Francia: tata condannata per tentato avvelenamento di famiglia ebrea. Ma per il tribunale non è antisemitismo

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di Pietro Baragiola
Secondo le indagini, Lila avrebbe versato liquido detergente e candeggina nelle bevande della famiglia in quantitativi potenzialmente letali se consumati con regolarità. Dopo giorni di dibattito, il tribunale ha confermato la condanna per tentato avvelenamento e falsificazione di documenti ma ha escluso l’aggravante per odio antisemita, ritenendo le prove a suo favore insufficienti.

 

Giovedì 18 dicembre il tribunale penale di Nanterre è arrivato ad una decisione sul caso della tata algerina accusata di aver tentato di avvelenare la famiglia ebrea presso cui lavorava: la donna, identificata come Lila Y, è stata condannata a due anni e mezzo di carcere oltre che al divieto di rientrare in Francia per cinque anni ma non ha ricevuto nessuna aggravante per antisemitismo.

Secondo le indagini, Lila avrebbe versato liquido detergente e candeggina nelle bevande della famiglia in quantitativi potenzialmente letali se consumati con regolarità.

L’intera vicenda, fortunatamente, non ha provocato danni fisici alle vittime ma ha lasciato un forte trauma psicologico.

“Viviamo nel terrore costante e non ci fidiamo più di nessuno” ha spiegato la madre della famiglia durante il processo. “Anche se non sono direttamente responsabile di quanto è successo, vivo con il senso di colpa di aver lasciato entrare qualcuno nella nostra casa che ha messo in pericolo ciò che abbiamo di più caro al mondo: i nostri figli.”

 

Il tentato avvelenamento

Come è stato raccontato in aula, Lila stava già vivendo illegalmente in Francia da diverso tempo quando è stata assunta dalla famiglia ebrea di Nanterre nel novembre 2023.

Due mesi più tardi, la madre della famiglia, i cui figli hanno 2, 5 e 7 anni, si è recata in una stazione di polizia, insospettita dal sapore anomalo delle bevande e degli alimenti presenti in casa. La figlia maggiore, inoltre, le aveva raccontato di aver visto la tata “versare qualcosa nel cibo”.

Dopo un’indagine accurata, Lila è stata arrestata nel febbraio 2024 ed ha subito ammesso di aver attentato alla salute della famiglia “perché sono ebrei ed hanno i soldi e il potere”, aggiungendo che non avrebbe mai dovuto lavorare per loro e che ciò le ha causato “solo problemi”.

In aula, però, ha ritrattato la confessione, negando con fermezza l’intenzione di nuocere alla famiglia e dichiarandosi “né razzista né antisemita”.

“È la gravita degli atti che conta” ha affermato il giudice in risposta a queste scusanti. “Non nel loro esito ma nel modo in cui sono stati eseguiti.”

Nel corso del processo, però, la difesa ha insistito sull’assenza di antisemitismo nei gesti di Lila, affermando che il movente fosse prettamente economico in quanto la tata si sarebbe più volte lamentata di pagamenti effettuati in ritardo ed ingiuste condizioni lavorative.

Una difesa che, a poco a poco, è riuscita ad influenzare il verdetto finale della giuria.

 

Il verdetto della giuria

Dopo giorni di dibattito, il tribunale ha confermato la condanna per tentato avvelenamento e falsificazione di documenti ma ha escluso l’aggravante per odio antisemita, ritenendo le prove a suo favore insufficienti e affermando che le dichiarazioni rilasciate dalla tata durante la custodia della polizia non possono essere utilizzate in aula.

“Rifiutare questa aggravante invia un messaggio pericoloso” ha commentato Céline Bekerman, avvocato della Lega Internazionale contro il razzismo e l’antisemitismo (Licra).

Il legale della difesa, Solange Merla, si è dichiarato “soddisfatto dell’assoluzione per antisemitismo”, aggiungendo che la tata si era scusata per le sue parole “pronunciate in preda all’odio”.

Ciononostante per gli inquirenti alcune prove gettano sulla vicenda un alone di mistero: perché Lila ha fatto diverse ricerche online relative agli ebrei il mese prima della sua assunzione? Perché ha continuato a chiedere ai bambini dettagli sulla loro religione e perché il più piccolo di loro l’ha vista bussare ripetutamente alle mezuzot presenti in casa?

Mentre questi interrogativi rimangono senza risposta, la vicenda ha riacceso le tensioni tra l’organo di giustizia e la comunità ebraica francese. Tensioni che negli ultimi anni si sono fatte sempre più intense a causa di episodi antisemiti parecchio allarmanti: nel 2021 gli ebrei di Parigi hanno manifestato in piazza dopo che il tribunale ha stabilito che l’uomo accusato dell’omicidio di Sarah Halimi fosse troppo sotto l’influenza di marijuana per essere penalmente perseguibile per le sue azioni; nel giugno 2024 due ragazzi adolescenti sono stati condannati per lo stupro di gruppo di una ragazza ebrea di 12 anni.

Anche il 2025 ha confermato una forte crescita di crimini antisemiti in Francia arrivando a contarne 646 solo nel primo semestre, secondo quanto riportato dal Ministero degli Interni francese.

“Il nostro è un caso particolarmente illuminante sulla realtà dell’antisemitismo nel nostro Paese” ha spiegato Sacha Ghozlan, avvocato della famiglia avvelenata, in una dichiarazione rilasciata al quotidiano Le Parisien dopo il verdetto del tribunale. “Ora ci aspettiamo che la procura faccia appello e sostenga l’aggravante da noi presentata.”

Mentre la famiglia aspetta che il tribunale cambi decisione, i diversi membri della comunità ebraica francese richiedono pene più severe per gli atti di antisemitismo commessi contro i loro concittadini e invitano ad una maggiore vigilanza nei confronti delle assunzioni degli operatori domestici.