di Ludovica Iacovacci
Tutti, soprattutto a sinistra, la volevano: come ospite televisiva, come cittadina onoraria, come politica, come alleata. Tutti, soprattutto a sinistra, la elogiavano per il suo straordinario lavoro alle Nazioni Unite come Relatrice speciale per i territori palestinesi. Francesca Albanese era diventata il baluardo della difesa dei diritti umani del popolo più mistificato e glorificato della storia: una donna che si batte in prima persona per i palestinesi e il cui marito, Massimiliano Calì, ha ricoperto il ruolo di consulente economico del Ministero dell’Economia Nazionale palestinese.
Fino a quando non è arrivato uno scivolone: non il primo, non l’ultimo, l’ennesimo. Per chi conosce e segue il personaggio da anni non sorprende che Francesca Albanese abbia condannato l’attacco da parte degli antifascisti dei centri sociali alla sede de La Stampa di Torino, “ma”. La rappresentante Onu ha affermato: “Condanno la violenza contro la stampa ma anche voi giornalisti”. Secondo lei, l’assalto oltraggioso e violento alla sede di un giornale italiano da parte di rivoltosi sarebbe dovuto servire da “monito” ai giornalisti per “tornare a fare il proprio lavoro”.
Parole allarmanti che hanno sollevato diverse critiche, partendo dal Presidente del Consiglio Giorgia Meloni: “È molto grave che, di fronte a un episodio di violenza contro una redazione giornalistica, qualcuno arrivi a suggerire che la responsabilità sia – anche solo in parte – della stampa stessa. La violenza non si giustifica. Non si minimizza. Non si capovolge. Chiunque cerchi di riscrivere la realtà per attenuare la gravità di quanto accaduto compie un errore pericoloso. La libertà di stampa è un pilastro della nostra democrazia e va difesa sempre, senza ambiguità”.
A parlare di Francesca Albanese è stato anche il capogruppo di Fratelli d’Italia in Senato, Lucio Malan: “Condanna formalmente le violenze, ma poi lancia un monito da regime dittatoriale”. Per il Partito Democratico ha preso posizione il capo delegazione all’Europarlamento, Nicola Zingaretti: “Aggredire la redazione di un giornale con azioni squadristiche è un atto intollerabile, e non esiste alcuna ragione che possa giustificarlo”. Ancora, Guido Crosetto, ministro della Difesa: “Non si danno lezioni a giornalisti, politici, poliziotti e carabinieri con la violenza”. “Non stiamo dalla parte di chi dice che chi distrugge un giornale sbaglia ma vuole mandare un messaggio alla stampa, siamo in democrazia e la stampa dev’essere libera: nessuno con la violenza deve impedire a un giornale di dire ciò che pensa, guai a mettere il bavaglio anche a chi non la pensa come te”, ha affermato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Non esente da critiche è intervenuto anche il presidente dell’Ordine dei Giornalisti, Carlo Bartoli: “Le parole di Francesca Albanese sull’irruzione nella redazione de La Stampa a Torino sono irresponsabili e pericolose. Nessuna giustificazione, nemmeno indiretta o con una condanna di facciata, può essere concessa a chi mette i giornalisti nel mirino”.
In questi mesi sono stati molteplici i sindaci delle città d’Italia che hanno deciso di conferire alla relatrice la cittadinanza onoraria o di discutere se conferirgliela. La cittadinanza onoraria viene concessa come riconoscimento simbolico generalmente a persone che, pur non essendo residenti in un comune, hanno contribuito in modo significativo alla comunità o incarnano valori che l’ente locale vuole celebrare. Seppur non sia una regola, solitamente l’individuo premiato è legato al territorio che conferisce l’onorificenza, pertanto non è inopportuno domandare: ma che cosa ha fatto concretamente questa rappresentante Onu per Bologna, per Bari, per Napoli, per Torino, per Firenze, per Reggio Emilia, per Nuoro, per Sassari…?
A seguito delle sue parole riguardo alla vicenda della sede de La Stampa, Firenze ci ha ripensato e ha fatto saltare il conferimento della cittadinanza onoraria per la paladina dei propal. Il sindaco della città, Sara Funaro, ha affermato: “Su quanto accaduto alla redazione de La Stampa non ci può essere una condanna con un ‘ma’ e non possono esserci moniti al giornalismo. Pur riconoscendo il suo importante lavoro svolto come relatrice Onu, Albanese in più occasioni ha dimostrato di mandare messaggi che portano a dividere più che unire nella comune causa a difesa del popolo palestinese. L’ultimo episodio ha toccato un punto per me importante: la libertà di informazione. Non può essere messa in discussione. Per questo non ritengo opportuno consegnarle la cittadinanza onoraria. Non esistono condanne condizionate”.
A discutere sulla marcia indietro per il conferimento della cittadinanza onoraria, dopo le parole sull’assalto alla sede giornalistica, ci sono anche i comuni di Sassari e Nuoro. I sindaci del Pd Vito Leccese (Bari) e Matteo Lepore (Bologna) invece non vogliono fare dietrofront: loro hanno conferito il titolo d’onore ad Albanese e credono che il valore del suo lavoro rimanga intatto, nonostante la presa di distanza dalle sue ultime dichiarazioni. Non tornano indietro neanche Vito Leccese, sindaco di Lecce, e Marco Massari, primo cittadino di Reggio Emilia, seppur, anche loro, facciano a gara a chi si distanzi prima dalle recenti affermazioni della relatrice. A Torino la proposta per il conferimento della cittadinanza onoraria si era già arenata il 31 ottobre. Vicende simili che hanno portato a fermare tutto le hanno viste anche i comuni di Napoli (“Milano non è Napoli, lì si svegliano alle sei”, aveva infelicemente dichiarato la rappresentante delle Nazioni Unite) e Cuneo.
Insomma, lo scenario di massima santificazione per l’avvocata di Gaza tra i sindaci italiani di sinistra si è ampiamente incrinato, così come è avvenuto tra diversi politici, giornalisti ed intellettuali, in particolare da quando Francesca Albanese ha ricordato ai giornalisti che se sono stati aggrediti, infondo, è anche colpa loro per quello che scrivono – che è come dire a una donna che esce in minigonna e che viene stuprata che, infondo, la violenza subita è anche colpa sua per come si è vestita.
Lo scivolone su La Stampa è solo l’ennesimo episodio che chiarisce chi sia davvero Francesca Albanese
Ciò che sorprende però è che questa parabola discendente sul personaggio Albanese, da eroina a reietta, sia avvenuta solo adesso. Sì perché le sue dichiarazioni sulla vicenda de La Stampa sono ovviamente irricevibili e pericolose, ma sono solo l’ennesima dimostrazione della faziosità dimostrata dal soggetto nel corso degli anni.
Per capire davvero chi è Francesca Albanese, non sono bastate le sue dichiarazioni come rispondere “no” a chi le chiedeva se Hamas fosse un gruppo terroristico, rivendicare che Hamas ha “il diritto di resistere”, scrivere che “Le vittime del 7/10 sono state uccise non a causa del loro ebraismo, ma in risposta all’oppressione di Israele”, paragonare lo Stato ebraico alla Germania nazista di Hitler, dire che gli Stati Uniti sono “soggiogati dalla lobby ebraica”?
Non sono bastate le indagini di UN Watch che documentano la sua cattiva condotta finanziaria, l’antisemitismo, gli abusi etici e il suo viaggio all inclusive in Australia e Nuova Zelanda finanziato dai gruppi pro-Hamas? Non sono bastate le condanne di Stati Uniti, Francia e Germania per il suo antisemitismo? Non è bastato che lei stessa si dichiarasse “avvocato” nonostante non lo sia? Non sono bastate le sue parole di irrisione della Shoah (“Se una persona ha un tumore, non va a farsi fare la diagnosi da un sopravvissuto a quella malattia ma da un oncologo”) e quelle contro Liliana Segre, giudicata dalla relatrice “non imparziale” e “non lucida” per pronunciarsi sul termine “genocidio” e su quello che avviene a Gaza? Non è bastato il richiamo al sindaco di Reggio Emilia, il quale conferendo alla rappresentante Onu la cittadinanza onoraria ha ricordato che il rilascio degli ostaggi israeliani è una condizione di pace ed è stato richiamato per questo dalla relatrice con le parole “la pace non ha bisogno di condizioni, il sindaco si è sbagliato, la perdono, ma deve promettermi che questo non lo dice più”?
Il fatto che alcuni sindaci, politici, giornalisti ed intellettuali abbiano finalmente aperto gli occhi dopo le parole della Albanese rivolte alla stampa è certamente positivo. Resta però una domanda che non si può eludere: com’è possibile che la soglia di allarme si sia attivata solo ora, dopo anni di dichiarazioni problematiche, accuse controverse, uscite infelici e prese di posizione che avevano già delineato chiaramente il personaggio? Forse la risposta è semplice e insieme amara: finché certe parole restano confinate in un dibattito falsato, spesso strumentalizzato, mal compreso e mistificato, in cui la propaganda antisionista e antisemita sta avendo la meglio, si possono ignorare.
Ma come è stato possibile che l’antisemitismo e la storia del conflitto in Medio Oriente siano stati così sottovalutati e riscritti da rendere Francesca Albanese una figura addirittura apprezzata? Quando però alcune espressioni toccano un nervo scoperto, come la libertà d’informazione, il ruolo della stampa, il fondamento stesso del confronto democratico – questi sì temi davvero conosciuti, dei quali si ha piena contezza – allora alcune parole diventano improvvisamente intollerabili. E così la caduta di Francesca Albanese dice molto meno su di lei, e molto di più sul Paese che l’ha prima santificata e poi scaricata. Questo, forse, è il dato più inquietante: non ciò che la rappresentante Onu ha detto oggi, ma tutto ciò che è stato tollerato fino a ieri e che si è finto di non vedere.



