di Davide Cucciati
All’indomani del pogrom del 7 ottobre, uno dei concetti ripresi da numerosi giornalisti e analisti è stato quello di “conceptzia”: più precisamente, la società israeliana, soprattutto la sua intellighenzia, ha frainteso quella palestinese, in particolare Hamas, pensando che l’afflusso di aiuti finanziari e l’aumento dei permessi di lavoro avrebbe stabilizzato la situazione. Il progresso economico avrebbe dato alla classe dirigente palestinese qualcosa da perdere. Citando le parole del colonnello in congedo Michael Milshtein, intervistato recentemente da Mosaico, “molti in Israele pensavano che Hamas e il mondo arabo pensassero come noi, che avessero la stessa percezione occidentale della vita, che volessero le stesse cose. Che fossero concentrati sulla vita quotidiana, sul benessere. Ma l’ideologia non la compri con i soldi. E oggi ci rendiamo conto che tutta quella percezione era profondamente sbagliata.”
Anche in diaspora, il rischio di una lettura della realtà mediante desideri inconsci o wishful thinking è assai diffuso. Pertanto, non resta altro che affidarsi ai dati.
Nel mese di maggio 2025, il Palestinian Center for Policy and Survey Research (PSR), istituto con sede a Ramallah, può rivelarsi una fonte utile per ragionare partendo dai dati. Per la quinta volta dal 7 ottobre, il PSR ha chiesto agli intervistati della Giudea a Samaria (Cisgiordania) e della Striscia di Gaza cosa pensassero della decisione di Hamas di lanciare l’attacco del 7 ottobre: il 50%, rispetto al 54% di sette mesi fa, nel settembre 2024, e al 71% di 14 mesi fa, nel marzo 2024, ha affermato che si trattava della scelta giusta. Il calo di questa percentuale si è verificato sia in Cisgiordania e sia nella Striscia di Gaza: oggi si attesta al 59% in Cisgiordania e al 38% nella Striscia di Gaza. È lecito ipotizzare che il decremento del consenso nei confronti del pogrom sia stato causato dalla dura reazione di Israele; al contrario, la politica di appeasement non ha reso meno popolare l’ideologia di Hamas che, anzi, è radicata anche in Cisgiordania dove il movimento di resistenza islamico non governa.
Hamas resta il primo partito nelle intenzioni di voto tra chi andrebbe effettivamente alle urne: 43% contro il 28% di Fatah. Un dato che rivela una società polarizzata in cui la sfiducia verso le alternative pesa più di tutto. Se alle elezioni presidenziali partecipasse anche Marwan Barghouti, storico dirigente di Fatah incarcerato in Israele e figura centrale della Seconda Intifada, sarebbe lui a ottenere la maggioranza con il 50% dei voti, superando sia Khaled Mashal, di Hamas, che si fermerebbe al 35%, sia Mahmoud Abbas, Abu Mazen, ultimo con l’11%. A tal proposito, è doveroso citare un’intervista rilasciata a La Repubblica da Fadwa Ibrahim Barghouti, moglie di Marwan Barghouti, poche settimane dopo il 7 ottobre 2023: “Abu Mazen non pensa solo di restare al potere a Ramallah ma di recuperarlo anche a Gaza. Si illude. Chiunque creda di insediarsi a Gaza entrandoci a bordo di un tank israeliano è un uomo morto. Hamas non è solo un movimento politico e militare: è un’idea. Siamo tutti con Hamas come sinonimo di resistenza. Di azione.”.
Ad ogni modo, le sofferenze causate dalla guerra sembrano aver inciso sulla popolarità di Hamas: a Gaza, il 48% dei residenti ha espresso sostegno per le recenti proteste popolari contro il movimento islamista mentre in Cisgiordania solo il 14% ha manifestato appoggio. Una maggioranza del 59% degli intervistati ritiene però che tali proteste siano motivate da “mani esterne” più che da un’opinione autentica della popolazione.
Hamas non è soltanto una milizia armata: è anche una struttura educativa e sindacale, profondamente radicata nel tessuto civile palestinese come già documentato anche da Mosaico. Secondo la Banca Mondiale e l’UNESCO Institute for Statistics, prima della guerra del 2023, i Territori Palestinesi registravano livelli molto elevati di alfabetizzazione e accesso all’istruzione: il tasso di alfabetizzazione tra gli adulti superava il 97%, mentre l’iscrizione alla scuola primaria raggiungeva oltre il 95%. Il dato forse più sorprendente riguarda però l’istruzione terziaria: secondo la Banca Mondiale, oltre il 42% dei giovani palestinesi risultava iscritto all’università anche nella Striscia di Gaza, nonostante le restrizioni imposte dal blocco. Questi numeri smentiscono il luogo comune di una popolazione povera e ignorante, facile preda dell’estremismo: l’indottrinamento ha attecchito dentro un sistema educativo strutturato. La popolarità di Hamas nei campus universitari della Cisgiordania ne è un esempio. Alla Birzeit University, la lista studentesca legata ad Hamas ha vinto le elezioni più volte negli ultimi anni. Un segnale importante, considerato che in Cisgiordania non si tengono elezioni generali da quasi vent’anni.
L’UNRWA connivente con il terrorismo
In questo contesto, il ruolo dell’UNRWA è cruciale. Secondo un dettagliato rapporto pubblicato da UN Watch nel settembre 2025, diversi leader sindacali e direttori scolastici legati a Hamas hanno esercitato un’influenza sistematica sull’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. Tra i casi documentati: Suhail Al-Hindi, preside scolastico e per anni a capo del Gaza Staff Union; Amir Al-Mishal, suo successore alla guida del sindacato; in Libano, Fateh Sharif, responsabile del Teachers’ Union e figura di spicco di Hamas nel Paese. Secondo il report, questi soggetti hanno promosso scioperi, proteste e pressioni interne, ottenendo il reintegro di dipendenti sospesi per violazioni di neutralità e l’allontanamento di funzionari sgraditi: emblematico il caso di Matthias Schmale, direttore di UNRWA a Gaza, espulso nel 2021 dopo un’intervista considerata filo-israeliana. In Libano, la direttrice Dorothee Klaus fu costretta a lasciare il Paese lo stesso giorno in cui UNRWA annunciò la sospensione di cinque membri del sindacato docenti, tutti vicini a Sharif. Anche la commissione d’indagine interna voluta dall’ONU nel 2024 dopo lo scandalo della chat Telegram con migliaia di dipendenti UNRWA coinvolti, ha ammesso la politicizzazione dei sindacati interni: secondo le sue conclusioni, “fazioni politiche hanno usato le staff union per fare pressione sulla leadership dell’agenzia”. Tuttavia, osserva UN Watch, nessuna delle raccomandazioni in materia di neutralità sindacale è stata attuata entro agosto 2025.
Quanto al 7 ottobre, il coinvolgimento della popolazione civile di Gaza fu tutt’altro che marginale. Il Jerusalem Post ha confermato che numerosi civili palestinesi hanno partecipato attivamente al pogrom del 7 ottobre, circostanza riportata anche nel libro The October 7 War: Israel’s Battle for Security in Gaza di Seth Frantzman. Diversi soldati israeliani, tra cui Adi Karni, hanno confermato che molti civili hanno assistito attivamente Hamas anche durante i combattimenti nelle città della Striscia, offrendo copertura logistica, osservazione del nemico, o nascondendo armi e combattenti nelle abitazioni.
Alla luce di tutto questo, anche il calo di popolarità di Hamas nei sondaggi va letto con cautela: non è necessariamente un ripensamento etico ma spesso un segnale tattico o l’espressione di un malcontento interno per le asprezze della guerra.