Una nuova malattia sociale si diffonde: è il luogo-comunismo. Non si tratta di politica, destra o sinistra… ma di luoghi comuni e pigrizia mentale. Anche su Israele

Opinioni

di Claudio Vercelli

La Hora in kibbutz, 1947
La Hora in kibbutz, 1947

Storia e controstorie

C’è un atteggiamento mentale diffuso ed è il “luogo-comunismo”. Con o senza trattino. Si alimenta del ripetere certe cose facendo sì che, per il fatto stesso che siano dette a pappagallo, diventino nella percezione dei più delle false verità. Sono quindi tali quei convincimenti che, pur non potendo offrire alcun concreto riscontro, si affermano, passo dopo passo, nel giudizio di senso comune come se costituissero un dato incontrovertibile. A conti fatti, ne sono invece la negazione. Quante volte, ad esempio, si sente dire che lo Stato d’Israele sarebbe nato come risarcimento civile, politico e morale per la Shoah? I più strenui sostenitori di questa tesi sono, molto spesso, anche tra coloro che dopo avere fatto una tale affermazione la corredano immediatamente di un inciso: “poveri ebrei”, vittime innocenti, che però si fanno “carnefici” dal momento che “occupano” una terra che gli è stata assegnata per volontà straniera, in quanto sopravvissuti. Così facendo, argomentano costoro, i “sionisti” (il virgolettato è d’obbligo, trattandosi di una parola che assume connotazioni sinistre se pronunciata dai detrattori) sono colpevoli tre volte: non si sono meritati nulla, ma hanno ottenuto tutto come contropartita per un genocidio esclusivamente europeo; hanno approfittato politicamente dei sensi di colpa altrui per affermare il loro dominio territoriale su una terra araba; lo Stato d’Israele, infine, non ha nessuna legittimità storica, derivando infatti dai calcoli e dalla manifestazione di interesse di potenze straniere. Le cose, tuttavia, stanno ben diversamente. Anche prescindendo dal plurisecolare rapporto morale, spirituale, religioso con Eretz Israel, la creazione di una comunità politica nazionale degli ebrei è comunque il prodotto di un lungo percorso nella storia. Il quale si innerva nelle complesse e vivaci dinamiche che interessano le società in età contemporanea, a partire da quella ebraica, dalla Rivoluzione francese in poi. La creazione del “nuovo Yishuv”, l’insediamento pionieristico sionista, data alla seconda metà dell’Ottocento. I processi migratori, così come lo strutturarsi di una comunità nazionale nei territori che già erano appartenuti all’Impero ottomano e poi alla potenza mandataria, la Gran Bretagna, prescindono dalla catastrofe che si sarebbe abbattuta sull’ebraismo europeo tra il 1941 e il 1945. Così come, nel successivo triennio, in sé decisivo per le sorti del futuro Stato degli ebrei, la legittimazione di esso derivò da un percorso politico che era il prodotto della volontà della sua leadership nazionale. La quale avrebbe poi affrontato non solo l’accoglienza materiale dei sopravvissuti al genocidio, ma anche la complessa questione della comprensione della rilevanza della memoria di quella tragedia collettiva nella formazione di una coscienza nazionale. La Shoah non legittima alcunché, semmai delegittima chi ne fu responsabile e quanti, allora come oggi, ne celebrano in qualche modo l’apologia. Israele non è un risarcimento, bensì il risultato di una scelta consapevole, in campo ebraico, che produce una nuova comunità nazionale prima e uno Stato successivamente. Anche per questa linearità a certuni la sua esistenza, non  a caso, risulta indigesta.