Scandalo Wikipedia: ecco come si “riscrive” l’attualità, la storia degli ebrei e di Israele

2025

 

n° 12 - Dicembre 2025 - Scarica il PDF
n° 12 – Dicembre 2025 – Scarica il PDF

Le informazioni e la conoscenza possono diventare un terreno di guerra? Sì, eccome. Con oltre 18 miliardi di visite al mese, Wikipedia non è più una fonte neutrale per centinaia di milioni di utenti sul Pianeta. Negli ultimi anni è diventata un’arena ideologica per tutto ciò che riguarda Israele, la Shoah e il terrorismo. Una guerra sotterranea iniziata ben prima del 7 ottobre, che “tifa” contro lo Stato ebraico creando disinformazione e rafforzando i pregiudizi. E che manipola la storia, la realtà, i fatti

 

 

Cara lettrice, caro lettore,

a volte la vita ci costringe ad acquisire strane facoltà. Trarre la propria forza dalla propria debolezza non è un esercizio facile, imparare a farlo non è impresa banale. Ma se ci si riesce capita che si aprano insospettate possibilità, occasioni di cambiamento che, al di là della sofferenza, portano fortuna e crescita. Lo sa bene il generale e contrammiraglio della marina israeliana, ex portavoce dell’IDF Daniel Hagari, mentre si rivolge a un’attenta platea di milanesi accorsi (su invito del Keren Hayesod Italia) ad ascoltarne la testimonianza. Un volto, quello di Hagari, che per un anno e mezzo, dopo il 7 ottobre, abbiamo imparato a conoscere e che ha regolarmente fornito gli aggiornamenti ufficiali del governo di Gerusalemme sulla guerra a Gaza, accompagnando gli ebrei del mondo nelle maratone di news in tv. Empatico e spontaneo, privo di qualsiasi retorica o posa militaresca, l’ammiraglio Daniel Hagari sprigiona un’autenticità e un calore che non ci si aspetta da un ufficiale dell’esercito d’Israele.

Alla domanda su dove abbia imparato l’empatia e l’immediatezza del tratto comunicativo, Hagari risponde che deve questa facoltà all’handicap vissuto dal proprio fratellino malato, al dolore e all’amore provati per lui: lo specchiarsi nella disgrazia del fratello gli ha insegnato l’ascolto, obbligandolo ad affinare la sensibilità, la comprensione, l’arte di mettersi nei panni dell’altro. Solo facendo così, spiega Hagari, sperava di poterlo aiutare. E così è stato. Mentre si rivolgeva alle platee in mondovisione e alle diplomazie internazionali, Hagari non ha dimenticato per un solo istante che in quel momento c’erano forse ad ascoltarlo anche gli ostaggi sepolti nei tunnel, sapeva sì che doveva raccontare dei fatti di guerra, spesso anche gravissimi, ma che mai avrebbe dovuto dimenticare di infondere speranza e fiducia nei prigionieri nascosti nelle viscere di Gaza, che doveva indurli a lottare e a non arrendersi, a resistere per restare in vita e non cedere alla cupio dissolvi. Ecco.

È una battaglia spirituale quella che si ingaggia con la propria debolezza, con la mancanza, con la vena aperta da cui rischia di defluire tutto il sangue se non prendiamo un laccio emostatico che lo arresti. Non fermarti ad assaporare il sale delle tue lacrime, dicono i Maestri.

La storia biblica di Giacobbe lo indica chiaramente, lo hanno detto gli ostaggi, i sopravvissuti di ogni gulag e lager, lo sa ciascuno di noi quando inciampa ed elabora la caduta, nel sofferto tentativo di esplorare il limite di se stessi e forse riuscire a farselo amico. La vulnerabilità crea connessione, apre dei canali insospettati, crea uno “spazio liminale”, uno spazio inatteso e di confine dentro cui accadono cose che non ti aspetti, come avviene con Giacobbe che lottando sulle rive dello Yabbok vede aprirsi “la porta del cielo”. Le testimonianze degli ostaggi ce lo dicono, i loro racconti iniziano oggi a circolare nelle parole di Eli Sharabi, di Rom Braslavski, di Agam Berger, di Matan Zangauker, di Eitan Horn e di moltissimi altri rilasciati un mese fa.

Mi torna in mente un autore che ho molto amato in passato, oggi semi dimenticato, Fred Uhlman, la cui famiglia fu sterminata dal nazismo: i suoi Niente resurrezioni per favore (Tea) e Storia di un uomo (Feltrinelli), raccontano di un Io cui non vuole e non può cedere, un Io che diventa Noi. Come ha fatto Daniel Hagari imparando dalla sofferenza di suo fratello, come hanno fatto i prigionieri immaginando di ricongiungersi con un Noi che andava oltre loro stessi.

Fiona Diwan