di Marina Gersony
Terapie contro diabete e tumori, farmaci innovativi. Dalla biochimica al tessuto ingegnerizzato, dalla chirurgia mininvasiva alla frontiera delle cure metaboliche, Israele si conferma una fucina di innovazione. Sono conquiste nate in tempi dolorosi e estremamente difficili, ma con un potenziale che guarda oltre i confini, per cambiare la vita di milioni di persone in tutto il mondo
Le scoperte scientifiche, a volte, sembrano nascere proprio nel cuore del caos o delle contraddizioni umane. Mentre i conflitti e le guerre portano distruzione, i ricercatori continuano a cercare soluzioni capaci di salvare vite: farmaci innovativi, terapie mirate, approcci sempre più sofisticati contro malattie che ancora oggi spaventano l’umanità. Nemmeno gli attacchi che hanno colpito ospedali e laboratori sono riusciti a fermare il lavoro di chi dedica la propria esistenza a contrastare il dolore e a generare speranza (vedi anche l’intervista al Weizmann Institute su Bet Magazine di luglio-agosto). Uno fra tutti, l’ospedale Soroka di Be’er Sheva: il laboratorio del professor Ehud Ohana, dell’Università Ben-Gurion, distrutto da un missile iraniano il 19 giugno scorso. I collaboratori di Ohana, in mezzo alle macerie, hanno cercato di salvare campioni preziosi, un gesto che diventa simbolo della tenacia della ricerca, capace di resistere all’assurdità della distruzione. Soroka, centro medico di eccellenza, è anche esempio di coesistenza per israeliani e palestinesi, «dove il suo personale devoto – ebrei e arabi – lavora fianco a fianco in straordinaria armonia, unito dalla missione di guarire», come aveva ricordato il presidente Isaac Herzog dopo il massiccio attacco.
Diabete, fegato, cancro: nuove terapie
«Non è stato un danno secondario. Il missile ha colpito due piani sopra di noi e il laboratorio è esploso completamente», racconta il professor Ohana. Eppure, in mezzo al caos, lui e due studenti sono corsi tra le macerie per salvare campioni preziosi. «Siamo riusciti a recuperare parte del DNA ingegnerizzato, ma i campioni dei pazienti sono andati persi». Ma quella corsa disperata assume oggi un valore ancora più simbolico: solo una settimana prima dell’impatto, Ohana aveva concluso gli esperimenti che lo avrebbero portato a una scoperta destinata a cambiare la medicina. Pubblicata su Nature Communications, la ricerca rivela l’esistenza di un sofisticato “sistema di controllo metabolico” che regola energia e zuccheri nel sangue. Un meccanismo che mette in discussione quanto si sapeva finora sul metabolismo cellulare e che apre la strada a nuove terapie per diabete, fegato grasso e persino cancro.
Gli scienziati hanno dimostrato che due proteine-chiave, NaCT e Glut, non solo trasportano nutrienti dentro e fuori dalle cellule, ma comunicano tra loro come “portieri” di una centrale energetica. «Un portiere fa entrare lo zucchero, un altro altri nutrienti: insieme decidono cosa serve davvero alla cellula», spiega Ohana. È un sistema rapido, sincronizzato, capace di ottimizzare l’uso delle risorse con un’efficienza sorprendente. La scoperta ha già dimostrato il suo potenziale terapeutico: nei topi, riprogrammare questo sistema ha ridotto del 20% i livelli di glucosio nel sangue dopo un solo trattamento, indipendentemente dall’insulina. In altre parole, il fegato diventa una “spugna” che assorbe zucchero in eccesso, aprendo una nuova strada nella lotta al diabete. Ma c’è di più: le cellule tumorali sembrano manipolare questo stesso meccanismo per crescere più velocemente. Intervenire sul sistema significherebbe quindi anche rallentare la proliferazione dei tumori.
«È una scoperta che non descrive solo un nuovo meccanismo biologico: cambia il nostro modo di vedere l’equilibrio metabolico del corpo», sottolinea il professore. L’obiettivo ora è trasformarla in farmaci innovativi. Intanto il laboratorio, devastato dall’attacco, cerca di rinascere. «Il nostro sogno è portare questi risultati dal laboratorio al letto dei pazienti», conclude Ohana.
Midollo spinale: tornare a camminare
E non è che la prima scintilla. Dalle macerie di Soroka ci spostiamo a Tel Aviv, dove un’altra sfida impossibile sta per trasformarsi in realtà: ricostruire il midollo spinale e restituire la capacità di camminare a chi è rimasto paralizzato. Nei prossimi mesi, per la prima volta al mondo, sarà impiantato in un paziente paralizzato un midollo spinale interamente ingegnerizzato in laboratorio a partire dalle sue stesse cellule. Una svolta che potrebbe cambiare la vita a milioni di persone.
L’intervento, autorizzato dal Ministero della Salute, sarà guidato dal professor Tal Dvir dell’Università di Tel Aviv, pioniere della medicina rigenerativa. «Il nostro obiettivo è aiutare i pazienti paralizzati ad alzarsi dalle loro sedie a rotelle e a camminare di nuovo», spiega con determinazione lo scienziato.
L’idea nasce tre anni fa, quando il suo laboratorio riuscì a creare il primo midollo spinale tridimensionale e personalizzato. I risultati furono sorprendenti: secondo quanto pubblicato sulla rivista Advanced Science, l’80% dei topi affetti da paralisi cronica tornò a camminare, mentre nei casi di paralisi recente la percentuale arrivò al 100%.
La tecnologia intreccia biologia e ingegneria: da una piccola biopsia si ricavano cellule del sangue che vengono riprogrammate fino a comportarsi come staminali embrionali, capaci di trasformarsi in qualsiasi tipo di cellula. Queste vengono poi inserite in un idrogel ricavato dal tessuto adiposo del paziente, che funge da ambiente di crescita e riproduce lo sviluppo embrionale del midollo spinale. Il risultato è un tessuto vivo e tridimensionale, pronto per essere trapiantato. «Pensate a un cavo elettrico tagliato: se le due estremità non si toccano, la corrente non passa», spiega Dvir. «Con l’impianto ridiamo continuità a quel cavo, permettendo al segnale di scorrere di nuovo dal cervello ai muscoli».
Accanto al lavoro accademico c’è la startup Matricelf, fondata da Dvir insieme al dottor Alon Sinai, che ha trasformato la scoperta in un progetto concreto, pronto ad arrivare negli ospedali. «Questa è più di una scoperta scientifica: è un punto di svolta per la medicina rigenerativa», sottolinea l’amministratore delegato Gil Hakim.
«È rivoluzionario perché usa cellule del paziente stesso, – spiega Luciano Bassani, medico e assessore alla RSA della CEM – riducendo il rigetto. I primi trial umani ‘compassionevoli’ stanno iniziando ora a Tel Aviv. Se i risultati saranno positivi, si parla di alcuni anni (5 -7) prima di un uso diffuso».
La chirurgia attraverso gli occhi
La terza scoperta porta la chirurgia a guardare attraverso gli occhi, anziché aprire il cranio. All’Ichilov Medical Center di Tel Aviv è stato eseguito il 21 luglio, per la prima volta in Israele, un intervento rivoluzionario: la rimozione di un raro tumore alla base del cranio passando dall’orbita oculare. Niente craniotomia, niente apertura invasiva del cervello. Solo una piccola incisione nella palpebra superiore e un endoscopio inserito attraverso l’occhio hanno permesso ai chirurghi di raggiungere la massa e asportarla con successo. Il risultato? Una giovane paziente guarita rapidamente, con la vista intatta e quasi nessun segno visibile dell’operazione. «Le persone indietreggiano davanti all’idea di aprire il cranio; questa tecnica offre un’alternativa sicura e molto meno traumatica», ha spiegato il professor Yigal Leibovitz, che ha guidato l’équipe multidisciplinare insieme a neurochirurghi e otorinolaringoiatri. «La potenzialità di questa tecnica – conferma Bassani – è che riduce drasticamente il trauma operatorio rispetto a interventi convenzionali che richiedono la craniotomia. Riduce dolore, tempi di recupero, rischi legati a danni cerebrali o alle strutture vicine. Migliora qualità di vita, preserva funzione visiva e aspetto estetico. Si tratta però di un caso specifico. Non tutti i tumori o lesioni cerebrali sono accessibili da questa via». La procedura è quindi destinata a casi selezionati, come i meningiomi sfeno-orbitali, ma segna un passaggio epocale: un “corridoio” cosmeticamente discreto e rispettoso del cervello per affrontare patologie complesse.
Tre scoperte, una promessa globale
Tre scoperte, tre strade diverse, un unico filo rosso: la scienza che resiste alle macerie e trasforma la fragilità in speranza. Dalla biochimica al tessuto ingegnerizzato, dalla chirurgia mininvasiva alla frontiera delle cure metaboliche, Israele si conferma una fucina di innovazione. «Israele – dice ancora Luciano Bassani – ha un ecosistema ricerca–startup–ospedali: collaborazione stretta tra università, ospedali e biotech. Esiste una cultura dell’emergenza: la necessità di soluzioni rapide (militari, umanitarie, mediche) accelera la ricerca. Ci sono investimenti in high-tech e medicina: grande quota del PIL è destinata a ricerca e sviluppo». Sono conquiste nate in tempi estremamente difficili, ma con un potenziale che guarda oltre i confini: cambiare la vita di milioni di persone in tutto il mondo.
Intervista a Luciano Bassani
Medico Fisiatra
Assessore RSA Arzaga Milano
1. Quanto manca perché queste scoperte arrivino davvero al letto del paziente?
Siamo ancora a livello preclinico (topi). Servono anni (5 -10) di sperimentazioni cliniche prima che diventi farmaco. È un metodo rivoluzionario che sfida l’idea che le cellule reagiscano ai cambiamenti metabolici solo con meccanismi interni lenti; questo suggerisce che esista una regolazione più dinamica e integrata, più veloce. Da questo scaturisce il potenziale enorme per sviluppare terapie migliori per il diabete, fegato grasso, e anche come target in oncologia. Finora la maggior parte dell’evidenza è in modelli animali (topi) o in vitro. Non è ancora chiaro come queste molecole si comportino negli esseri umani – efficacia, sicurezza, effetti collaterali. Le condizioni patologiche possono alterare questi meccanismi; va testato in contesti clinici con pazienti reali (diabete avanzato, obesità, malattie metaboliche croniche). Anche se il sistema è promettente, passare da scoperta a terapia richiede tempo: sperimentazioni cliniche, approvazioni regolatorie, produzione farmaceutica.
2. Un midollo spinale ricostruito in laboratorio può cambiare la vita di chi è sulla sedia a rotelle?
Sì, se la tecnologia funziona anche negli esseri umani come nei topi, persone paralizzate potrebbero riacquistare movimento. È rivoluzionario perché usa cellule del paziente stesso, riducendo il rigetto. Attualmente è una terapia sperimentale e non è detto che tutti i pazienti saranno idonei (dipende dal tipo, estensione e tempo della lesione). I primi trial umani “compassionevoli” stanno iniziando ora a Tel Aviv. Se i risultati saranno positivi, si parla di alcuni anni (5 -7) prima di un uso diffuso.
3. Chirurgia “attraverso l’occhio”: quali vantaggi per il recupero?
All’Ichilov Medical Center di Tel Aviv è stato condotto un intervento per la rimozione di un tumore cerebrale (un meningioma) attraverso l’orbita (dall’occhio), senza craniotomia (cioè senza tagliare la calotta cranica). La potenzialità di questa tecnica è che riduce drasticamente il trauma operatorio rispetto a interventi convenzionali che richiedono apertura del cranio (craniotomia). Riduce dolore, tempi di recupero, rischi legati a danni cerebrali o alle strutture vicine. Migliora qualità di vita, preserva funzione visiva e aspetto estetico. Si tratta però di un caso specifico. Non tutti i tumori o lesioni cerebrali sono accessibili da questa via, dipende dalla posizione, dimensione, estensione verso aree delicate. Serve esperienza chirurgica elevata e tecnologie avanzate (endoscopi, strumenti sottili, imaging). Anche il follow-up per valutare complicanze a lungo termine (impatto funzionale, recidive, danni collaterali) è critico.
4. Israele è sempre un passo avanti nella medicina innovativa: qual è il segreto?
Israele ha un ecosistema ricerca–startup–ospedali: collaborazione stretta tra università, ospedali (Ichilov, Hadassah, Sheba) e biotech. In Israele esiste una cultura dell’emergenza: la necessità di soluzioni rapide (militari, umanitarie, mediche) accelera la ricerca. Ci sono investimenti in high-tech e medicina: grande quota del PIL è destinata a ricerca e sviluppo. Esiste una multidisciplinarità sul modello americano che vede collaborare: fisici, ingegneri, biologi e clinici. Anche in questa terribile situazione storica in cui il Paese è impegnato in una guerra di difesa contro Iran, Libano, Hamas, Yemen, Siria, con laboratori a rischio di bombardamento, la ricerca non si ferma.
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