E Dio disse: scordati il pianofo

Libri

Il Canada ebraico è una scoperta abbastanza recente dell’editoria italiana e data più o meno da quando ha avuto inizio il successo dei libri di Mordechai Richler. E sa offrire libri di piacevole lettura, in particolare romanzi di formazione (L’ultima mitzvà di Lucio Burke – pubblicato da Instar libri, ad esempio) come questo di Torgov. Il risvolto di copertina ci dice che l’autore è un noto avvocato di Toronto con la passione per la scrittura di testi comici per programmi radiofonici e miniserie televisive. In questo libro c’è molto del suo vissuto, a partire dalla cittadina immaginaria in cui si svolge la vicenda, Steelton, che ricorda quella, nel Canada del nord, in cui l’autore ha vissuto la propria infanzia e adolescenza, fino alla passione per l’umorismo.
Il protagonista del romanzo, Maximilian Glick, discendente di una famiglia ebraica askenazita, sin dal momento della sua nascita è oggetto di un grande interesse da parte di tutta la famiglia, per cui, subito dopo la sua nascita, viene deciso che sarà contemporaneamente medico, avvocato, ingegnere, giornalista (il tutto naturalmente ai massimi livelli), nonché un grande pianista, per via di una zia con uno spiccato temperamento artistico.

Il libro segue la adolescenza di Max (che si chiede il perché di questo nome e della sua abbreviazione, così poco ebraiche) in particolare nei due anni che precedono il suo bar-mitzvà , in cui frequenta regolarmente il rabbino per prepararsi, e che vedono esplodere la sua innata propensione allo studio del pianoforte.

Lo accompagnano in questo periodo la stralunata figura di un insegnante di pianoforte dal grande talento, dallo stato di frequente ebbrezza alcolica e dalle innumerevoli sigarette fumate in continuazione, nonché quella di un rabbino di grande simpatia e umanità, che il giovane Max sente come amico nonostante la differenza di età e che ha alle spalle il dramma di una figlia che ha sposato un goy e che i genitori hanno disconosciuto.

La cittadina canadese è ovviamente multietnica e il protagonista del romanzo vince un concorso di pianoforte superando la favoritissima allieva cattolica di un altro maestro, ma… tra i due scocca una scintilla e Max sogna di formare un duo pianistico-sentimentale. Ovviamente la famiglia insorge: il futuro medico-giornalista-avvocato-ingegnere non può certo pensare di avere un futuro con una goyà, e tanto meno di “gettare alle ortiche” il suo brillante, inevitabile futuro professionale per una avventura dai contorni incerti come è quella di diventare pianista. Il tutto con buona pace della zia artista. Poco importa che il padre tenga il negozio di mobili aperto il sabato o che la famiglia si rechi regolarmente al ristorante cinese della città a mangiare cibi non certo kasher. E anche la famiglia cattolica della fanciulla è assolutamente d’accordo nell’opporsi a questo progetto.

Inoltre il rabbino così disponibile dl punto di vista umano muore in un incidente e viene sostituito da un giovane rebbe Lubavitcher, il quale, sia per la foggia degli abiti, sia per il rigore (innanzi tutto nello stile di vita personale) provoca un certo sommovimento sia nella tranquilla comunità ebraica che nella vita cittadina.

A questo punto gli sviluppi del romanzo sono molti, simpatici e l’autore è sempre molto delicato nel suo toccare i problemi sia comunitari che personali. C’è nel libro una grazia e una leggerezza che portano il lettore al sorriso, con una vocazione al comico che credo descriva un po’ la personale vocazione dell’autore. Infatti anche il rabbino Lubavitcher svelerà una insospettata passione per le battute e i giochi di parole (non certo rabbinici) che lo porteranno lontano … Ma non si deve raccontare tutto.
Bisogna però segnalare che questo libro può essere un simpatico e piacevole compagno di lettura, anche se la leggerezza è un modo molto ebraico di parlare di problemi seri.
Una citazione: “Parlando di confessione, proseguì rav Teitelman (il vescovo anglicano, il prete cattolico e il rabbino sono sul palco di una serata un po’ strampalata cha ha come tema la fratellanza degli esseri umani) io ritengo che quel che di più ci accomuna sia quel buon vecchio senso di colpa che fa girare il mondo. L’unica differenza è che quando un protestante si sente in colpa per i suoi peccati sale sopra una cassa all’angolo di una strada e li confessa ad alta voce; un cattolico ci va dentro e li mormora; un ebreo, invece, si rinchiude nel seminterrato e scrive la sua autobiografia”.
Il libro è davvero gradevole e di piacevole lettura, non può non suscitare il sorriso durante la lettura. La cosa più bella è che, una volta chiuso il libro, ci si comincia ad interrogare sui problemi che, sorridendo, pone.

Morley Torgov E Dio disse: scordati il pianoforte,
Salani editore – pp. 211 – euro 13,00