Il massacro degli ebrei iracheni. A ottant’anni di distanza un anziano ricorda il Pogrom del “Farhud”   

di Roberto Zadik   

Il massacro degli ebrei iracheni. A ottant’anni di distanza la testimonianza di un anziano che racconta la persecuzione di Al Diwanyia del maggio 1941. Dopo due giorni scoppiò il Pogrom del “Farhud” 

La follia nazista non colpì solamente l’ebraismo europeo ma si spinse ben più lontano, influenzando i governi dei Paesi arabi orientali e nordafricani che inasprirono ulteriormente i loro sentimenti antiebraici ispirandosi del regime hitleriano. Avvolta nel silenzio per troppi anni, a parte pochi e recenti esempi di trattazione come l’efficace saggio di Vittorio Robiati Bendaud La stella e la mezzaluna, la storia, spesso estremamente dolorosa, dello scomparso e sradicato ebraismo del mondo arabo ha visto episodi di estrema drammaticità dimenticati  o poco trattati dal mondo occidentale.  Questo è il caso degli ebrei iracheni che 80 anni fa, durante la Seconda Guerra Mondiale  vennero colpiti in due vicende estremamente drammatiche avvenute quasi in contemporanea fra loro. Prima ci furono le persecuzioni avviate, dall’1 al 31 maggio 1941, dallo spietato Primo Ministro Rashid Ali al- Gaylani che, dopo essersi alleato con Hitler, decise di sterminare gli ebrei di Al Diwaniya, villaggio lungo le rive dell’Eufrate. Successivamente a Baghdad, due giorni dopo, l’1 e il 2 giugno dello stesso anno, avvenne il pogrom del “Farhud” (che in arabo significa “saccheggio”) del quale ricorre l’80esimo anniversario e in cui morirono massacrati dalla folla inferocita circa 200 ebrei (per alcune fonti, le vittime furono molte di più).

 

Il Ghetto di Al Diwaniya e la narrazione dell’85enne Daniel Sasson 

A raccontare la prima vicenda  un’ intervista pubblicata lo scorso 3 marzo dal Times of Israel  in cui  Daniel Sasson, un anziano 85enne che, in un articolo firmato dalla giornalista Lynette Hacopian,  ha sottolineato la “necessità che questa storia venga conosciuta evidenziando il collegamento fra i ghetti europei e il quartiere ebraico iracheno”.  Sasson ha sottolineato come il suo Paese avesse “importato” l’antisemitismo tedesco dopo il patto con Hitler, torturando i suoi ebrei. Ma cosa avvenne esattamente? Dal primo al 31 maggio 1941, ispirandosi alla ferocia nazista  il regime iracheno avviò una tremenda persecuzione antiebraica che venne seguita dal pogrom di Farhud. Gli ebrei locali, appartenenti a una antica comunità presente nel territorio da 2.500 anni,  vennero chiusi dentro la villa della famiglia Sasson, una delle famiglie più in vista della cittadina, che “essendo l’immobile più ampio della città” – come ha rievocato nel 15 gennaio 2020 in un video sul sito rozenbergquarterly.com – venne trasformata in un Ghetto. La casa, fatta costruire dal nonno di Sasson venne così suddivisa in tre parti, la prima per gli uomini, la seconda per donne e bambini e la terza per la polizia che controllava qualsiasi dettaglio. Inoltre nello spazio che divideva il settore maschile da quello femminile c’erano un carro armato e varie macchine della polizia che rendevano impossibile  qualunque passaggio.

In quell’angosciosa condizione i circa 600 ebrei di Diwaniya più altri 70 provenienti da Baghdad e da altri luoghi nel Paese  vennero lasciati senza cibo e viveri, imprigionati e controllati 24 ore su 24 dalle forze dell’ordine e dai militari che sorvegliavano esternamente l’edificio armati di pistole e coltelli. Gli uomini erano divisi dalle donne e dai bambini che piangevano ininterrottamente. “Nonostante fossi un bambino – ha aggiunto Sasson – ricordo tutto come fosse accaduto ieri. Vivevamo una vita molto difficile; tutti gli uomini ebrei furono costretti a lavorare incessantemente, dalle 7 di mattina alle 7 di sera”. Lo spietato premier  aveva intenzioni ancora peggiori di quello che stava già mettendo in pratica. Infatti il suo piano era di costruire, assieme ai suoi sostenitori, altri ghetti, dalla capitale Baghdad fino a Bassora a sud del Paese distruggendo tutti gli ebrei iracheni. “Siamo stati molto fortunati – ha ricordato – che questo progetto sia andato in fumo e che Rashid sia stato sconfitto”. Ma come avvenne la fine di quel regime? “Un giorno – racconta nell’intervista – vidi che il carro armato che ci sorvegliava tutto il tempo era scomparso. Sono sceso nella parte degli uomini e non ho visto più nemmeno la polizia. Così  ho capito  che il piano di  al-Gaylani era fallito e che l’esercito inglese l’aveva sconfitto liberando il Paese e costringendo il Primo Ministro alla fuga”.

Sasson racconta che  tutti gli ebrei si riunirono in preghiera recitando lo Shemà Israel.  “Fu davvero commovente vederli mentre si rimettevano le scarpe per tornare alle loro abitazioni”. Sasson e la sua famiglia si trasferirono a Baghdad dove suo padre cominciò una redditizia attività edile e finalmente riuscirono, nel 1951, a emigrare in Israele dove ricominciarono una nuova vita.  Purtroppo l’incubo per gli ebrei iracheni  non era finito. Infatti  particolarmente  sanguinosa  fu la “vendetta” della popolazione irachena dopo la vittoria dell’esercito inglese e sobillata dal nazismo europeo,  che avvenne con il  pogrom di Farhud.

 

La seconda tragedia: A Shavuot 1941, il pogrom di Farhud a Baghdad 

Subito dopo la liberazione degli ebrei di Al Diwaniya, a Baghdad nel massacro del “Farhud” oltre 200 ebrei vennero uccisi barbaramente dalla popolazione locale,  circa duemila  vennero feriti e 1.500 edifici fra case e negozi furono  saccheggiati e distrutti. Tutto questo avvenne in un solo giorno, fra l’1 e il 2 giugno del 1941 durante la solenne festa di Shavuot. Il sito della BBC in un articolo di dieci anni fa, pubblicato il 1 giugno 2011 e firmato da Sarah Ehrlich  fornisce un resoconto dettagliato di quanto accadde. Fu una rivolta “di ispirazione nazista” come ha ricordato il sito “che pose fine a duemila anni di esistenza pacifica degli ebrei iracheni nella capitale”. Fra le testimonianze di quanto accadde, il sito riporta quella di Heskel Haddad che all’epoca aveva 11 anni. L’uomo ha ricordato “il tumulto popolare che avvenne in città con una folla di migliaia di iracheni inferociti e armati di spade e coltelli affilati e di pistole che sparavano in aria gridando Allah, Allah”.

Mentre con la sua famiglia stava recandosi a studiare in sinagoga tutta la notte, come si usa nella festività che ricorda il dono della Torah sul Sinai, Haddad che risiede a New York e fa l’oftalmologo, ha rievocato  “quei due giorni di ininterrotta violenza ai danni di una comunità che era in quel territorio dai tempi del Talmud Babilonese”. Sebbene le fonti ufficiali menzionino 200 vittime, il sito della BBC ha riportato i dati del Babylonian  Jewry Heritage Centre, museo situato in Israele a Or Yehuda,  che indicano altri 600 ebrei non identificati e seppelliti in una fossa comune. La folla impazzita depredò case e negozi, vandalizzandoli e segnando con una mano rossa gli edifici degli ebrei che erano costretti a difendersi come potevano, lanciando pietre e mattoni contro la gente o scegliendo di rifugiarsi a casa di musulmani che rischiavano la vita per salvarli.  Anche un certo Steve Acre, che ora vive a Montreal in Canada, ha ricordato quel massacro in cui una “moltitudine di persone vennero verso casa nostra dandole fuoco fra canti e urla di gioia”. A scatenare tutto questo, un misto di antisemitismo, la sconfitta del premier Ali al- Gaylani e la propaganda nazista che tuonava nelle radio. Come ha evidenziato il sito della BBC, l’esercito inglese, che era solo a otto miglia dalla città, non riuscì a fermare quel massacro pur essendo nella zona per impedire che il petrolio iracheno finisse sotto il controllo nazista. Finalmente tutto si concluse il 2 giugno con il coprifuoco imposto alle 17 dal sindaco di Baghdad in collaborazione con la polizia irachena. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1950 gli ebrei poterono finalmente lasciare il Paese, abbandonando proprietà e beni, costretti a ripartire da zero. Nel 1952 nel Paese rimasero solo duemila dei 150.000 ebrei originari.