di Ilaria Ramazzotti
Il 7 ottobre 2023 lo Stato di Israele è stato colpito da un attacco terroristico senza precedenti da parte di Hamas: oltre 1.200 persone uccise, centinaia rapite, tra cui molte donne, brutalmente aggredite, violentate e torturate. A raccogliere testimonianze, prove documentali e racconti delle vittime è stato il rapporto Dinah Project (thedinahproject.org), un’iniziativa sorta in Israele per dare voce alle donne che hanno subito la violenza, sistematica e studiata, perpetrata da Hamas. Ne abbiamo parlato con Anna Paola Concia, attivista per i diritti civili, ex deputata, femminista e voce storica del movimento LGBTQIA+. Nel dialogo, la riflessione verte sulle gravi omissioni dell’informazione sul 7 ottobre, sull’antisemitismo che riemerge e sul tradimento di valori umani universali da parte di alcuni movimenti femministi e LGBTQIA+.
“Io sono tra quelle che hanno sempre creduto a ciò che adesso il Dinah Project purtroppo riporta – ha detto a Bet Magazine Mosaico Anna Paola Concia -. Non mi sono stupita. Di certo, leggerlo è stato molto duro. Come lo era stato per chi mi aveva già raccontato di certe immagini terribili viste soltanto da alcuni giornalisti che non erano state diffuse. Capisco che il governo israeliano non abbia inizialmente voluto diffonderle, ma oggi, alla luce della guerra di propaganda che fa Hamas, sostenuta in parte anche dall’Occidente, ciò che è accaduto il 7 ottobre è stato dimenticato dall’opinione pubblica, ma la condanna verso quanto accaduto in quel pogrom va sempre ribadita”.
La guerra di propaganda e l’antisemitismo
La riflessione si sposta sulla comunicazione internazionale. Secondo Concia, ciò che è successo il 7 ottobre è stato rapidamente rimosso dal dibattito pubblico globale, sostituito da una narrativa dominante costruita sulla reazione israeliana nel corso di una parallela guerra di propaganda in cui Hamas ha saputo imporre la sua narrazione. “Se il 7 ottobre è stato dimenticato, rimosso, è perché la guerra della propaganda l’ha vinta Hamas, purtroppo. Lo sappiamo, lo sa anche Israele, lo sanno gli israeliani, lo sanno gli ebrei nel mondo. E perché l’ha vinta? Ho sempre sostenuto che l’antisemitismo, l’odio verso gli ebrei e verso Israele, verso gli israeliani e gli ebrei nel mondo che hanno trovato finalmente la loro Patria, sia stato sempre mal digerito da una parte dell’Occidente e da una parte consistente del radicalismo musulmano, così l’esistenza di Israele è sempre stata messa in discussione”. È una guerra di immagini, di simboli, di emozioni selettive. Ma, soprattutto, è una guerra che ha portato alla rimozione di alcune verità presenti e passate nonché alla rinascita di elementi antisemiti. “Oggi è come se fosse stato stappato un tappo all’antisemitismo che prima era in sordina”.
“Una cosa è criticare la reazione di Israele, che è criticata e può essere democraticamente criticabile. Anch’io non condivido quello cha fa oggi il governo Netanyahu e penso che la guerra a Gaza debba finire e sia terribile per le vittime civili – chiarisce a proposito del conflitto in corso -. Ma il tema adesso in questione è un altro: il 7 ottobre è stato dimenticato, dopo la reazione di Israele, perché si mette in discussione l’esistenza stessa di Israele. L’enorme lavoro che ha fatto Hamas, con la complicità di una parte dell’Occidente, è di far diventare gli ebrei dei carnefici. La tragedia che il Dinah Project racconta nei dettagli è stata programmata con un sadismo feroce ma, poiché gli ebrei e il governo israeliano hanno reagito a quell’ennesimo attacco, al più grande pogrom dopo la Shoah, sono stati fatti diventare dei carnefici”.
In tutto questo, l’attenzione va sul ruolo svolto dall’Occidente sul campo dell’informazione e della propaganda. “C’è una parte dell’Occidente, come tutto il movimento pro-Pal, che attinge dalle notizie date da Hamas e c’è una parte del mondo accademico, e purtroppo una parte della sinistra, lo dobbiamo dire perché non si può negare, che sostengono che Israele non debba sopravvivere – rimarca Concia -. Oggi il tema è l’esistenza di Israele, mentre l’antisemitismo dei confronti degli ebrei nel mondo è esploso con violenza”.
La violenza particolare verso le donne e la diffusione delle notizie
Un punto centrale del rapporto del Dinah Project riguarda la violenza sessuale usata come arma di guerra programmata. Concia denuncia però il fatto che alcune femministe, e parte di interi movimenti, abbiano evitato di affrontare questa realtà. La mancata condanna di queste violenze sessuali segna allora, da questo punto di vista, un tradimento dei principi stessi del femminismo. “C’è stato lo stupro e lo scempio dei corpi delle donne viste come strumenti di guerra, come campo di battaglia. Una cosa che nella storia non è una novità, purtroppo, ma la violenza del 7 ottobre è stata perpetrata in modo scientifico, è stata una scelta precisa, studiata. Tutto questo viene negato da una parte del femminismo legato al movimento pro-Pal. Ma il femminismo deve essere universalista, difendere le donne sempre, dovunque e comunque, altrimenti non è più femminismo, è un’altra cosa”.
Secondo Concia, ciò che è accaduto il 7 ottobre è stato oscurato da una narrazione che ha reso difficile una consapevolezza chiara degli eventi. Ma dopo la pubblicazione del Dinah Project potrebbe cambiare l’informazione su quei fatti? “Certo, dovrebbe cambiare, ma sul fatto che accada davvero sono molto scettica – risponde l’ex deputata-. E sono scettica soprattutto nei confronti di chi non è interessato a capire, di chi sostiene che il 7 ottobre sia stato cancellato da ciò che Israele ha fatto dopo. Già l’8 ottobre c’era chi accusava Israele. Appena dopo i fatti accaduti, quando ancora non si trovavano le persone scomparse, quando non si sapeva bene come fossero andate le cose, mentre il Paese era sotto shock, alcuni avevano già cominciato ad accusare lo Stato ebraico. Naturalmente, è giusto che questo rapporto sia stato redatto e diffuso, con l’obiettivo sia di far sapere al mondo dove è nato tutto quello che adesso accade, cioè dalla tragedia del 7 ottobre. Una tragedia da far conoscere al mondo, affinché se ne possa parlare, perché molte volte è stata negata addirittura la possibilità di parlarne. Penso tuttavia che da parte del movimento pro-Pal e di altri ci sia una chiusura assoluta che non credo possa cambiare. Lo penso perché la mia battaglia contro l’antisemitismo è precedente di molti anni al 7 ottobre. Si tratta di una chiusura fatta di parole pesanti, come lo slogan sul genocidio. La guerra a Gaza certamente dovrebbe finire. Provo un grande dolore verso i morti di Gaza e verso quanto accade. Ma dirò anche un’altra cosa, molto forte. Penso che una parte di mondo, siccome questo antisemitismo era tenuto sotto la sabbia, oggi sia ben felice di “liberarsi” della Shoah e del senso di colpa, di dire che ormai la ‘Shoah è a Gaza’. Sarà interessante il prossimo giorno della memoria, perché la guerra di propaganda in questo 2025 è stata fortissima”.
Uno sguardo sul recente Pride visto in chiave ebraica
Parlando dei Pride e dei movimenti LGBTQIA+ emergono delusione e preoccupazione. Secondo Concia, movimenti che un tempo avevano unito, oggi rischiano di escludere e discriminare, soprattutto verso le persone LGBTQIA+ di origine ebraica o legate a Israele o ritenute tali. “Sono molto vicina ai Pride anche se non vado più a quelli italiani, ma solamente a quelli organizzati in Germania, dove c’è una consapevolezza diversa – spiega -: anche ai Pride tedeschi ci sono sostenitori pro-Pal, ma non succede ciò che è successo in Italia, dove il movimento LGBTQIA+ si è molto radicalizzato e ha deciso di cambiare la sua mission. Nei Pride italiani ci sono stati episodi di antisemitismo e sono molto vicina all’associazione Magen David Keshet Italia”.
Così, come accade in alcune frange del femminismo, anche nei movimenti legati ai Pride, la cui missione è sempre stata quella di dare visibilità alla rivendicazione dei diritti degli omosessuali nel mondo, si colgono discriminanti e discriminazioni laddove proprio quei diritti non vengono rivendicati allo stesso modo per gli omosessuali ebrei. “È una contraddizione, è come avere ucciso e completamente snaturato il Pride, che così diventa un’altra cosa, perché se si cacciano gli ebrei e gli ebrei gay dal Pride, oppure li si insulta, si crea un cortocircuito – sottolinea Concia -. È molto doloroso per gente come me, che viene da una generazione che ha lottato per i diritti degli omosessuali e dei transessuali, vedere tutto questo”. Così, a proposito del recente Pride italiano, Concia dichiara: “Mi ha addolorato sentire i fischi contro Raffaele Sabbadini e il suo gruppo a Napoli, i fischi contro il carro degli ebrei. Per me è stato un grande dolore. Tra l’altro, l’associazione ebraica omosessuale è sempre stata molto in conflitto con Netanyahu. Come sostiene l’attivista americano Ritchie Torres, questa deriva farà sì che i diritti che abbiamo conquistato verranno messi in discussione e questo è un grande pericolo, una deriva antidemocratica”. Qui, il cuore della critica rivela un’aspra contraddizione: un movimento nato per includere oggi rischia di escludere chi non si allinea a una certa narrazione e una certa politicizzazione dei fatti.
È una prospettiva pericolosa in cui si evita altresì di vedere le persecuzioni reali che le persone omosessuali subiscono in molti Paesi a governo islamista fondamentalista. “Va sottolineato il dramma degli omosessuali e di tutti i cittadini LGBTQIA+ nei paesi islamici dove vengono messi in carcere e uccisi, ma su questo non si dice una parola. Noi veniamo ammazzati in Iran, in Libia, in Palestina, veniamo buttati dal quinto piano, ammazzati, impiccati o messi in galera – sottolinea -. Lo dicono gli stessi rappresentanti dei paesi integralisti musulmani che l’omosessualità per loro è un reato. Molti omosessuali scappano dalla Palestina, quelli che possono si rifugiano proprio in Israele. Però viene negato anche questo. Oppure, se lo si dice, si viene accusati di pinkwashing o rainbow washing. Il totale silenzio in Occidente su questi temi è terribile. Come si fa così a ricostruire un tessuto di buon senso? Dovremmo invece sostenere gli omosessuali, anche contro Hamas e il governo iraniano che lo finanzia”.
Le battaglie civili in un mondo da riparare
Se un tempo le battaglie erano unite nel nome della libertà, dell’uguaglianza, della dignità, del riconoscimento delle minoranze e della parità dei diritti, oggi il rischio alberga in movimenti che appaiono frantumati, divisi, talvolta perfino strumentalizzati. “Mi sono battuta tutta la vita per i diritti, non era certo questo il mondo che volevo costruire – prosegue Concia -. Dopo una vita spesa per i diritti civili, per i diritti delle donne, posso dire che non era questo che volevo, non era certo questo il tipo di battaglia che avevo scelto. Non ho condotto mai alcuna battaglia per cacciare gli ebrei dai Pride o per cacciare le donne dalle manifestazioni delle femministe, di alcune femministe, solo perché volevano ricordare gli stupri del 7 ottobre. Provo un grande dolore per quello che succede. Era un altro il mondo che volevo costruire”.
Secondo questa prospettiva, solo scelte politiche chiare e coerenti possono portare alla valorizzazione delle diversità, al riconoscimento dell’altro, alla difesa del diritto democratico contro la disinformazione, contro l’antisemitismo e anche contro i fondamentalismi, fino a una pace che passa attraverso la libertà di entrambi i popoli israeliano e palestinese. “Vorrei che le donne palestinesi venissero liberate da Hamas, che l’intero popolo palestinese venisse liberato da Hamas, un popolo che è imprigionato in questa guerra, una doppia guerra. Vorrei due Stati democratici. Il problema è che l’Iran, che finanzia Hamas, vuole la cancellazione dalla cartina geografica di Israele. Però se dici queste cose, vieni definito fascista e genocida! È la morte della democrazia – conclude Anna Paola Concia -. Considero infine questo odio emergente verso gli ebrei qualcosa di più antico, in Italia in particolare”. Un’analisi fra passato e presente che mette al centro diritti umani e la ricerca di democrazie possibili anche quando la storia svela pieghe ombrose.