“Gli ultimi giorni dei nostri padri”, di Dicker, trentenne scrittore di successo

Taccuino

di Roberto Zadik

In questo mio blog non parlo solo di cinema o di musica, mie grandi passioni da quando avevo 12 anni, ma anche di libri e di scrittori, la mia terza ossessione e degli scrittori del mondo ebraico di oggi in particolare. Ebbene un personaggio che mi ha colpito,  fra le “giovani leve dello scrivere” in circolazione, è l’ebreo svizzero francese Joel Dicker che, nato  a Ginevra nel 1985, è già un talento internazionalmente riconosciuto.  Ai tempi dei latini si diceva che “le lettere non danno pane” ma ci sono lodevoli eccezioni e questo autore trentenne ne fa ampiamente parte rappresentando il sogno e l’utopia delle tante persone che si cimentano nell’ardua arte dello scrivere.

Ora è uscito col suo nuovo libro Gli ultimi giorni dei nostri padri (462 pagine, Bompiani, 20 euro) che nonostante sembri un kolossal biblico è invece un’avvincente storia di spionaggio e “fanta-storia”, tra  fiction, colpi di scena e accadimenti storici come faceva il grande John Le Carrè o l’inventore di James Bond, l’inglese Ian Fleming. Dopo il suo fulminante esordio La verità sul caso Harry Quebert che aveva venduto una marea di copie, circa 3 milioni, tradotto in 33 lingue e distribuito in 60 Paesi, il giovane autore era rimasto sostanzialmente uno “sconosciuto di successo” come spesso capita anche nel suo Paese, pur avendo come sostenitori personalità prestigiose, uno per tutti l’ex presidente francese Giscard D’Estaing.

Con questo nuovo romanzo, Dicker ci riprova e tre anni dopo, le cose sembrano andare molto bene confermando la sua vocazione di scrittore di polizieschi, thriller e spionaggio, genere che sembra avere un certo successo in questi ultimi anni, a scapito della poesia o dei romanzi intimisti meno appetitosi per molti lettori. Nonostante questi grandi risultati, Dicker, intervistato, recensito e contattato da siti, giornali e media italiani e internazionali, sembra rimanere coi piedi per terra definendosi solamente “un ragazzo molto fortunato”.

Di cosa parla questa nuova opera? Nel voluminoso romanzo, oltre quattrocento pagine, lo scrittore racconta una vicenda rimasta a lungo nell’ombra come la storia del Soe, Special operations executive, reparto dei servizi segreti inglesi, fondato da Churchill per evitare la disfatta dell’esercito britannico e impegnato in delicate e rischiosissime missioni di sabotaggio e di intelligence contro la Germania nazista, in cui si arruola un giovane francese Paul Emile per unirsi assieme ad altri suoi connazionali. Emile dimostrerà grande coraggio e eroismo nella lotta contro l’esercito nazista nella Francia occupata  nei primi anni ’40 cimentandosi in missioni ad alto rischio. Spionaggio e avventura, ma anche fiuto psicologico e brillante caratterizzazione dei personaggi, dal protagonista alla sua amata Laura, fanno di questo libro un’opera avvincente e originale, che scorre rapidamente, con lo stile chiaro e coinvolgente di Dicker. L’opera  narra una storia inedita e interessante sull’Inghilterra di Churchill e le spie francesi e inglesi dell’epoca, fatta di eroismo, resistenza, tradimenti e racconta da un altro punto di vista, quello delle spie, la Seconda Guerra Mondiale, le sue sofferenze e le cicatrici storiche e umane che questo conflitto ha provocato.

Ma chi è Joel Dicker? Di famiglia di origine russa e francese, il giovane scrittore, segno Gemelli, come diversi letterati, artisti e giornalisti, nato a Ginevra il 16 giugno 1985, era uno svogliato studente di Giurisprudenza, come me, per poi dedicarsi alla stesura di libri che hanno mire alte e intendono rileggere la storia e anche raccontare gli Stati Uniti dal punto di vista europeo. Intervistato lo scorso settembre dal sito dell’autorevole quotidiano francese Le Figaro ha rivelato alcuni interessanti dettagli sulla sua scrittura e sulla sua personalità. “Non mi aspettavo di vendere tante copie dopo il successo dello scorso romanzo “La verità sul caso di Harry Quebert” e questo mi sorprende” ha detto lo scrittore che è stato premiato con grandi riconoscimenti come il Premio Goncourt e il Gran Premio de l’Accademie Francaise. “Scrivo da sempre, da quando avevo sette anni e per me è un vero piacere anche se lo prendo seriamente come se fosse un lavoro e ho la fortuna di scrivere otto ore al giorno. Non è un passatempo in un giorno di vacanza ma qualcosa di più”, ha aggiunto.

La sua è una storia di tenacia e di costante impegno, perché prima del successo tre anni fa “avevo scritto altri quattro romanzi, ma mi erano stati rifiutati dagli editori. Poi tutto è cambiato”. Elogiato dai media, in Svizzera Dicker viene considerato un fenomeno, un caso unico anche perché, a parte rari casi, come il grande Friedrich Durermatt o lo psicologo Carl Gustav Jung e il filosofo Rosseau, non ci sono stati molti intellettuali di rilievo passati alla storia e specialmente negli ultimi anni. Il giovane letterato mantiene uno spirito modesto e una certa semplicità e autoironia. Infatti in un’intervista al quotidiano La Repubblica aveva dichiarato “vorrei che i miei libri creassero dipendenza nei lettori. Mi ispiro a autori come Roman Gary e a Marguerite Yourcenar e sono un perfezionista, mi dedico alla scrittura in modo assoluto”.