Panorama di Firenze con la Sinagoga

Firenze, o cara, la più fine resti tu

Ebraismo

di Daniel Fishman

Panorama di Firenze con la Sinagoga
Panorama di Firenze con la Sinagoga

Una visita privata serale mi permette di apprezzare al meglio una delle più belle sinagoghe italiane, quella di Firenze. Le diverse menoroth poste all’interno fanno risaltare tutte le decorazioni in stile moresco, mentre la facciata esterna è fatta risplendere da un nuovo impianto di illuminazione che il sindaco Matteo Renzi ha messo a disposizione della Comunità.

“Due anni fa, è stata proprio la cerimonia di inaugurazione di questo impianto a sigillare l’ultimo atto della mia presidenza -ci racconta Daniela Misul, oggi vicepresidente degli ebrei fiorentini-. Il Tempio era gremito, duemila persone, una buona parte anche in piedi. L’atmosfera era incredibile, anche perché c’erano tutte le autorità. Ero emozionata, non capita tutti i giorni di vedere anche tutto il matroneo così riempito”.

L’architetto Funaro che ci accompagna è invece responsabile dell’Opera, l’Istituzione che gestisce la manutenzione e i restauri della parte architettonica della Sinagoga. “Le indicazioni che vennero date a suo tempo erano di dipingere d’oro alcune parti delle decorazioni interne. E col senno di poi, c’è da dire che per fortuna non sono state applicate. La Comunità sarebbe in deficit solo per questa voce, e comunque l’atmosfera ambrata, calda, fatta di rossi, bruni, verdi, rende l’atmosfera generale molto piacevole”.

Dora Liscia è la mia guida accompagnatrice. Anche lei è una past-president, insegna Storia dell’Arte all’Università ed è la direttrice scientifica del Museo. Si sofferma sul talleth del Bar Mitzva di Nello (Sabatino) Rosselli e su alcuni particolari parohet (le tende che coprono l’aron-ha-kodesh). “Secondo me -commenta con un misto di professionalità e orgoglio-, abbiamo il Museo ebraico ‘più fine’ tra quelli presenti in Italia”. Usa un aggettivo che bene rappresenta la sensibilità originaria di Firenze, città anch’essa sottoposta a rapidi cambiamenti.

“Il rischio vero -spiega il Segretario Emanuele Viterbo- è quello che Firenze diventi una città vetrina come Venezia. A differenza della città lagunare, dove però il ghetto è un tema di interesse generale, qui la Sinagoga viene citata solo nelle ultime pagine nelle guide turistiche. Se arriva un turismo “mordi e fuggi”, e non davvero interessato, intendo culturalmente, le presenze alla Sinagoga inevitabilmente scendono. Tempio e Museo sono oggi visti da 40.000 visitatori, un numero inferiore a quello precedente all’11 settembre, seppur in lieve ripresa”. Una nuova cooperativa si occuperà ora del rilancio anche attraverso delle attività culturali annesse al Museo.

La zona della Comunità è piuttosto centrale, in termini immobiliari è “di pregio”. Il centro storico pedonale, zona ZTL, le difficoltà di parcheggio, le misure di sicurezza rendono però meno facile l’arrivo degli iscritti in Comunità, mentre in altri momenti il giardino della Comunità era un automatico e quotidiano punto di incontro degli ebrei fiorentini, una zona di comune vitalità.

Una lettura realista o pessimista della Comunità, la fornisce Renzo Ventura. È uno degli avvocati dell’Ucei, e si dice in procinto di fare l’aliyàh.

“I miei figli si sono sposati, i nipoti sono della tribù. Ma a Firenze di matrimoni ebraici ce ne sono pochi, e questo rende il futuro precario. Si parla da tempo di Consorzi tra Comunità per favorire servizi e iniziative comuni. Paradossalmente, quando ero giovane tra Bologna e Firenze, 32 minuti in treno, c’erano più attività di adesso. Mancano probabilmente delle figure carismatiche e una cultura ebraica comune che inneschino questi processi”.

Viterbo è invece più ottimista e vede praticabile la strada dei consorzi. Racconta anche alcuni esempi minimi ma significativi di collaborazione tra le Comunità, con un centro di acquisti comuni, programmi di computer e di contabilità per tutti. “Il tema della kasheruth è caldo, se ne continua a parlare, ma alle idee continuano a non seguire dei provvedimenti. In teoria la cosa è facile da attuarsi -continua Viterbo- ma probabilmente ci sono degli interessi consolidati a cui qualcuno non vuole rinunciare. Se ognuno deve pagarsi uno shochet e un masghiach, si tratta di costi molto alti per le Comunità. Purtroppo l’UCEI è un ombrello rappresentativo, ma non ha la forza di imporre una decisione in tal senso”.

In questa conversazione emerge il fatto che la centralità geografica di Firenze, quasi nel mezzo del Belpaese, potrebbe essere una carta da giocare. La struttura comunitaria è ben funzionante, c’è una cucina veramente ottima e gli spazi da sfruttare non mancano.

Le filiali fiorentine di Stanford, New York, Syracuse, portano 5.000 studenti a semestre, tra i quali ovviamente c’è un’interessante quota di giovani universitari ebrei americani.

“Con il progetto Hillel, siamo riusciti in parte a intercettarli, ma poi non ce lo hanno più finanziato. Nei loro programmi universitari è previsto, nell’ottica di conoscere il tessuto della città, che gli studenti possano fare volontariato -community service- . Da noi potrebbero aiutare in comunità o all’asilo. Spesso si tratta di ebrei reform, e comunque sono abituati a un altro quadro comunitario. Se gli parlo di Sinagoga, quelli mi chiedono dov’è la Jewish gym, la palestra ebraica. Noi abbiamo solo il Tempio ortodosso, alcuni di questi si presentano con le infradito… Diciamo che c’è un’altra mentalità”. Esiste, peraltro, a Firenze anche un gruppo di Reform autoctoni. Fanno minian il venerdì sera e prendono in affitto la chiesa valdese.

Il nido, che è stato da poco riaperto con piena autorizzazione ministeriale, è una delle “chicche” della Comunità. Copre le necessità delle famiglie ebraiche almeno fino alla materna (6 anni), mentre per i ragazzi più grandi sono previsti dei corsi di Talmud Torà. Alcuni adolescenti sono in collegamento con l’Hashomer Hatzair, mentre il quadro dell’offerta comunitaria si completa con la Casa di Riposo Saadun, che è un ente a sé, un fiore all’occhiello ben sostenuto dalle sovvenzioni pubbliche, dall’attività dei gruppi sionistici, dal gruppo di studi religiosi Lamed, dal Gruppo di Studi Storici di Giuseppe Viterbo, e infine dall’Adei. Proprio nella accogliente location dell’organizzazione femminile incontro il Presidente Guidobaldo Passigli. Siamo in una tradizionale sede comunitaria che è stata re-intepretata come se fosse un salotto di una casa privata. Ben comodo sul divano, il leader della Kehillah ci parla delle difficoltà di gestire una comunità composita di 900 persone circa.

Non nasconde una discussione in atto in Consiglio che è basata su una valutazione critica del ruolo del Rabbino, che si vorrebbe seguisse molto di più i giovani della Comunità, “non solo al momento del Bar Mitzvà”. Ma aggiunge: “alcuni episodi mi ripagano del grande impegno psico-fisico. Una persona ha fatto una cospicua offerta economica per l’allestimento del nuovo nido. Mi ha chiesto di aggiornarlo ogni tre mesi sull’andamento dei lavori. Quando ho raccontato che questi ultimi erano finiti e che il nido stava per essere inaugurato, non osai dirgli che i soldi non sarebbero bastati. Ma questi lo capì forse dal tono della mia voce o dal mio sguardo. Si allontanò due minuti e tornò con un assegno dicendomi di aggiungerli al fondo per il nido. Ma di versarlo alla cassa della Comunità in maniera anonima”.

Questo racconto l’ho trovato anche su Firenze Ebraica, il notiziario comunitario coordinato da 25 anni da Hulda Liberanome. “Siamo cresciuti a poco a poco e negli ultimi anni ci siamo ampliati verso le altre comunità della Toscana. Il quarto di secolo di attività lo festeggeremo con un apposito Convegno”.

Un bell’aneddoto fornisce la migliore maniera di chiudere questo reportage. È partita qualche anno fa l’idea di integrare la visita delle scuole fiorentine alla Sinagoga con delle attività che facessero “toccare con mano l’ebraismo”, come per esempio la preparazione delle challoth.

Quando, per caso, poco tempo fa chiesero a un ragazzo musulmano quale fosse stata la cosa che lo aveva più positivamente colpito da quando era arrivato a Firenze, questi rispose che l’aver visto fare il pane ebraico del sabato era qualcosa che l’aveva totalmente conquistato.