La sessualità nella Torà: una forza contro la morte

Ebraismo

di Naomi Stern

kesherAnna Arbib Colombo e Alberto Sonnino sono stati i protagonisti della serata Kesher del 30 novembre: la sessualità all’interno della Torà vista dal punto di vista psichiatrico ed ebraico. I due relatori giunti a Milano per l’occasione da Roma, sono stati introdotti da Rav Della Rocca. Tra gli spettatori della conferenza tenuta alla Residenza Arzaga, uomini e donne di ogni età, tutti pronti ad esprimere la propria opinione su un tema così controverso e scottante.

Ad aprire la serata è stato l’intervento dello psichiatra Alberto Sonnino. “In un periodo di lutto costante, in cui ci sono attentati continui in Israele, può sembrare un paradosso organizzare una serata per parlare di sessualità, del piacere della vita. In realtà questo è ciò di quanto più ebraico ci sia. Nell’ebraismo la sessualità è sempre stato un modo per contrastare gli effetti mortiferi. È recente la notizia di un giovane giornalista ungherese, che, dopo essersi salvato dal campo di concentramento di Bergen-Belsen, ha scritto 117 lettere alle donne ebree ungheresi che sapeva essersi salvate per trovare l’amore e andare avanti nella vita.

E proprio pochi giorni fa ho letto un articoloin cui si raccontava del matrimonio di Sarah Litman e di Ariel Biegel. I due giovani sposi si sono promessi amore eterno in una grande cerimonia celebrata a Gerusalemme. Solo due settimane fa Sarah, 21 anni, ha perso suo padre, il rabbino Yaakov Litman, e suo fratello Netanel, appena diciottenne. I due viaggiavano con il resto della famiglia a bordo di un camioncino quando sono stati freddati da un terrorista palestinese nei pressi di Hebron.

Sarah, esattamente come Miklós Gárdos, ha decido di sposarsi nel momento di maggior dolore.

I sopravvissuti alla Shoà hanno iniziato a elaborare il lutto nel momento in cui hanno messo al mondo una prima è una seconda generazione. Possiamo dire che questo continuo attaccamento alla vita ha consentito loro di affrontare gli aspetti più mortiferi che accompagnano l’essere umano”.

Ha poi continuato Sonnino: “È interessante notare come le regole della cultura ebraica contengano una certa flessibilità nell’ andare incontro alle esigenze del genere umano. Ma ci sono dei paletti rispetto ai quali non si transige. La donna degli altri non si può desiderare. Proprio a Kippur, quando tutti gli ebrei si recano al Tempio, vengono elencati i diversi divieti rivolti ai comportamenti sessuali. Tutti ascoltano quindi che i legami incestuosi nell’ebraismo sono proibiti ora come quando questa regola è stata concepita, 4000 anni fa, quando l’incesto era ancora uso comune. Questo ha permesso la costituzione di un organismo sociale funzionale alla nostra vita; un’organizzazione e un assetto funzionale alla nostra dignità di essere umani. La sessualità è un bisogno dell’essere umano.

Nell’Halachà la sessualità è protetta perché c’è la mitzvà di accoppiarsi per generare una nuova vita.

La psicoanalisi non dà regole morali; Freud si è però accorto che una vita sessuale non vissuta nella maniera corretta genera una nevrosi. Le nevrosi possono essere attuali, tossiche o di ingorgo. Non dimentichiamoci che anche Maimonide sosteneva che un’energia sessuale non ben spesa poteva causare malessere nel genere umano”.

L’intervento dello psichiatra Sonnino è poi proseguito con una disamina dei diversi tipi di nevrosi individuate da Freud e con la spiegazione del celeberrimo Complesso di Edipo.

“L’accoppiamento è la riaffermazione della vita” conclude Sonnino “E’ un atto profondo, spirituale e mistico. Nel momento in cui l’essere umano si accoppia ha la possibilità di sentirsi tutt’uno con D-o; è come se la presenza di D-o si calasse all’interno del rapporto attraverso cui si ha la possibilità di creare una nuova vita. Questo ci fa capire quanto è profondo e spiritualmente elevato realizzare un’unione carnale.

San Paolo affermava che un buon cristiano non si dovesse sposare perché altrimenti non si sarebbe più potuto occupare di cose divine. L’ebraismo dice il contrario”.

E’ stato poi il turno della Morà Anna Arbib Colombo che ha iniziato il suo intervento con una fonte di Rabbi Meir. “L’armonia tra marito e moglie è un valore importantissimo. La prima cosa che D-o ha creato è stata la luce, tolta dopo il peccato del primo uomo e che tornerà con il Mashiach. Nella vita ebraica l’accensione dei lumi di Shabbat è strettamente collegata con la pace famigliare. Non dimentichiamo che è una mitzvà avere un rapporto sessuale durante lo Shabbat. Lo Shabbat rende il rapporto un pò diverso, è la cosa migliore che si possa fare; nei rapporti sessuali c’è spiritualità.

D-o ha detto agli uomini di fruttificare e crescere e in questo senso l’atto sessuale è diventato una forma di berachà attraverso cui si può sottolineare l’importanza della simchà, un valore fondamentale. D-o ha voluto che l’uomo e la donna si completassero; durante il primo anno di matrimonio infatti l’uomo è tenuto ad occuparsi totalmente della moglie. Dedicandosi a lei, l’uomo esercita la Mitzvà della Simchà del primo anno di matrimonio”.

Anche il Rambam aveva espresso la sua opinione rispetto alla sessualità dicendo come l’unione sessuale avesse lo scopo di generare la salute psicofisica. Il piacere non ha un valore secondario. L’uomo non è unicamente corpo, tutti noi siamo corpo e anima. La ricerca della misura nel piacere è fondamentale per non strabordare nel permissivismo.

Continua poi Anna Arbib Colombo: “All’interno dei rapporti sessuali esiste un limite rispetto al linguaggio, i coniugi possono concordare il rapporto ma non si deve mai arrivare alla trasgressione o alla violenza. Va strettamente rispettato il periodo di separazione dei due coniugi quando la donna ha il ciclo e per i sette giorni successivi. La separazione serve a far capire che il rapporto amoroso non è fatto solo dal rapporto sessuale. Esiste una connessione tra il rapporto sessuale e la relazione generale della coppia, questi sono due fattori che si influenzano a vicenda. Anche il desiderio compie un ruolo molto importante: senza non si compie la mitzvà. È importante che il desiderio nasca da entrambi i coniugi, la condivisione è un elemento necessario ed imprescindibile”.

Si sono poi esaminati i divieti: il rapporto deve essere riservato e deve riguardare solo le persone coinvolte. Il rapporto deve essere consapevole, non si deve pensare né ad altro né ad altre persone.

Ha ripreso la Morà Anna: “A Chanukkà le donne devono accendere le candele e possono così facendo far uscire d’obbligo l’uomo se magari non è in casa. Chanukkà infatti è una festa legata a un miracolo avvenuto grazie alla donna.  Ricordo anch’io la storia di Sarah Litman che si è sposata pochi giorni fa. Sara si è voluta sposare ed ha voluto invitare tutta Israele. ‘Non c’è un momento in cui non pensi al sorriso di Netanel e all’umiltà di mio padre – ha affermato Sarah – ma nel mese che precede la festa di Chanukkah vogliamo diffondere in tutta Israele una luce di felicità. La cosa più importante è non aver paura’. Mi piace concludere con queste parole che esprimono quanto, nell’ebraismo, la famiglia sia tutto.

Ha concluso la serata Rav Roberto della Rocca, spiegando come sia proibito compiere atti sessuali dopo aver litigato. “Non ci si può pacificare unicamente col sesso, un’usanza diffusa in determinate coppie che trovano nella sessualità un modo di pacificarsi e di portare a termine l’impulsività. Ma la sessualità non è una scappatoia”.

L’uomo e la donna si uniranno e diventeranno una carne sola. I figli sono la carne unica che è il prodotto dell’unione. Ma, come ci insegna la Torà nella parashà di Lech Lechà, prima bisogna abbandonare padre e madre per costruire un matrimonio sano.