Anche sull’annessione di parte dei territori conquistati nel 1967, l’Europa non ha titolo per minacciare Israele

di Paolo Salom

[Voci dal lontano occidente]

Quando leggerete questa nota forse sarà già accaduto. O forse no: la materia è talmente delicata che ogni decisione sarà possibile fino all’ultimo secondo.

Mi riferisco naturalmente al progetto di estendere la legislazione civile israeliana alla Valle del Giordano. In una parola dal sapore scivoloso, l’annessione di parte dei territori conquistati durante la Guerra dei sei giorni (5-10 giugno 1967). La proposta, condivisa dal premier Netanyahu e dall’alleato nel governo di unità nazionale Benny Gantz, ha suscitato molte reazioni. Ed è di questo che vorremmo parlarvi qui.

Scontato che il presidente dell’Anp, Abu Mazen, abbia deciso di sospendere ogni collaborazione sulla sicurezza con Israele e gli Stati Uniti, chiamando a raccolta il mondo arabo contro lo Stato ebraico: Ramallah ha rigettato il piano di pace del presidente Donald Trump ancora prima di vedere cosa proponesse, dunque osservare una prima implementazione da parte di Israele è, ai suoi occhi, una “provocazione”. Meno scontato è registrare non tanto l’opposizione dell’Unione Europea – da sempre su posizioni filo palestinesi mascherate da un’inesistente neutralità – quanto il tono usato per dissuadere gli “amici” (!) israeliani a compiere un “errore storico madornale”.

Una bozza di dichiarazione, elaborata all’indomani dell’annuncio da parte di Gerusalemme dell’intenzione di trasferire alla giurisdizione civile la Valle del Giordano a partire da luglio, era stata infatti redatta nella forma di una nemmeno tanto velata minaccia. Se Israele avesse portato a termine l’annessione, era scritto, avrebbe provocato la reazione dura dell’Ue, pronta a rompere ogni collaborazione economica e culturale con Israele e, soprattutto, decisa a imporre vere e proprie sanzioni contro lo Stato ebraico. Ora, per fortuna l’Europa non è un monolite e non tutti i 27 Paesi che ne fanno parte vedono la realtà dei rapporti con Israele attraverso le stesse lenti deformanti del gruppo pro palestinese (fondamentalmente: Francia, Germania, Italia, Spagna, Danimarca e Svezia). E questa “mozione” così sbilanciata non è passata in quanto è mancata l’unanimità.

L’Europa ha dunque parlato per bocca di Josep Borell, il suo Alto rappresentante per gli affari esteri, che, a “titolo personale”, ha più o meno ribadito gli stessi concetti (“non riconosceremo alcuna modifica dei confini che includa le colonie”; “Gerusalemme deve essere capitale di due Stati”). Come se non bastasse, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, si è recato in visita in Israele per “avvertire delle possibili conseguenze dell’annessione”. Una scelta di modi e persone davvero incredibile. Non entriamo nella liceità o sull’opportunità di quanto è stato pensato dal governo israeliano (in accordo con gli Stati Uniti), anche se è doveroso segnalare l’ostentato silenzio dei più importanti Paesi arabi, Giordania esclusa. Ma davvero l’Europa, ovvero il territorio dove per duemila anni gli ebrei sono stati perseguitati, e dove ai loro danni si è svolto il più terribile massacro della storia umana conosciuta, ha titolo per minacciare Israele, lo Stato risorto degli ebrei, unico rifugio di un popolo che ha pagato un prezzo immane per l’odio e la follia scaturite dal ventre di quel Continente? E tra tutti i messaggeri (27!) a disposizione dell’Ue, proprio un tedesco doveva andare a dare agli israeliani lezioni di leggi internazionali, opportunità e effetti di un’azione volta comunque a garantire sicurezza, e non certo ispirata da velleità di espansione territoriale? Più che increduli, siamo stupefatti: la Storia, ahinoi, non insegna davvero nulla a nessuno.