Eccellenza: di che cosa stiamo parlando?

Scuola

di Esterina Dana

La Fondazione Giovanni Agnelli ha pensato bene di stilare una classifica delle migliori scuole statali e paritarie, basandosi sui risultati conseguiti dai loro studenti nel momento in cui approdano alle università. Italiane. Tagliando fuori, rendendo “invisibili” tutti quei ragazzi che scelgono di andare all’estero per proseguire i loro studi, o prendersi un anno di pausa, come molti maturati della Scuola ebraica di Milano, per fare un’esperienza di vita in Israele. Questa scelta metodologica assai discutibile ha ovviamente penalizzato la Scuola della Comunità, che nella classifica pubblicata sui quotidiani risulta agli ultimi posti. Abbiamo chiesto un commento alla preside Esterina Dana.

Che il Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale per la Lombardia, Giuseppe Colosio, abbia sentito l’esigenza di indirizzare una lettera ai dirigenti scolastici di tutte le scuole di Milano e Lombardia, la dice lunga sulla classifica delle migliori scuole della Regione, incautamente sbattuta sulla prima pagina delle maggiori testate italiane ai primi di aprile.

Colosio ne prende le distanze: “La ricerca pubblicata, l’elaborazione dei dati e la valutazione che ne deriva sono state effettuate da Fondazione Giovanni Agnelli in modo indipendente”.

Ferma restando la necessità inconfutabile che una Scuola assuma come consuetudine uno sguardo critico sulle sue finalità e sui valori che vuole trasmettere ai suoi studenti, sugli obiettivi didattici e formativi che vuole raggiungere e sulle metodologie che adotta per farlo, è bene sottolineare che una cultura della valutazione che implica indagini di enti esterni, per lo più ignari della specificità e dell’identità degli istituti in esame, è spesso un boomerang che incastra la scuola in un range definito in modo necessariamente generico, soprattutto laddove non sono chiari i criteri su cui esso si fondi. Una lacuna, questa, che rivela la debolezza dello strumento proposto dalla Fondazione Agnelli, la quale non fornisce alle scuole la possibilità di avviare, o perfezionare, un processo di miglioramento e di fondare l’autovalutazione su criteri trasparenti.

Uno dei limiti della ricerca risiede anche nel fatto che “fotografa” una situazione inattuale, se si considera che i dati risalgono agli anni 2007-2008. Popolazione studentesca, momento storico, progresso tecnologico sono oggi cambiati. Una ricerca su più anni sarebbe certamente stata più utile a monitorare i cambiamenti in atto.

Che i ricercatori torinesi abbiano scelto tra i principali criteri di analisi e valutazione delle scuole, la qualità delle prestazioni universitarie degli studenti che le hanno precedentemente frequentate, costituisce un ulteriore limite, assai significativo in verità, dei risultati del loro esercizio. Non hanno infatti considerato “il percorso degli studenti che accedono alle Università straniere, laddove un indice importante della qualità della preparazione culturale – e dell’apertura mentale che dovrebbe essere al centro del progetto educativo e didattico – è anche il fatto che essi possano validamente scegliere e frequentare percorsi universitari internazionali”, rileva ancora Colosio, e sottolinea che esistono realtà scolastiche i cui allievi accedono in numero significativo ad Atenei all’estero. La nostra è una di queste, per esempio.

Proprio dal 2007, rileviamo un incremento del numero di studenti che, subito dopo la Maturità, scelgono di studiare all’estero, in Università riconosciute. Ancora più spesso, sollecitati e appoggiati dalla famiglia, molti si trasferiscono in Israele un anno intero. Imparano la lingua, conoscono le diverse realtà che animano il mondo israeliano, comprendono più da vicino il vissuto dell’esperienza militare e la responsabilità di giovani diciottenni che vivono in perenne stato di all’erta; quindi ritornano in Italia e si iscrivono all’Università, più forti, più maturi e più consapevoli sulla scelta del corso di studi.

Attribuire, infine, il merito dei risultati degli studenti esclusivamente alla “bontà” della scuola, come è stato fatto dalla Fondazione Agnelli, è una scelta metodologica un po’ ingenua e limitativa. “Se è vero che il successo universitario degli studenti, limitatamente al primo anno ‘tracciato’ dalla ricerca, in parte dipende dalla validità complessiva della scuola e delle competenze acquisite, ciò accade a condizione che molti altri elementi, sia soggettivi che contestuali, favoriscano la qualità della performance.” (Colosio)

Che dire di noi? “Che cosa non siamo, che cosa non vogliamo”, dice il poeta Eugenio Montale.

Non siamo e non vogliamo essere una scuola d’eccellenza, se non è chiaro che cosa si intenda per eccellenza: non una scuola affollata di studenti le cui famiglie rincorrono solo uno statu quo; né una scuola che spera di risolvere la relazione di ascolto e di stimolo dei suoi alunni, limitando il voto dell’insufficienza, e neanche una scuola che, per mantenere alti i suoi standard, seleziona i ragazzi in difficoltà, i dislessici, i diversamente abili, i socialmente discriminati.

Che cosa vogliamo? Porre al centro della nostra attenzione lo studente come persona sviluppandone le potenzialità, incuriosirlo e appassionarlo all’avventura del pensiero, riconoscerne l’individualità per garantirgli una formazione a tutto tondo, fondata su competenze e strumenti logici e culturali.

Vogliamo migliorare la nostra proposta educativa, usando tutti gli strumenti che la realtà di oggi ci mette a disposizione, ma soprattutto mediante il confronto dialettico, consapevoli che solo la congruenza degli obiettivi e la tenacia nel perseguirli siano l’arma vincente per favorire e potenziare l’apprendimento.

Vogliamo anche, in controtendenza, coltivare la lentezza, unico ritmo adatto alla riflessione, alla rielaborazione e alla ricerca di senso del giovane uomo che vogliamo educare, in sintonia con il tempo rituale dell’ebraismo.