Tripoli, quarant’anni dopo

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Giovedì 14 giugno, gli ebrei “tripolini” e di orgine libica di Milano hanno commemorato l’evento. in una serata organizzata da Yoram Ortona (Consigliere UCEI e della Comunità) e il contributo e il patrocinio dell’Assessore alla Cultura Sara Modena. Il ricordo di una presenza millenaria e l’orgoglio di aver ricostruito una vita in Italia.

Sono passati 40 anni da quei giorni tumultuosi del Giugno 1967 in cui la furia delle orde scatenate senza troppa difficoltà dai fanatici di turno (in questo caso i filo nasseriani) devastarono e trucidarono tutto quello che poterono, nell’indifferenza se non nel plauso delle autorità preposte all’ordine e nell’impotenza dei pochi moderati e del Re. Gli ebrei dovettero salvarsi da soli, procurarsi i documenti ed organizzare il sospirato viaggio verso la vita e la libertà, grazie alle amicizie e i rapporti intessuti con i diplomatici dei Paesi Occidentali e i pochi libici moderati, lasciando per sempre tutte le loro proprietà, le proprie cose e i propri defunti. Finiva così la presenza millenaria (dal 300 a.c ) della composita presenza ebraica in Libia (libici, spagnoli, turchi, maltesi, italiani, francesi). Il motivo e la scusante per tale scempio ? L’esistenza dello Stato di Israele e la Guerra dei sei giorni, che il “ popolo” credeva vittoriosa per gli eserciti Arabi in spregio alle notizie dei veri telegiornali (su tutti Arrigo Levi per la RAI ), così come era successo per i pogrom del ’45 e del ’48.

Difficilmente però sentirete un “Tripolino” crogiolarsi nel rimpianto di tutto ciò che fu costretto a lasciare, lo sentirete piuttosto parlare della gioia provata sull’aereo che lo portava a Roma e con orgoglio di come ha saputo, anche grazie all’accoglienza delle Comunità italiane e con tenacia ricostruirsi un’esistenza materiale, culturale e religiosa in Italia. Occorre sapere a questo proposito che Tripoli era una delle città più internazionali e sviluppate del Medio Oriente (insieme a Beirut e Tehran ) e la preponderante influenza della lingua e della cultura italiana (Colonia dal 1911 al 1945) e poi Inglese. E’ un fatto che oggi troviamo molti casi di “Tripolini” che hanno ottenuto un meritato successo, grazie al loro impegno e alla loro formazione, nella vita economica. sociale, culturale dell’Italia e delle Comunità. I nomi sono tanti e tutti conosciuti però vale la pena citare, in memoria, l’artista, scrittore, poeta e musicista Herbert Pagani.

Questo spirito era presente durante l’evento, un insieme di memoria e tradizione, allegria e ironia (la battuta fa parte del dna tripolino), dignità e orgoglio, senza dimenticare la tradizione culinaria che ha contraddistinto la serata.

La serata, organizzata sotto la forma della Tavola Rotonda, ha visto la partecipazione di circa 250 persone, con suggestivi e commoventi contributi audio, video e musicali a partire dallo sbarco italiano del 1911, lo status di Colonia, le leggi razziali, la Guerra Mondiale, l’arrivo degli Inglesi, i pogrom, gli anni Sessanta ed infine l’Esodo. Alcuni di questi preziosi contributi portavano la firma di Marcello Ortona, direttore del Corriere di Tripoli.


A raccontare la Storia, la cultura, le vicende e le tradizioni della Comunità tripolina sono stati invitati rav Alfonso Arbib, David Meghnagi, Daniela Dawan.
Nella sua introduzione, Yoram Ortona ha detto: “Ho ritenuto doveroso ricordare gli ebrei che fuggirono nel 1967 dalla Libia in segno di gratitudine e di rispetto verso la generazione dei nostri padri che ebbero la forza e il coraggio di salvarci e di ricominciare un’altra vita, ma anche in segno di ringraziamento all’Italia e alle Comunità Ebraiche”. La storia degli ebrei di Libia, come quella di tutti gli ebrei cacciati dai Paesi Arabi, è una Storia che è stata raccontata sottovoce e con reticenza. L’esodo di circa un milione di ebrei dai Paesi Arabi è uno di quei fatti dimenticati dalla storiografia ufficiale “. Ha ricordato a questo proposito il volume Ebrei in un Paese Arabo di Renzo De Felice realizzato
con l’importante contributo di Raffaello Fellah promotore della Fondazione dell’Associazione degli ebrei della Libia.
David Meghnagi, docente di Psicologia all’Università di Roma, membro autorevole della Società psicoanalitica italiana ed autore di svariati libri fra cui Ricomporre l’infranto ha descritto alcuni aspetti dell’essere tripolino “l’essere festoso e di vivere la vita in maniera intensamente emozionale” ed il fatto di “occupare spazi diversi“ come in ambito linguistico, dove una frase inizia in una lingua ma non finisce mai nella stessa (giudaico-tripolino, arabo, italiano, ebraico… inglese). Ha citato l’importanza delle canzoni liturgiche per la tradizione tripolina e la sua utilità anche ai fini terapeutici.
Dal punto di vista storico ha sottolineato la costante condizione di inferiorità giuridica (Dhimmi) degli ebrei e dei non musulmani e di come l’incontro con l’Occidente fu un’occasione di emancipazione per gli ebrei e visto come un fatto positivo al contrario degli arabi. Da quel momento però il destino degli ebrei di Libia era segnato perché nasceva il Nazionalismo Arabo che prevedeva e portava in se stesso la conseguenza dell’espulsione degli ebrei.
Rav Arbib ha ripercorso il suo arrivo in Italia, l’accoglienza ricevuta, l’integrazione con gli altri ebrei italiani favorita dagli studi al Collegio Rabbinico, ma la tempo stesso il legame con le tradizioni come quella di frequentare il Tempio Beth El: “Il primo Kippur in un altro tempio lo ho fatto da Rabbino Capo“. Ha ricordato alcuni usi e le consuetudini dei Tripolini come quello della “ Psisa” (fondamento), un “miscuglio” di grano, cereali, zucchero, olio in cui si mettono le chiavi e le fedi in ricordo del Miskan o della prima pietra del Bet Ha Migdash, festeggiando così la base, la partenza, il fondamento.. e poi l’importanza fondamentale dell’Istituto della Famiglia: ad una persona che si incontra per la prima volta si usa dire “ di chi sei Figlio?” e non come ti chiami. Ha voluto infine ricordare l’importanza ed il ruolo della donna nella società tripolina.

Daniela Dawan ci ha parlato in maniera struggente quel famoso 5 giugno 1967 descrivendo l’angoscia di una bambina che si trova nell’impossibità che i genitori la ritirino da Scuola a causa dei tumulti e delle violenze, l’insofferenza e la paura delle Suore di dover ospitare per la notte una bambina ebrea che poteva mettere a rischio l’Istituto, la baldanza della maestra di arabo e poi finalmente poter riabbracciare i genitori.

Da parte mia ho sentito molti racconti dalla viva voce di chi li ha vissuti, come quella di Alberto Fellus, stimato e saggio esponente della comunità ebraica tripolina di Roma e padre di mia moglie, riscontrando una misura, un attaccamento alla famiglia e alle tradizioni, un ottimismo ed un allegria contagiose.