shabbat, elencando i dispositivi che attualmente permettono di riscaldarsi e cucinare senza compiere una trasgressione, con l’utilizzo di internet e con le nuove (vecchie) ideologie, Rav Arbib ha parlato dell’emancipazione ebraica: «L’emancipazione ci ha portato dentro al mondo. Il fenomeno non è stato uguale in tutti i paesi. L’emancipazione è stata grandiosa perché ha fatto uscire gli ebrei dal ghetto. Un’entrata difficile che ha però comportato l’assimilazione totale». La perdita dell’identità ebraica fu un grosso problema all’inizio del ‘900, testimoniato anche da una battuta di Sigmund Freud sulla religiosità in casa sua: «L’unica festa religiosa che si festeggia in famiglia è il Natale». 

Dunque l’ebraismo ha la necessità di modularsi riguardo al progresso moderno per stare al passo con i tempi. «Siamo di fronte alla riaffermazione di un orgoglio ebraico ma la modernità è un problema che dobbiamo affrontare perché sinceramente non credo sia possibile ritornare a vivere nei ghetti», ha dichiarato Rav Arbib, innescando il giudizio di Stefano Levi Della Torre che ha raccontato un simpatico aneddoto sulla scoperta della lente d’ingrandimento. «Quando i rabbini ebbero la possibilità di utilizzare degli strumenti d’ingrandimento, scoprirono che alcuni pesci molto piccoli vietati dalla tradizione halachica potevano essere mangiati perché avevano le squame».

Levi Della Torre ha passato in rassegna tutte quelle ideologie che nella storia sono state presentate come inedite ma che in realtà facevano parte di un antico retaggio. Le leggi razziali per esempio, che sono un lascito delle idee dell’ancien régime: «I movimenti nazionalisti affermavano che il loro popolo avesse un sangue puro e che la loro proprietà terriera fosse lo stato. Queste convinzioni hanno portato a una forma di scientismo per rilanciare e popolarizzare concetti vecchi». 

Il saggista ha poi ricordato al pubblico che il progresso tecnologico può assecondare gli istinti bestiali dell’essere umani, citando la corsa agli armamenti all’inizio del ‘900 che ha contribuito alla devastazione delle nuove generazioni con lo scoppio della Grande Guerra. «La tecnologia è un potere e come ogni potere deve essere sorvegliata. Pensiamo ai 10 comandamenti, anche in quel caso vengono posti dei limiti a Mosè», ha detto Levi Della Torre, aggiungendo che gli ebrei di oggi devono far attenzione ai nuovi idoli, soprattutto quelli legati alle entità statali. «Io tengo allo Stato d’Israele ma rimango critico nei confronti della politica del governo israeliano. Gli ebrei che credano fermamente nello Stato guida non devono fare l’errore di idolatrarlo. È il pericolo del nazionalismo. Quando si rinuncia alla critica si fanno peggiorare le nazioni, disgregandole, come accadde all’Unione sovietica». Levi Della Torre ha poi commentato l’inizio della Dichiarazione d’indipendenza d’Israele: «Un inizio stranissimo che contraddice la Torah. Il popolo ebraico è nato nella Diaspora e non nella Terra promessa. Infatti si parla di Terra promessa, ovvero di un luogo ancora da raggiungere. Dunque non è corretto definirla terra madre poiché gli ebrei stanno ancora lavorando per raggiungerla».

Anche la globalizzazione rappresenta una sfida sia per l’ebraismo sia per le popolazioni di tutto il mondo, che in qualche modo sperimentano la condizione degli ebrei che vissero l’indeterminatezza del deserto. «Con la globalizzazione gli esseri umani si sentono più insicuri. Non riescono a reggere il confronto e si crea dunque un’identità esclusiva attraverso il razzismo e la discriminazione», ha affermato il saggista.  

Levi Della Torre ha poi affermato che l’ebreo vive da sempre questa condizione di indeterminatezza attraverso una particolare dualità. «Rispetto ad altre religioni monoteistiche che prevedono un rapporto con l’universalità per mezzo dell’espansione, l’ebraismo ha un approccio differente: è la particolarità in relazione all’universalità». All’interno dello schema ebraico, il rapporto minoritario è più rilevante rispetto a quello maggioritario. «Nella maggioranza l’altro non è consustanziale. Invece nell’altra visione si sostiene che l’altro sia necessario, una vocazione minoritaria che si verifica già nell’ebraismo anti-biblico», ha detto il saggista, sostenendo che una minoranza ha bisogno di “darsi più arie che può”. Allora è legittimo coltivare la propria identità soprattutto dinnanzi ai fenomeni della globalizzazione, anche attraverso i continui litigi che rappresentano la vitalità di una comunità.