di Nina Deutsch
La Global Sumud Flotilla denuncia aggressioni al largo di Creta. Il ministro della Difesa Guido Crosetto invia la fregata Fasan per proteggere i cittadini a bordo. Cresce il dibattito sulla legalità del blocco israeliano.
Si susseguono a ritmo serrato le notizie sul viaggio della Global Sumud Flotilla, diretta a Gaza con a bordo attivisti filo-palestinesi e anti-israeliani insieme a un carico simbolico di aiuti. Nella notte le imbarcazioni hanno denunciato attacchi in acque internazionali, a sud di Creta: sarebbero state utilizzate bombe sonore, droni, spray urticanti e altre sostanze non identificate. «Numerosi droni hanno colpito le nostre navi», hanno raccontato i partecipanti, parlando di esplosioni, interferenze elettroniche e musica a volume altissimo, interpretati come operazioni psicologiche. Non risultano feriti, ma alcune imbarcazioni sarebbero rimaste danneggiate.
L’intervento dell’Italia
Immediata la reazione del ministro della Difesa Guido Crosetto: «Per garantire assistenza ai cittadini italiani presenti sulla Flotilla questa notte ho autorizzato l’intervento immediato della fregata multiruolo Fasan della Marina militare, che era in navigazione a nord di Creta nell’ambito dell’operazione Mare Sicuro. La fregata si sta già dirigendo verso l’area per eventuali attività di soccorso». Crosetto, in visita in Estonia e Lettonia, ha aggiunto di aver informato la presidente del Consiglio, l’addetto militare israeliano in Italia, l’ambasciatore a Tel Aviv e l’unità di crisi della Farnesina.
Intanto, il Ministero degli Esteri israeliano pubblica un tweet intitolato «Smascherata la flottiglia jihadista di Hamas», accusando Saif Abu Kishk, esponente di Hamas, di essere coinvolto nella gestione della rete “Cyber Neptune” attraverso una società di copertura in Spagna.
Di fatto l’episodio accresce la tensione politica internazionale e interna. In Italia, Pd, Alleanza Verdi e Sinistra e M5S hanno occupato i banchi del governo in Parlamento, mentre i sindacati si preparano a mobilitazioni. La Cgil ha dichiarato: «In caso di nuovi attacchi siamo pronti allo sciopero generale». L’Usb ha rincarato: «Lo stop per Gaza sarà senza preavviso, organizzeremo 100 piazze».
Una sfida al blocco navale israeliano
L’obiettivo della flottiglia è quello di rompere il blocco israeliano su Gaza e scaricare aiuti nella Striscia, definita dagli organizzatori «un territorio devastato dalla guerra e vittima di un genocidio». La spedizione vuole richiamare l’attenzione sulla popolazione civile, denunciando Israele per «violazioni del diritto internazionale» e sostenendo che il blocco navale sia illegale.
Secondo il Times of Israel, la Global Sumud trasporta circa 250 tonnellate di aiuti. Un quantitativo che appare però marginale rispetto alle oltre 14.000 tonnellate di beni entrati a Gaza via terra solo nella settimana tra il 14 e il 19 settembre, secondo i dati diffusi dalla COGAT, l’agenzia israeliana che coordina la distribuzione degli aiuti umanitari.
Israele e la legalità del blocco
Israele ha imposto il blocco navale su Gaza nel gennaio 2009, durante l’operazione Piombo fuso, per impedire ad Hamas il contrabbando di armi. Da allora il blocco è rimasto in vigore, con numerosi tentativi di violarlo: il più noto è quello della Mavi Marmara nel 2010, conclusosi con la morte di 10 attivisti turchi in uno scontro con i commando israeliani.
«I blocchi navali sono una pratica militare molto comune e antica», spiega al Times of Israel Eran Shamir-Borer, direttore del Centro per la sicurezza nazionale e la democrazia dell’Israel Democracy Institute. Lo studioso sottolinea che il Manuale di Sanremo sulla guerra navale, insieme alla Dichiarazione di Londra del 1909, considera i blocchi come strumenti di guerra legali, purché rispettino alcuni criteri.
Fra questi, non devono avere «l’unico scopo di affamare la popolazione civile» e non possono causare un danno sproporzionato rispetto al vantaggio militare. Israele sostiene di rispettare tali condizioni e afferma che la crisi umanitaria a Gaza non sia dovuta al blocco, ma alla guerra e al controllo di Hamas sugli aiuti.
Il dibattito internazionale
Il diritto di Israele a intercettare la flottiglia è al centro del dibattito. «Non è necessario attendere che le navi entrino in acque territoriali: se dichiarano esplicitamente l’intenzione di violare il blocco, possono essere fermate anche in alto mare», afferma ancora Shamir-Borer.
Non mancano però opinioni contrarie. Una commissione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha definito il blocco «illegale» e «causa di sofferenze sproporzionate» per i civili di Gaza, mentre una diversa commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite nel 2011 aveva invece ritenuto legittimo il blocco come esercizio di autodifesa contro Hamas.
Il contesto
La flottiglia, composta da circa 35 imbarcazioni con delegazioni da 45 Paesi, si trova attualmente nel Mediterraneo centrale, a nord della Libia e a ovest di Creta. Secondo gli organizzatori, oltre agli aiuti porta soprattutto «un messaggio: l’assedio deve finire».
Il contesto resta quello della guerra scatenata dall’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, costato la vita a circa 1.200 persone in Israele, con oltre 250 ostaggi. Oggi, mentre l’esercito israeliano continua l’operazione su Gaza City e la crisi umanitaria si aggrava, cresce la pressione internazionale su Tel Aviv.
Tensione tra gli attivisti: coordinatore tunisino lascia per partecipazione LGBTQ
Alle forti tensioni già presenti attorno alla spedizione umanitaria, si è aggiunto un nuovo focolaio di caos all’interno della flottiglia. A Biserta, seconda tappa tunisina della missione per Gaza, il coordinatore magrebino Khaled Boujemâa si è ritirato dalla spedizione in segno di protesta contro la partecipazione di attivisti LGBTQ tunisini in prima linea, accusando gli organizzatori di aver nascosto l’identità di alcuni partecipanti, tra cui Saif Ayadi, definito «attivista queer». Altri membri del contingente, come Mariem Meftah, hanno espresso preoccupazioni legate ai valori culturali e alla sicurezza dei propri familiari, definendo la situazione «un errore da riparare». L’episodio ha generato tensioni nel contingente maghrebino, già alle prese con le complesse sfide politiche e logistiche della missione.