di Anna Balestrieri
Il cuore del rapporto è questo: esiste in Europa una galassia di associazioni, ONG, forum e reti “civiche” che si presentano come rappresentative dei musulmani europei, impegnate contro la discriminazione e per i diritti civili, ma che in realtà condividono – in misura diversa – una visione islamista della società. Non necessariamente violenta, ma incompatibile con i principi liberali e secolari su cui si fonda l’UE.
Il rapporto Unmasking Brotherism, Islamophobia & the EU, firmato da Florence Bergeaud-Blackler e Tommaso Virgili e commissionato dal gruppo ECR al Parlamento europeo, lancia un’accusa netta: l’Unione Europea avrebbe finanziato e legittimato, spesso senza rendersene conto, organizzazioni riconducibili all’orbita ideologica della Fratellanza Musulmana. E lo avrebbe fatto proprio mentre cercava di promuovere integrazione, inclusione e coesione sociale.
Il cuore del rapporto è questo: esiste in Europa una galassia di associazioni, ONG, forum e reti “civiche” che si presentano come rappresentative dei musulmani europei, impegnate contro la discriminazione e per i diritti civili, ma che in realtà condividono – in misura diversa – una visione islamista della società. Non necessariamente violenta, ma incompatibile con i principi liberali e secolari su cui si fonda l’UE.
Gli autori chiamano questo sistema Brotherism: non la Fratellanza Musulmana in senso stretto, ma un ecosistema flessibile fatto di organizzazioni formalmente autonome, leadership informali, legami personali e affinità ideologiche. Un modello che consente di negare ogni appartenenza ufficiale, pur mantenendo una coerenza di fondo.
Secondo il rapporto, il problema non è solo chi riceve i fondi europei, ma come funziona il sistema di finanziamento. Le istituzioni UE controllano contabilità e procedure, ma raramente entrano nel merito dei contenuti ideologici. Se un progetto rispetta i criteri formali, passa. E così iniziative pensate per favorire l’integrazione finiscono per rafforzare gruppi che promuovono una visione identitaria e separatista dell’Islam in Europa.
Islamofobia, uno strumento politico
Uno dei capitoli più controversi riguarda l’uso del concetto di “islamofobia”. Per Bergeaud-Blackler e Virgili, non si tratta solo di una categoria per combattere l’odio antimusulmano, ma di uno strumento politico. Critiche all’islamismo, al ruolo della religione nello spazio pubblico o alle rivendicazioni identitarie vengono ricodificate come razzismo. Il risultato è un effetto paralizzante: funzionari, politici e ricercatori evitano di intervenire per timore di essere accusati di discriminazione.
Il rapporto ricostruisce casi concreti: organizzazioni giovanili, femminili e antirazziste che hanno ottenuto fondi europei e accesso istituzionale, e che nel tempo sono diventate interlocutori “ufficiali” dell’UE sul mondo musulmano. Un riconoscimento che, sostengono gli autori, non riflette la pluralità delle comunità musulmane, ma favorisce gruppi ben organizzati e ideologicamente motivati.
Il tono del documento è esplicitamente politico e non fa mistero delle sue conclusioni: l’UE dovrebbe interrompere ogni forma di collaborazione e finanziamento con organizzazioni riconducibili alla Fratellanza Musulmana, rafforzare i controlli sui contenuti dei progetti finanziati e abbassare la soglia di tolleranza verso ambiguità su violenza, estremismo e terrorismo, in particolare nei rapporti con Hamas.
È proprio questo tono a rendere il rapporto divisivo. Da un lato, offre una mappa dettagliata di reti e meccanismi spesso ignorati dal dibattito pubblico. Dall’altro, rischia di apparire come un’operazione ideologica speculare a quelle che denuncia, soprattutto quando tende ad allargare il campo del “Brotherism” fino a includere attori molto diversi tra loro.
Resta però una domanda difficile da eludere, ed è forse il merito principale del rapporto: può una democrazia liberale finanziare, in nome dell’inclusione, gruppi che lavorano per trasformarla dall’interno?
Bergeaud-Blackler e Virgili rispondono senza esitazioni. Che si condivida o meno la loro diagnosi, il problema che sollevano è ormai sul tavolo.più vicino a una genealogia polemica che a una sociologia distaccata dei movimenti islamisti europei. Il pluralismo interno delle comunità musulmane e delle stesse organizzazioni analizzate riceve uno spazio limitato, così come le possibili ambiguità o fallimenti delle strategie attribuite alla MB.e meno teleologiche sul rapporto fra Islam, attivismo e spazio pubblico europeo.



