Gaza Cola, boicottaggio e ipocrisia sugli scaffali Coop

Italia

di Aldo Torchiaro (dal magazine dell’Associazione Setteottobre)
Pubblichiamo un interessante articolo pubblicato dall’Associazione Setteottobre sul boicottaggio deciso da Coop Alleanza 3.0, e la vendita della Gaza Cola, un prodotto spacciato per 100% palestinese ma imbottigliato in Polonia e distribuito da una società a Londra. Una mossa ipocrita e pericolosa, che non è neutra né umanitaria, ma ideologica e profondamente sbilanciata. 


Una lattina di Gaza Cola vale più di una bottiglia di SodaStream? Per Coop Alleanza 3.0, sì. E non si tratta di una svista di marketing, ma di una scelta ideologica tanto consapevole quanto discutibile. La decisione di rimuovere alcuni prodotti israeliani dagli scaffali — tra cui arachidi, salsa tahina e articoli a marchio SodaStream — viene giustificata da Coop con un generico richiamo all’“etica”, all’“impegno per la pace” e alla “solidarietà con la popolazione di Gaza”. Ma il risultato è un gesto che puzza di pregiudizio, ipocrisia e – diciamolo – doppiopesismo selettivo.

Dall’altro lato della bilancia, Coop propone ora con entusiasmo la Gaza Cola, presentata come un “progetto 100% palestinese” il cui ricavato andrebbe alla ricostruzione di un ospedale nella Striscia. Peccato che la realtà sia meno poetica: Gaza Cola non è affatto un prodotto tipico della West Bank né tantomeno realizzato in Palestina. È imbottigliata in Polonia e distribuita da una società con sede a Londra.

Come si giustifica questa scelta? Coop afferma che “la Cooperativa non può restare indifferente davanti alle violenze in corso nella Striscia di Gaza” e che “vuole dare un segnale di coerenza”. Ma questa coerenza appare a senso unico. Nessuna parola sul massacro del 7 ottobre, nessun cenno alle responsabilità di Hamas o al sistematico utilizzo dei civili come scudi umani. Non c’è spazio per la complessità, né per la verità.

Lo ha ben compreso un socio Coop, autore di una lettera accorata, che riportiamo integralmente:

Lettera di un socio Coop:

“Buongiorno, ho letto la notizia che prossimamente smetterete di vendere prodotti israeliani nei vostri punti vendita (www.ilpost.it). Vi chiedo conferma del tutto, per cortesia. Mi auguro che siano solo esagerazioni dei giornali, perché se così fosse sarebbe una mossa che io considero alla pari del boicottaggio contro gli ebrei degli anni ’30 in Germania e Italia. È ovviamente legittimo da parte vostra vendere quello che ritenete giusto, ma secondo il mio parere sarebbe discriminatorio e razzista, oltre che vergognoso. Nel caso annullerei immediatamente il contratto Coop Voce che ho con voi e sceglierei altri supermercati dove fare la spesa quotidianamente. Grazie.”

La risposta di Coop è arrivata puntuale, ma non meno ambigua:

Risposta ufficiale di Coop Alleanza 3.0:

“La posizione di Coop Alleanza 3.0 su ciò che sta avvenendo in Medio Oriente è nota da tempo: non può rimanere indifferente davanti alle violenze in corso nella Striscia di Gaza e la Cooperativa è da sempre e senza esitazione al fianco di tutte le forze – Enti, Istituzioni e Associazioni – unite nel chiedere l’immediata cessazione delle operazioni militari. Ed altrettanto ferma è la condanna verso il blocco degli aiuti umanitari destinati alle popolazioni civili della Striscia proclamato dal Governo israeliano.
Le escalation di queste ultime settimane hanno spinto Coop Alleanza a dare un segnale di coerenza rispetto a questa posizione e a decidere di rimuovere dai suoi scaffali alcune referenze di arachidi e di salsa Tahina, prodotte in Israele, e gli articoli a marchio Sodastream.
\[…] Coop Alleanza 3.0 ha infatti aderito alla campagna nazionale “Coop For Refugees” e già da un paio di settimane ha scelto di inserire nel suo assortimento un prodotto particolare, la Gaza Cola. Questa bevanda è l’espressione di un progetto al 100% di proprietà palestinese che, con il ricavato delle vendite delle lattine, contribuirà alla ricostruzione di un ospedale nella Striscia.”

Belle parole, ma i fatti raccontano altro. Gaza Cola è solo l’ultimo gadget ideologico di una certa cultura del consumo che trasforma il dolore reale in una posa da carrello. Prima c’erano le magliette “Free Palestine”, poi i portachiavi in ceramica di Hebron, oggi le bibite. E domani? Il kefir con la kefiah intitolato ad Hamas?

Ciò che resta fuori da questo teatrino “etico” sono le reali esigenze umanitarie. A Gaza si muore di sete e fame, mentre in Occidente si produce “Gaza Cola” per sentirsi dalla parte giusta, comodamente, con un clic su EasyCoop. Intanto, chi come la *Gaza Humanitarian Foundation* si sporca le mani ogni giorno per aiutare davvero, non fa marketing né slogan. Agisce.

Coop, invece, prende una posizione che non è neutra né umanitaria, ma ideologica e profondamente sbilanciata. Boicottare Israele mentre si promuove una bibita costruita sul mito di Gaza come brand glamour è un atto che solleva più di un sospetto: è il pandoro Ferragni del Medio Oriente.

Vorremmo poter dire che è solo una moda passeggera. Ma è una tendenza che, se non denunciata, rischia di normalizzare l’odio mascherandolo da bontà.

E il sapore, in questo caso, è decisamente amaro.