Ebrei in Iran

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Un’interessante corrispondenza di un giornale scozzese – che contrasta vistosamente con le affermazioni (5 maggio) buoniste e incoraggianti di Sergio Romano – ci mostra un aspetto delle condizioni in cui vivono i nostri correligionari a Teheran.

Per i circa 25.000 ebrei, un numero via via decrescente, vi è un rito quasi sacro che si compie alle 6,30 ogni sera, quando sintonizzano le radio a onde corte per ascoltare la quotidiana trasmissione in lingua Farsi da Israele.

Da quando il nuovo presidente iraniano – quello che viole cancellare Israele dalla carta geografica – è salito al potere, la vita per la comunità ebraica si è fatta precaria.

È un grave motivo di preoccupazione per gli ebrei iraniani il possibile conflitto fra Iran e Israele, stando al commento del giornalista radiofonico Menashe Amir, che cura la trasmissione. Il regime iraniano afferma infatti di distinguere sì fra giudaismo e sionismo, ma in pratica si tratta di una menzogna perché negli ambienti estremisti religiosi compare spesso la scritta che “ogni ebreo è un sionista”.

Quella ebraica iraniana resta ancora la più grande comunità del medio oriente, anche se una gran parte della popolazione è fuggita dal paese. Il primo esodo avvenne nel 1948 con la creazione dello Stato di Israele e gli ebrei in Iran erano 150.000. Con la rivoluzione islamica del 1979 se ne verificò un altro.

Il giornalista Amir che è di origine iraniana conosce fin troppo bene la situazione precaria dei suoi correligionari, cui si richiede da parte del governo di dichiarare pubblicamente il loro sostegno alla politica nucleare del paese. E ogni volta che vi è una condanna pubblica per le azioni israeliane nei territori palestinesi, ci si aspetta dagli ebrei una analoga dichiarazione di sostegno.

Il giudaismo è una delle minoranze religiose ufficialmente riconosciute dal regime, e la comunità ebraica ha persino un seggio al parlamento, ma nella realtà le cose stanno diversamente. Gli esponenti della comunità sono restii a parlare dei casi di discriminazione di cui sono oggetto e di cui non si possono lamentare, per paura di rappresaglie o di arresti e accuse di spionaggio, come era accaduto nel 1999. Ci sono sì scuole ebraiche, ma la maggior parte degli insegnanti è musulmana, la Bibbia è insegnata in Farsi, non in ebraico, e le scuole sono obbligate a essere aperte di sabato. Quindi non si può parlare di libertà di culto.

Ma secondo S.R. “questo non impedisce che la comunità ebraica iraniana abbia potuto celebrare la Pasqua con i riti e i cibi della sua tradizione”.