Yahia Sinwar, portavoce del braccio armato di Hamas

Hamas è al bivio: o la pace con Israele o la guerra

Taccuino

di Luciano Assin
È apparsa il 5 ottobre, sul diffuso e popolare quotidiano israeliano Yedioth Ha Ahronot, una lunga intervista a Yahya Sinwar, leader del braccio armato di Hamas nella striscia di Gaza. L’intervista, pubblicata in contemporanea anche su La Repubblica a firma di Francesca Borri, nota giornalista specializzata nei reportages di guerra, si può condensare nei seguenti punti salienti:

1-esiste un’occasione, forse irripetibile, per un radicale cambiamento.

2-il conflitto in corso fra israeliani e palestinesi potrà terminare solo con la fine dell’occupazione e dell’assedio alla striscia di Gaza.

3-Hamas è il movimento di liberazione del popolo palestinese e durerà fino a quando non terminerà l’occupazione israeliana.

4-l’unica soluzione possibile è la firma di un accordo definitivo basato sulla non belligeranza.

5-anche se nelle prossime elezioni palestinesi, che non si svolgono dal lontano 2006, Hamas dovesse perdere, non sparirà dalla mappa politica.

Al di là delle numerose affermazioni che sono state dette in questa lunga e articolata intervista, è importante sottolineare anche quello che Sinwar non ha detto. Il leader palestinese si è ben guardato dal nominare neppure per una volta la parola Israele, e questo agli occhi dell’israeliano medio è più che sufficiente per screditare l’intera intervista la cui importanza è soprattutto quella di poter leggere, seppur tramite la mediazione giornalistica, i pensieri della controparte.

La mancanza di una rappresentanza politica credibile eletta democraticamente è il più grosso problema della causa palestinese. Come dappertutto le lotte intestine sono il maggior ostacolo da superare.  È impensabile poter organizzare un fronte comune efficace se non solo la predominanza politica è ancora lontana da arrivare, ma anche quando il classico uomo della strada confronta le condizioni socio economiche di entrambe le parti della coesistenza israelo palestinese non può che arrivare ad una conclusione molto semplice: al di là di tutte le vessazioni e le problematiche del governo israeliano in Cisgiordania, il livello economico è infinitamente superiore.

Hamas si trova in uno dei momenti più critici della sua storia decennale, al di là della retorica ha fallito in uno dei suoi compiti principali: quello di migliorare le condizioni di vita essenziali di oltre due milioni di persone. La causa palestinese è passata ormai da molto tempo in secondo piano se non adirittura più in giù non solo agli occhi dell’opinione pubblica mondiale, anche il mondo arabo si è stufato di un conflitto che sembra non avere fine ed ha altri problemi più urgenti: democratizzazione della società, corruzione, disoccupazione e altro ancora.

Il messaggio di Sinwar appare molto chiaro: o si arriva ad un cambiamento radicale in tempi molto stretti fra Hamas ed Israele, o un altro conflitto è alle porte, magari già entro un mese o due. Israele al di là di avere la coalizione più a destra della sua storia si trova ingabbiato fra due opposte realtà. Accordarsi con Hamas verrebbe intepretato come un segno di debolezza, soprattutto da parte dei palestinesi della Cisgiordania che in questo caso vedrebbero rafforzarsi l’ala più intransigente che sostiene che Israele è in grado di capire solo la forza.

Questa immobilità, quasi obbligatoria, non fa che irrigidire le posizioni governative. Gaza è ormai allo stremo, l’inverno imminente non farà che amplificare una situazione già di per sè collassata. Come in una partita a poker, entrambi i giocatori di questa estenuante partita aspettano quel quasi impercettibile segno di debolezza per giocarsi la carta vincente.

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