Carne kasher: una mitzvà per tutti

Ebraismo

di Davide Romano

Carne kasher

“La carne kasher costa troppo!” è una delle frasi più comuni che da anni si sentono tra gli iscritti alla nostra Comunità. L’attuale crisi economica ha purtroppo aggravato il problema e reso ancora più urgente trovare una soluzione. Eppure la missione di permettere a tutti gli ebrei di mangiare carne kasher dovrebbe essere un dovere, oseremmo dire una mitzvà. Sarebbe inaccettabile infatti, se il rispetto delle regole ebraiche fosse subordinato al reddito. Tanto più che mangiare secondo le regole halachiche è uno dei più importanti elementi che caratterizzano l’identità ebraica. Prendiamo come esempio il pezzo di carne preferito dalle nostre genitrici (yiddish mame, sefardite himaot o italiche mammà) per i loro mai abbastanza adorati figlioli: le bistecche di vitello. Per questo taglio a Milano il prezzo si situa in una forchetta -termine mai come in questo caso appropriato-, tra i 25,9 e i 29,9 euro al kg a seconda dei negozi. Un listino prezzi perfetto, per fare dimagrire i nostri portafogli. Ma perché questa benedetta/maledetta carne costa tanto? C’è qualcuno che fa il furbo? Oppure è semplicemente la legge del mercato che a fronte di una scarsa domanda non permette di avere prezzi più vantaggiosi?

Prima di tutto è necessario spiegare che tra il dire e il kasherizzare c’è di mezzo un mare (di costosi passaggi). Pochi sanno, per esempio, che la carne di vitello certificata dal Rabbinato milanese viene macellata a Modena -in Lombardia non c’è macello disposto a sobbarcarsi un tale impegno-, presso il gruppo Cremonini, leader europeo nel settore della carne. E’ proprio lì che lungo tutto il corso dell’anno deve recarsi ogni due settimane una specie di “task force della Kasherut”, composta da ben sei persone. Costoro provvedono a tutto: dall’uccisione dell’animale fatta con un coltello speciale e affilatissimo, arrotato con una pietra particolare (e non invece con la pistola; l’uso del coltello quadruplica i tempi di occupazione del macello e incide a sua volta sui costi), fino al seguire le bestie per le tante fasi della lavorazione. Senza andare troppo nel dettaglio, il procedimento prevede il lavaggio e lo svuotamento delle interiora, oltre che il controllo della buona salute dell’animale al fine di definirne il livello di kasherut (raghil, glatt, hallak, bet-youssef). Per non parlare della salatura, la pezzatura, l’impacchettamento e la spedizione. Aggiunge Nouri Mohaddeb, indicatoci come proprietario dal gestore della macelleria Mister Meat di via Montecuccoli 21: “E non dimenticate che su 100-120 bestie solo 30-35 si rivelano adatte alla kasherizzazione, e su di noi pesano anche i costi degli animali abbattuti e rivelatisi a posteriori non-kasher”. Considerate le spese del macello, aggiungete quelle di viaggio e di soggiorno per i sei componenti della task force e il costo della loro manodopera applicato a decine di vitelli alla volta, ed ecco che troverete uno -ma non certo l’unico-, dei motivi dell’alto costo della carne kasher.

“Ma non sarebbe più semplice importare la carne kasher dall’estero?”, chiederebbe il tipico israeliano pragmatico di passaggio a Milano. “No caro chaver” -gli dovremmo rispondere-, “non è così semplice. Nella halachà infatti viene consigliato di acquistare la carne nel luogo più vicino a dove avviene la shechità”. Una conferma di come anche la recente scoperta del “chilometro zero” per l’acquisto degli alimenti sia tutt’altro che una novità, almeno per la legge ebraica. L’amico israeliano, sentita la nostra risposta, a questo punto mi guarderebbe strano, aggrotterebbe le sopracciglia -come a dire: “ma come siete strani voi galuthì, voi della diaspora!”- e se ne andrebbe scuotendo la testa verso il reparto macelleria dell’Esselunga…

CHI VENDE NON SHACHTA

Per i milanesi che giustamente si intestardiscono a voler osservare la kasherut a tutti i costi (ma che preferirebbero non rimanere a tasche vuote) invece, la faccenda resta dannatamente seria: che cosa deve fare un ebreo che vuole mangiare carne fresca senza accendere un mutuo?

Esiste un’alternativa di mercato? Nella nostra città, dal 2005, esisterebbe un concorrente dello “storico” Mister Meat: è Keter in via Soderini 55, di proprietà di rav Miki Nasrolay. Ma visto che Mister Meat (nella persona di Nouri Mohaddeb) è l’unica ad avere il “timbro” kasher del Rabbinato milanese, Keter dovrebbe comprare la carne dal suo rivale. Una situazione che renderebbe ovviamente impossibile a Nasrolay praticare prezzi inferiori al suo concorrente e fornitore.

Per questo il proprietario di Keter ha cercato, nel 2006, di aggirare l’ostacolo puntando sulla carne certificata fuori dalla nostra città, rivolgendosi a un macello irlandese che aveva prezzi competitivi. Purtroppo però qualcuno ha sparso la voce -falsa- che la sua carne non fosse kasher. Dal principio Nasrolay non ha dato peso alla cosa, ma dopo un paio di anni, quando la maldicenza verso la sua onorabilità è divenuta insopportabile, ha preferito chiudere ogni polemica e comprare la carne da Mister Meat. Da qualche mese però Nasrolay è tornato alla carica rifornendosi di carne kasher a Strasburgo, anche se conta presto di trovare un fornitore economicamente più competitivo.

A questo punto in molti si domanderanno: ma perché Nouri Mohaddeb ha il monopolio della carne certificata dal Rabbinato milanese? Esiste un motivo storico che risale agli anni ’90, quando a Milano le macellerie kasher entrarono in crisi economica (e anche morale, visto che il proprietario di una di queste fu visto rifornirsi di pollame alla Metro) e iniziarono a chiudere una dopo l’altra. Si era reso necessario decidere cosa fare per non restare senza carne kasher e le alternative erano due: o la Comunità si faceva carico di tutto il processo di kasherizzazione (con costi pari a centinaia di milioni di vecchie lire) o lo delegava al privato. Si scelse la seconda via e chi si fece carico di tutto fu proprio Mohaddeb, che ottenne la certificazione del Rabbinato milanese. E fino a qui nessuno poteva dirgli nulla, se non per ringraziarlo di essersi accollato quel gravoso compito. Le prime lamentele iniziarono invece a sentirsi quando, anni dopo, Mohaddeb entrò nel business della vendita della carne con Mister Meat. L’apertura della nuova macelleria infatti, faceva sì che la figura del certificatore e del venditore venissero a coincidere, generando una situazione di conflitto di interessi. Una questione che non tocca solo la vendita diretta al consumatore, ma anche quella -molto più importante economicamente, delle forniture ad enti ebraici come la Scuola o la Residenza per anziani.

Interrogato in merito, Mohaddeb ha risposto: “chiunque vuole la certificazione venga pure, che gli insegno come si fa e potrà farlo anche lui!”.

GRUPPI DI ACQUISTO

Come abbiamo visto il costo per la kasherizzazione della carne non è cosa di poco conto, ma non va neppure sopravvalutato. Infatti a Roma, alla macelleria di Billo Raccah, la Kasher Masbia, la stessa bistecca di vitello costa 10 euro in meno che a Milano: 16,90 al kg (ma a Raccah la certificazione del Rabbinato è stata tolta un mese fa). E non è certo questione di costi di trasporto dal luogo di macellazione, visto che anche Masbia macella a Modena che dista 408 chilometri dalla capitale, mentre da Milano solo 171.

Questi prezzi folli hanno fatto sorgere nella nostra città dei gruppi d’acquisto che ordinano la carne a Roma e, pur accollandosi le spese di spedizione, riescono comunque a risparmiare. Uno dei membri di questi gruppi -che preferisce non essere citato-, spiega: “Esasperati dai prezzi della carne kasher a Milano ci siamo rivolti a Roma, dove la bistecca di vitello è di qualità superiore e molto più tenera, e ci costa solo 22 euro al chilo. L’unico problema è coordinare gli acquisti di una quindicina di persone diverse, ma avere tanti ordini è necessario a rendere l’acquisto conveniente”.

ALTO LIVELLO DI KASHERUT

Sulla questione del mercato della carne milanese abbiamo sentito anche il Rabbino Capo, Alfonso Arbib, che dopo averci spiegato di avere ereditato la situazione attuale, chiarisce: “A Milano il mercato è libero, ovvero è possibile importare carni con altre certificazioni e la cosa avviene regolarmente: c’è carne da Strasburgo e da ogni dove. Da altre parti invece vige il divieto di importare carne da fuori”. Ma cosa risponde a chi lo interroga sulla carne kasher in vendita nella nostra città non certificata dal Rabbinato milanese? Arbib replica: “E’ sicuramente kasher, ma non è sotto il mio controllo. Aggiungo che non ho mai alcun dubbio sulla kasherut altrui, ovviamente fino a prova contraria. Permettetemi però di rivendicare l’altissimo livello della nostra kasherut, riconosciuta recentemente anche da Rav Amar, Rabbino Capo sefardita di Israele”.

Riguardo alla norma halachica che salvaguarda la shechità locale, conclude il Rabbino Capo di Milano, “ci sono varie interpretazioni: c’è chi la estende a tutta la carne importata da fuori e c’è chi la restringe alla sola carne fresca, escludendo quella congelata”.

E a proposito di questo tipo di carne, dalla capitale giunge una soluzione alla portata di tutti: la Kocer Srl. Nata grazie ad un accordo tra la Comunità di Roma e l’Unione della Comunità Ebraiche Italiane, è in grado ormai da un anno di vendere carne congelata a prezzi calmierati. Per ora questa società senza fini di lucro, nata proprio con la missione di rendere la carne kasher disponibile a tutti, si è limitata alla vendita di vitellone nelle pezzature meno pregiate a prezzi molto interessanti: il macinato a 7,9 euro o l’arrosto a 9,9 euro al chilo. Ma l’idea -a noi esposta da uno degli amministratori, Jack Luzon-, è quella di arrivare col tempo alla vendita di carne fresca e di tagli più nobili a prezzi similari. E non solo come avviene ora presso il negozio romano “Kosher Delight”, ma anche presso uno spaccio all’interno della Comunità romana, o addirittura in qualche supermercato.

PREZZI CALMIERATI

Tutte formule che la Kocer Srl -che opera sotto il controllo del Rabbinato di Roma-, è pronta ad “esportare” anche nella nostra città, a patto che il prezzo di vendita resti calmierato. Cosa resa possibile grazie alla disponibilità dell’UCEI ad accollarsi tutti i costi del trasporto. Un’iniziativa che peraltro avrebbe il vantaggio di venire incontro anche alla questione del “chilometro zero” (produzione, vendita e consumo il più vicini possibile, geograficamente parlando), visto che la carne della Kocer verrebbe comunque dal macello di Modena, esattamente come quella milanese.

Parafrasando i titoli di certi film italiani degli anni ’70, se “Roma spara” Milano farebbe bene a rispondere. La Kocer peraltro già rifornisce enti comunitari come la Scuola ebraica romana. Un dato da tenere presente, viste le grosse spese che la nostra Comunità deve sostenere per rifornire di carne la Residenza degli anziani e la Scuola di via Sally Mayer.

“A MILANO C’ È MONOPOLIO”

Su questi temi abbiamo sentito alcuni membri della nuova Giunta milanese, presieduta da Roberto Jarach. Il vice-presidente e assessore al Bilancio, Alberto Foà, ha le idee chiare: ”A Milano c’è di fatto un monopolio sulla carne kasher, ed è questo il motivo dei prezzi proibitivi. E’ nostro dovere -in collaborazione con il Rabbinato-, aprire alla concorrenza. Non solo nei negozi, ma anche negli enti ebraici. A cominciare -perché no-, dalla carne di Kocer”.

Non teme possano sorgere problemi su una kasherut non milanese? Foà non ha tentennamenti: “Faccio fatica a pensare che rav Arbib non certifichi la kasherut del Rabbinato di Roma. Poi chi glielo va a spiegare a rav Riccardo Di Segni?”.

L’assessore al Culto, Milo Hasbani, ci spiega la strategia che la Giunta sta approntando: “La comunità vuole vendere la carne a prezzo calmierato, e sta vedendo se c’è qualche negozio disponibile a guadagnarci poco. In caso negativo, penseremo a qualche forma alternativa di vendita diretta. Vogliamo assolutamente dare ai nostri iscritti il diritto alla carne kasher a prezzi modici”.

Se alle parole seguiranno i fatti e il prezzo della carne scenderà davvero grazie a una Giunta accusata di laicismo, sarà una vittoria per tutta la Comunità. A prescindere dalle faziosità, dalle inutili e spesso strumentali contrapposizioni tra laici e religiosi.