di Nathan Greppi
Hanno fatto scandalo le esternazioni di Luca Nivarra, docente di giurisprudenza dell’Università di Palermo che ha invitato i suoi follower a “ritirare l’amicizia su FB ai vostri ‘amici’ ebrei, anche a quelli ‘buoni’”, e a “farli sentire soli, faccia a faccia con la mostruosità di cui sono complici”. Nivarra, che in passato è stato arrestato per peculato, aveva definito su Facebook gli israeliani “solo macchine di morte votate allo sterminio dei palestinesi”, che “con il sangue dei palestinesi” vorrebbero “lavare quello degli ebrei vittime della Shoah”.
Deriva drammatica
Quello di Nivarra non è un caso isolato: da quando è scoppiata la guerra tra Israele e Hamas, non sono stati sdoganati solo l’antisionismo e i boicottaggi d’Israele, ma anche l’odio nei confronti degli ebrei come popolo. Un odio che sta diventando sempre più evidente nel mondo universitario, che in teoria dovrebbe aprire le menti e contrastare i pregiudizi.
Non si contano le censure nei confronti di ebrei e filoisraeliani: da Maurizio Molinari, contestato prima all’Università Federico II di Napoli e poi all’Università di Parma, a David Parenzo, che non ha potuto parlare all’Università La Sapienza di Roma. Senza contare gli atenei che hanno adottato posizioni ostili a Israele: come l’Università di Pisa, che ha deciso di interrompere gli accordi con gli atenei israeliani; o come l’Università di Urbino, che ha pubblicato un documento di condanna della guerra a Gaza, ma senza mai menzionare le vittime del 7 ottobre o i crimini di Hamas.
L’ostracismo dei collettivi propal non prende di mira solo gli studenti israeliani, ma anche ebrei italiani e non ebrei che si oppongono all’antisemitismo. È ciò che è successo a maggio all’Università di Torino, quando i manifestanti hanno impedito lo svolgersi dell’incontro Per le Università come luogo di democrazia e di contrasto all’antisemitismo.
Conformismo dilagante
Se le posizioni antisraeliane si impongono negli atenei non è solo per l’atteggiamento aggressivo degli attivisti, ma anche perché dall’altra parte vi è un conformismo che spinge in molti a stare in silenzio o a giustificare gli intolleranti per paura o per opportunismo.
“Quando si è iniziato a discutere della possibile interruzione dei rapporti con le università israeliane, devo dire che anche i miei colleghi ebrei in ateneo, o perché antisionisti o perché codardi, mi hanno lasciata totalmente sola”, ci racconta Alessandra Veronese, docente di Storia Medievale all’Università di Pisa e già direttrice del Centro Interdipartimentale di Studi Ebraici. “Al Senato Accademico, mi sono presentata con una mia mozione contro l’interruzione degli accordi, firmata da pochi colleghi, tra cui il docente di Scienze Politiche Rino Casella”.
Purtroppo, “alla fine è arrivata la mozione del Senato Accademico per rescindere i rapporti, anche se in realtà non hanno sospeso l’Erasmus con l’Università Ebraica di Gerusalemme, che in teoria rimane in vigore. Questa è una mozione ipocrita: colpisce Israele ma non tocca gli accordi che abbiamo con le università iraniane, turche e cinesi, nonostante quello che la Cina fa ai tibetani e agli uiguri”.
La Veronese racconta che “un altro episodio grave è avvenuto nel dicembre 2023; dovevamo invitare uno storico italiano che vive in Israele, Samuele Rocca, per presentare il suo libro In the Shadow of the Caesars: Jewish Life in Roman Italy. Ma in quell’occasione, due docenti hanno contestato l’invito perché l’Università di Ariel, dove insegna Rocca, si trova nei Territori occupati”.
Non è solo a Pisa che si verificano certi episodi: “All’Università di Firenze ci sono almeno cinque dipartimenti che hanno chiesto di recedere dagli accordi con le università israeliane”, spiega Benedetto Allotta, che nell’ateneo fiorentino insegna Robotica Industriale. “Anche nel mio dipartimento, nei prossimi giorni, si svolgerà un’assemblea di tutto il personale finalizzata a promuovere ‘azioni sulla pace.’ È presumibile però che queste assemblee si rivelino occasioni per illustrare mozioni, da presentare successivamente nei rispettivi consigli di dipartimento, che chiedono di uscire dagli accordi. Alla fine, credo che l’università sceglierà di mantenere gli accordi in corso ma di non rinnovare quelli in via di scadenza, almeno finché non si saranno calmate le acque”.
Israeliani discriminati
Quando Alessandra Veronese ha proposto la sua mozione a Pisa contro l’interruzione degli accordi, “gli studenti israeliani erano talmente terrorizzati che hanno chiesto di non esporre le loro singole firme sulla mozione, ma di firmarla come un gruppo per non essere identificati. Questo perché avevano paura e non si sentivano protetti da nessuno”.
A subire l’ostilità non sono solo gli studenti, ma anche i docenti, come ci racconta Sara Britti, dottoranda in Studi Religiosi presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. “Nel settembre 2024, eravamo ad uno dei seminari della nostra Summer School, che facciamo alla fine di ogni anno accademico per presentare i risultati delle nostre ricerche. Tra i relatori c’era la storica israeliana Tamar Herzog, che si occupa di tematiche di genere e storia della schiavitù”.
La Britti spiega che “dato che la lezione trattava il tema della prigionia, la Herzog decise di fare un parallelismo con l’attualità mostrando le immagini delle proteste contro il governo Netanyahu per il rilascio degli ostaggi. In quell’occasione, quasi tutti i colleghi dei curricula sull’Islam si sono alzati e se ne sono andati, assieme ad una collega dei curricula sul cristianesimo. Al termine della lezione, un mio professore si è alzato dicendo che la professoressa non rappresenta il governo Netanyahu, e che non è concepibile che i ragazzi si alzino e se ne vadano in un contesto come quello accademico, che fa del confronto la sua bandiera. Perché, se non si può avere un confronto nel mondo accademico, dove lo si può avere?”.
Contesti diversi
La situazione negli atenei italiani non è uguale dappertutto, come spiega Francesco Lucrezi, docente di Diritto Romano all’Università di Salerno. “Devo dire che la mia università beneficia di due circostanze favorevoli. La prima è che non serve un’utenza di grandi città, ma di una città di media grandezza come Salerno, una piuttosto piccola come Avellino, e minuscole altre cittadine e paesi, sparsi su un vasto territorio. E, com’è noto, in genere i movimenti organizzati antisistema si coagulano sempre nelle grandi metropoli. È difficile vedere una manifestazione propal in un paesino di campagna, perché sono fenomeni che richiedono vasti bacini di riferimento”.
La seconda circostanza è “che si tratta di un campus, nel quale occorre arrivare con mezzi di trasporto pubblici o privati. Ciò significa che gli studenti che vengono a frequentare le lezioni e partecipano alla vita universitaria sono solo studenti ‘veri’, che vogliono studiare, e non perdigiorno. Io ho insegnato per cinque anni anche all’Orientale di Napoli, nota per essere un ricettacolo di attivisti. Posso testimoniare che anche là la stragrande maggioranza degli studenti sono bravi ragazzi, ma ci sono dei gruppetti di facinorosi che non sono neanche studenti, e che vanno là a bivaccare, occupando le aule e dormendoci la notte solo perché non hanno niente da fare. Il tutto nella generale ignavia non tanto delle autorità accademiche, quanto delle istituzioni pubbliche che, anzi, spesso li incoraggiano”.
Passare al contrattacco
Nonostante le diverse iniziative emerse per contrastare il pregiudizio antiebraico e antisraeliano nelle università, come gli incontri già citati e la nascita di collettivi come “Studenti per Israele”, c’è ancora tanto lavoro da fare per tenere testa agli estremisti.
A tal proposito, Lucrezi afferma che “la nostra unica arma è la parola, il pensiero: dobbiamo perciò parlare, spiegare, fare ragionare, fare capire, ricordare la storia, instillare dei dubbi, aprire gli occhi, soprattutto a coloro che non sono antisemiti, ma solo disinformati. Certo, si potrebbe fare di più ma, nel nostro piccolo, qualche risultato lo otteniamo”.