New York, dopo la protesta davanti alla sinagoga esplode la polemica su Mamdani

Mondo

di Nina Deutsch
Il futuro sindaco condanna il linguaggio dei manifestanti contro Israele e la comunità ebraica, ma critica anche l’evento organizzato da Nefesh B’Nefesh. Le sue parole accendono lo scontro con i leader del tempio, mentre la giustizia federale apre un’indagine

Non è finita la polemica dopo che lo scorso 19 novembre, circa duecento manifestanti antisionisti e pro-palestinesi si sono radunati davanti alla Park East Synagogue, nel quartiere dell’Upper East Side a Manhattan, durante un evento organizzato da Nefesh B’Nefesh (NBN). L’organizzazione, attiva nel facilitare l’aliyah, stava tenendo un incontro informativo aperto al suo pubblico.

Secondo quanto riportato dal Times of Israel e dalla JFeed, una piattaforma di notizie in lingua inglese pertinente al pubblico ebraico e filo-israeliano in tutto il mondo, la protesta ha rapidamente assunto toni duri, con slogan che molti presenti hanno percepito come intimidatori. Tra le frasi scandite: «Globalize the Intifada», «Death to the IDF» e altre espressioni considerate incitamenti alla violenza. Alcuni gruppi attivisti presenti – tra cui Pal-Awda NY/NJ, Within Our Lifetime e la sezione locale di Jewish Voice for Peace – hanno definito l’evento di NBN una «fiera di reclutamento per coloni». Era presente anche un piccolo gruppo di contro-manifestanti filo-israeliani, tenuti a distanza dalle barricate della polizia di New York. Armati di shofar e fischietti, hanno risposto intonando slogan e scandendo frasi come «Abbasso Hamas».

Le dichiarazioni di Mamdani

Zohran Mamdani

Il sindaco-eletto Zohran Mamdani ha condannato il linguaggio più aggressivo utilizzato dai manifestanti, pur sostenendo al tempo stesso che la sinagoga fosse stata «impropriamente utilizzata» per ospitare un evento che, a suo avviso, promuoverebbe «attività in violazione del diritto internazionale». Mamdani, noto per le sue posizioni decise in materia di diritti civili e politiche sull’immigrazione, ha affermato che la protesta era il sintomo di un problema più ampio: «Non ci si può aspettare che un dibattito di questa portata si svolga in modo neutrale all’interno di un tempio. Uno spazio sacro non dovrebbe essere utilizzato per atti che generano inevitabilmente tensione politica». Una posizione che ha generato reazioni contrastanti nella comunità ebraica, che ha visto nelle sue parole un’eccessiva politicizzazione di un evento religioso e informativo.

La risposta della polizia

La gestione dell’ordine pubblico da parte della NYPD – New York Police Department, cioè il Dipartimento di Polizia della Città di New York – è stata oggetto di forti critiche. Le barricate metalliche, posizionate in modo non ottimale, hanno lasciato ai manifestanti la possibilità di avvicinarsi troppo all’ingresso della sinagoga. La commissaria Jessica Tisch, come riportato dalla Jewish Telegraphic Agency (JTA), ha poi chiesto scusa ai fedeli durante il servizio del Shabbat successivo: la polizia, ha ammesso, avrebbe dovuto creare una «zona protetta» per garantire l’accesso sicuro ai partecipanti.

Tisch ha ribadito che il diritto di protestare è garantito dalla legge, anche quando i contenuti espressi possono risultare dolorosi o offensivi, ma ha riconosciuto che in questo caso la tutela del luogo di culto non è stata adeguata.

L’indagine federale

Il Times of Israel riferisce che il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha aperto un’indagine per verificare se la protesta abbia violato la FACE Act, una legge federale che proibisce  minacce, intimidazioni o ostruzioni agli ingressi di edifici religiosi. L’assistente procuratore generale Harmeet Dhillon ha dichiarato che il dipartimento mantiene una «tolleranza zero» per qualsiasi forma di violenza o impedimento nei confronti delle comunità religiose.

Le reazioni della comunità ebraica

Il rabbino Arthur Schneier, guida storica della Park East Synagogue e sopravvissuto alla Shoah, ha definito la scena «sconvolgente» e contraria ai valori di rispetto interreligioso che la sua comunità ha sempre promosso.

Ha scritto su X il Reverendo Jordan Wells, pastore, apologeta, sionista, fondatore del Christians Against Antisemitism Institute: «Il rabbino Arthur Schneier ha 93 anni. È sopravvissuto all’Olocausto. Era un bambino quando scoppiò la Notte dei Cristalli, quando i nazisti e i loro sostenitori fracassarono le finestre di sinagoghe esattamente come questa. Stasera, 87 anni dopo, è costretto a sentire lo stesso odio, la stessa sete di sangue, fuori dalla sua sinagoga».

Mark Treyger, CEO del Jewish Community Relations Council, ha sottolineato che riunirsi in sinagoga o emigrare in Israele non costituisce alcuna violazione del diritto internazionale e ha criticato l’utilizzo di slogan violenti davanti a un luogo di culto.

Un episodio che lascia un segno

L’accaduto ha sollevato interrogativi più ampi sul delicato equilibrio tra libertà di espressione e sicurezza religiosa. La protesta ha mostrato come il conflitto mediorientale continui a riverberarsi con forza anche nelle comunità della diaspora, esasperando tensioni politiche e identitarie.

La combinazione di forti slogan, una gestione della sicurezza ritenuta insufficiente e dichiarazioni politiche divisive ha trasformato un evento informativo in una controversia nazionale, ora oggetto di attenzione non solo mediatica, ma anche federale.