di Nina Deutsch
In alcuni casi i rilasciati hanno riferito di torture, legature prolungate che hanno causato ferite alla pelle e alle gambe, e cure mediche praticamente inesistenti o somministrate solo in modo approssimativo – senza anestesia o con scarse condizioni igieniche – aumentando il rischio di infezioni e danni permanenti. Le famiglie e le équipe mediche sottolineano la necessità di valutazioni specialistiche immediate per documentare e curare questi danni. (Nella foto l’ex ostaggio Omri Miran abbraccia la moglie dopo la liberazione).
Con il recente accordo che ha portato al rilascio degli ultimi ostaggi viventi detenuti a Gaza, i primi hanno iniziato a raccontare quello che molti temevano: mesi – in alcuni casi anni – di isolamento, fame, maltrattamenti e ferite non curate. I resoconti iniziali, raccolti da testate internazionali e dalla stampa israeliana, dipingono un quadro di detenzione in condizioni inumane che sta già scatenando forti richieste di assistenza medica, psicologica e indagini indipendenti su possibili abusi.
Gli ultimi ostaggi viventi erano militari o civili considerati soldati dai gruppi terroristici palestinesi che li tenevano prigionieri e hanno probabilmente subito condizioni molto più dure rispetto ad alcuni dei prigionieri rilasciati nelle precedenti tornate.
Per sopravvivere molti hanno imparato l’arabo
Come riporta il Times of Israel, i racconti parlano di fame severa e periodi prolungati senza luce né contatti con l’esterno. Alcuni rilasciati hanno descritto di essere stati tenuti in celle sotterranee, isolati per giorni o settimane: niente luce, niente acqua, niente docce, stress mentale costante e paura, costretti a sopravvivere con una quantità minima di cibo che ha portato a perdita di peso drammatica e problemi medici a lungo termine. Queste condizioni sono state raccontate alle loro famiglie e ai medici che li hanno accolti al loro ritorno. Un ostaggio ha raccontato: «Mi hanno minacciato di morte, dicendo che non mi avrebbero mai trovato». Altri hanno riferito di essere stati rinchiusi in isolamento per giorni. Un prigioniero ha scoperto solo in cattività che la sua famiglia era stata assassinata il 7 ottobre. Per sopravvivere psicologicamente, molti hanno imparato l’arabo.
Violenza fisica e psicologica
Testimonianze personali comparse sui media nazionali descrivono anche atti di violenza fisica e psicologica. In alcuni casi i rilasciati hanno riferito di torture, legature prolungate che hanno causato ferite alla pelle e alle gambe, e cure mediche praticamente inesistenti o somministrate solo in modo approssimativo – senza anestesia o con scarse condizioni igieniche – aumentando il rischio di infezioni e danni permanenti. Le famiglie e le équipe mediche sottolineano la necessità di valutazioni specialistiche immediate per documentare e curare questi danni.
Channel 12 riferisce che l’ostaggio liberato Elkana Bohbot, un dipendente del Nova Festival, ha trascorso la maggior parte del tempo incatenato in un tunnel, dove ha perso ogni cognizione del tempo e dello spazio. Tuttavia, il rapporto afferma che Bohbot si ricordava del giorno delle sue nozze e insisteva per potersi fare una doccia in onore dell’anniversario. Il suo rapitore terrorista inizialmente rifiutò le richieste di Bohbot, ma alla fine cedette, gli tolse le catene e lo fece fare una doccia, si legge nel rapporto. Inoltre, Bohbot ha saputo che i suoi familiari chiedevano il suo rilascio e partecipavano a raduni in Piazza degli ostaggi a Tel Aviv.
Tra le storie raccolte, quella del giovane Rom Braslavski è emersa con forza e ripresa anche dal Jerusalem Post: il suo rilascio e il primo incontro con i familiari sono stati documentati dalle cronache, di parenti e medici che raccontano di uno stato di shock e di una condizione fisica estremamente compromessa al ritorno. Rilasciato lunedì dopo aver trascorso 738 giorni prigioniero di Hamas, è salvo per miracolo, ha affermato martedì suo zio Ze’ev, aggiungendo che se non ci fosse stato un accordo, sarebbe morto. Durante tutto il periodo di prigionia, Braslavski si è aggrappato alla sua fede, pregando spesso, cosa che, secondo suo zio, gli ha dato forza mentale. «La voglia di vivere, la forza interiore, la speranza di vederci, lo hanno aiutato ad andare avanti – ha dichiarato Ze’ev –. Lì scriveva a sé stesso, ma a un certo punto i terroristi gli hanno portato via ciò che aveva scritto. Parlava arabo con i suoi rapitori che ora parla correntemente. Di tanto in tanto aveva altri ostaggi con sé, come Sasha Troufanov, ma per la maggior parte del tempo era solo». Braslavsky, rapito insieme ad Ariel Cuneo dai Comitati di Resistenza Popolare insieme a dalla Jihad Islamica, sono stati tenuti separati nella Striscia di Gaza meridionale.
Ma i racconti agghiaccianti non finiscono qui: come rivela anche i24News, altre testimonianze documentano lo stato di detenzione degli ostaggi, aggiungendo nuovi dettagli sulle condizioni disumane in cui sono stati tenuti per mesi.
Durante la visita del Primo Ministro Benjamin Netanyahu all’ospedale Beilinson sabato, Eitan Mor ha fatto una rivelazione inquietante: avrebbe avuto conversazioni dirette con Izz ad-Din al-Haddad, capo dell’ala militare di Hamas, durante la prigionia. Il leader terrorista gli avrebbe detto con cinismo: «Se qualcuno se ne andrà per primo, sarai tu. Tuo padre non sta protestando, quindi ti riporteremo indietro per primo», lasciando intendere che più una famiglia manifestava pubblicamente, più tardi sarebbe stato rilasciato il proprio caro.
Un tentativo di fuga andato a male
Avinatan Or è stato uno dei prigionieri più estremi, rinchiuso per due anni in un isolamento totale dal mondo esterno. Raccontare alla famiglia il suo tentativo di fuga sembra quasi incredibile: «Ho provato a scappare», ha detto, ma il sogno di libertà è stato subito spezzato. Le conseguenze sono state spietate: «Per molto tempo Avinatan è stato incatenato come punizione, sempre sotto gli occhi vigili dei terroristi», ha riferito la famiglia. Il primo esame medico dopo il rilascio ha confermato ciò che tutti temevano: aveva perso tra il 30% e il 40% del suo peso corporeo. Quando finalmente è tornato alla vita, Avinatan ha chiesto un momento di intimità con la sua ragazza, l’ex ostaggio Noa Argamani. In silenzio, hanno condiviso quella che hanno definito la loro «prima sigaretta dopo due anni», un gesto piccolo ma carico di un significato immenso: libertà, resistenza, e il ritrovare un legame strappato alla violenza. Alle loro spalle, rimaneva il ricordo crudele di Hamas, che aveva diffuso il video del loro rapimento al Festival Nova, immagini diventate tristemente virali e simbolo della sofferenza vissuta, e insieme della speranza che la prigionia poteva finire.
Alon Ohel: incatenato e usato come scudo umano
Anche la testimonianza della famiglia di Alon Ohel descrive condizioni durissime. Per gran parte della prigionia Alon è rimasto nello stesso tunnel, incatenato e sottoposto a un costante terrore psicologico. Circa quaranta giorni fa è stato trasferito in un altro tunnel nel centro della Striscia di Gaza. «Abbiamo viaggiato per ore prima di arrivare», ha raccontato. Il trasferimento sarebbe avvenuto proprio mentre l’esercito israeliano annunciava di essere entrato a Gaza City: i rapitori lo usarono come scudo umano. Una volta in ospedale, un dettaglio ha colpito la famiglia: Alon camminava a piedi nudi. Quando il padre gli ha offerto dei calzini, lui ha risposto: «Voglio sentire la natura». «Ci siamo resi conto che il ragazzo che conoscevamo era tornato», ha detto la famiglia con sollievo. Alon ha persino ripreso a suonare il pianoforte, ma gli effetti fisici della prigionia restano evidenti: l’occhio sinistro danneggiato, schegge su mani, petto e testa.
Nimrod Cohen: «Ho sentito dire che hai causato un sacco di problemi»
Yehuda Cohen, padre di Nimrod, liberato dopo due anni di prigionia, ha raccontato: «Le sue condizioni sono eccellenti, è in buona salute fisica e mentale. Ho ritrovato lo stesso Nimrod che conoscevo». Ha descritto così la detenzione del figlio, che – pur apparendo visibilmente dimagrito ed emaciato nei video diffusi sui social – conserva un sorriso dolce e un portamento composto.: «Fino alla fine di febbraio era con i fratelli Horn, Sagi Dekel-Chen e David Cuneo. Dopo il loro rilascio, erano rimasti solo in tre. Durante la prigionia non è stato esposto ai media, tranne per una settimana, durante le Olimpiadi di agosto 2024, quando fu loro permesso di guardare la televisione». Nimrod ha subito abusi e lunghi interrogatori. Quando ha incontrato il padre, gli ha detto: «Ho sentito che hai causato un sacco di problemi».
Matan Zangauker sapeva degli sforzi di sua madre Einav per farlo tornare, cosa che ha sorpreso la famiglia. Era stato detenuto con altri ostaggi, ma dopo la liberazione di Edan Alexander era rimasto solo. Aveva perso molto peso e soffriva di problemi di salute, tra cui un’occlusione intestinale e dolori addominali. Dopo la liberazione di Alexander, Matan era in grave depressione e con disturbi mentali. Durante la prigionia ha attraversato numerosi tunnel e incontrato alti funzionari di Hamas. I fratelli Gali e Ziv Berman, a loro volta, sapevano di essere entrambi ostaggi, così come la loro amica Emily Damari, ma non si sono mai incontrati. Ziv ha dichiarato di essere stato sorvegliato da alti funzionari di Hamas e di aver ricevuto un trattamento leggermente migliore, con cibo supplementare.
Il difficile ritorno alla vita
Con il rilascio degli ultimi ostaggi sopravvissuti a Gaza, la comunità ebraica mondiale ha tirato un gran sospiro di sollievo collettivo. Le organizzazioni di sostegno si stanno mobilitando per assistere i rilasciati – cure mediche, supporto psicologico, riabilitazione. Ma il ritorno a casa è solo l’inizio. «La guarigione richiederà tempo, risorse e indagini che chiariscano quanto è davvero accaduto durante la prigionia», scrive The Forward.
I corpi degli ostaggi non ancora restituiti
L’arrivo dei rilasciati si sovrappone però a notizie drammatiche sui corpi di ostaggi non restituiti: in questi giorni sono state consegnate alle autorità israeliane alcune salme ed è aperta la questione dei restanti corpi ancora a Gaza. Il gruppo militante islamista ha affermato che localizzare i corpi è difficile. Come riferisce Reuters, «Hamas ha violato l’accordo relativo al rilascio dei corpi degli ostaggi trattenuti nella Striscia di Gaza. Di conseguenza, la leadership politica ha deciso di imporre una serie di sanzioni legate all’accordo umanitario raggiunto», si legge nella nota del COGAT. Mentre scriviamo, sette degli otto corpi degli ostaggi restituiti da Hamas negli ultimi giorni sono stati identificati. I loro nomi sono: Yossi Sharabi, il Capitano Daniel Perez, Bipin Joshi, Guy Illouz, Uriel Baruch, Tamir Nimrodi ed Eitan Levy. Un quarto corpo trasferito non appartiene a un ostaggio, secondo le IDF.
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