“Norimberga”, un film sul processo che ha cambiato il mondo

Spettacolo

di Nathan Greppi
Tratta dal romanzo Il nazista e lo psichiatra di Jack El-Hai, la pellicola ruota attorno alla figura di Douglas Kelley (Rami Malek), psichiatra militare che riceve dall’esercito americano il compito di appurare in vista del processo le condizioni mentali degli imputati, e in particolare di Hermann Göring (Russell Crowe), ex-braccio destro di Hitler con il quale Kelley instaura un rapporto di confidenza che metterà a dura prova la sua obiettività.

 

Fino al 1945, non era mai esistito nella storia dell’umanità un tribunale internazionale che giudicasse i colpevoli di crimini di guerra. Da questo punto di vista, i processi di Norimberga contro le alte sfere del regime nazista hanno segnato una cesura tra un prima e un dopo, cambiando per sempre il diritto per come lo conosciamo.

Su questo capitolo storico è in uscita in questi giorni il film Norimberga, diretto da James Vanderbilt e presentato in anteprima a Milano il 10 dicembre, presso il Cinema Anteo.

Tratta dal romanzo Il nazista e lo psichiatra di Jack El-Hai, la pellicola ruota attorno alla figura di Douglas Kelley (Rami Malek), psichiatra militare che riceve dall’esercito americano il compito di appurare in vista del processo le condizioni mentali degli imputati, e in particolare di Hermann Göring (Russell Crowe), ex-braccio destro di Hitler con il quale Kelley instaura un rapporto di confidenza che metterà a dura prova la sua obiettività.

Sin dal loro primo incontro, il film pone un aspetto problematico: spinto dall’ambizione di comprendere cosa si muove nella mente di un uomo che ha compiuto tante e tali atrocità, Kelley finisce per farsi irretire dal carisma di Göring, che ai suoi occhi appare sempre più come un essere umano, al punto da consegnare per conto suo delle lettere alla moglie e alla figlia. Solo dopo aver visto immagini dei cadaveri e degli uomini denutriti nei campi di concentramento, lo psichiatra comprende appieno con chi ha a che fare.

E qui sta il nocciolo della questione: Kelley giunge alla conclusione che l’aspetto più inquietante dei nazisti non è che siano dei mostri, ma esattamente il contrario: essi erano esseri umani, e l’odio e la sete di potere che li hanno spinti a fare ciò che hanno fatto sono potenzialmente rintracciabili in ogni uomo e in ogni paese.

Questa descrizione rende il film problematico sotto alcuni aspetti: da un lato si presentano i nazisti come personaggi complessi e a tutto tondo, nella speranza che comprenderne la mentalità possa aiutare ad adottare delle contromisure per impedirne un eventuale ritorno. Ma dall’altro lato, umanizzarli rischia di relativizzarne l’ideologia e le atrocità commesse.

Questa non è la prima volta che il cinema americano adotta un simile approccio: nel film del 2018 Operation Finale, che racconta la cattura di Adolf Eichmann da parte del Mossad, avvenuta in Argentina nel 1960, in diverse scene vi è un dialogo serrato tra il caposquadra degli agenti israeliani e il gerarca nazista, presentato come un uomo che ha fatto ciò che ha fatto poiché spinto dal voler eseguire gli ordini a tutti i costi, senza possedere alcun vincolo etico o morale.

Un aspetto positivo di Norimberga riguarda invece la descrizione del contesto storico: spesso, dai discorsi dei personaggi emergono riferimenti a episodi come il Trattato di Versailles, le cui pesanti condizioni inflitte alla Germania dopo la Prima Guerra Mondiale hanno spinto in molti a seguire l’ideologia nazista, e il controverso rapporto tra il Vaticano e il Terzo Reich sotto il pontificato di Papa Pio XII (interpretato dall’attore italiano Giuseppe Cederna). Pur nella sua problematicità, il film stimola la riflessione sugli orrori del passato, e dice molto anche sul nostro presente.