di Anna Balestrieri
“La situazione è schizofrenica: Israele è sotto attacco conformistico e dilagante in ogni spazio pubblico”, ha ricordato Marco Paganoni (israele.net) aprendo l’incontro online organizzato dall’Associazione Italia-Israele di Milano con il patrocinio degli Amici dell’Università di Gerusalemme. Dal boicottaggio dei farmaci Teva da parte di medici, alle campagne nelle rassegne cinematografiche, Israele si trova accerchiato da un’ostilità che sembra muoversi come “un gregge pavloviano che si muove all’unisono contro lo Stato ebraico”.
Una piazza che torna protagonista
Secondo Yosh Amishav, la mobilitazione di domenica scorsa è stata storica. “Dai massacri di Sabra e Shatila del 1982 non si era vista una piazza così: trecentomila persone”. Una folla imponente, che non si è mossa solo per la sorte degli ostaggi — anche se la loro tragedia basterebbe a scuotere la coscienza di chiunque — ma per affermare un ideale. “Quelle persone credono ancora nel sionismo dal volto umano dei padri fondatori, riaffermano il diritto di essere sionisti senza politiche becere”, ha detto Amishav.
La decomposizione dei valori
L’ex diplomatico ha parlato con amarezza di una “decomposizione dei valori fondamentali del Paese”: solidarietà, responsabilità collettiva, il principio che nessuno viene lasciato indietro. Oggi invece si vedono ostaggi ridotti a scheletri, immagini che ricordano Yad Vashem, mentre il governo non ferma le operazioni per salvarli. “I mostri non sono solo Hamas, sono anche i ministri pronti a sacrificare gli ostaggi pur di ricostruire gli insediamenti a Gaza”, ha denunciato.
Amishav ha ricordato inoltre che per oltre dodici anni sono affluiti fondi per più di un miliardo di dollari, finiti a finanziare Hamas: un paradosso che oggi mostra tutte le sue conseguenze.
Il nodo ostaggi e la guerra
Amishav ha ribadito con forza che l’esercito stesso ha spiegato più volte che non è possibile salvare gli ostaggi mentre continua l’offensiva militare. Nonostante ciò, il governo prosegue, assumendosi la responsabilità di mettere a rischio vite innocenti. La sua denuncia è netta: dal linciaggio degli ostaggi del 7 ottobre, alle scene di gioia nella Striscia, fino agli assalti della folla ai veicoli della Croce Rossa. “Scene indimenticabili, imperdonabili”, le ha definite.
Ha distinto però due fasi: dal 7 ottobre 2023 a marzo 2025, durante il cessate il fuoco, e il periodo successivo in cui Israele ha ripreso le operazioni militari. Se parte delle immagini diffuse sulla fame a Gaza sono manipolazioni, altre sono autentiche: “ed è inaccettabile”, ha ammesso Amishav.
Famiglie degli ostaggi nel mirino
Non bastasse il dolore, le famiglie degli ostaggi subiscono insulti, aggressioni verbali e fisiche, accuse di voler soltanto rovesciare Netanyahu piuttosto che riportare a casa i propri cari. Un clima che amplifica la frattura nella società israeliana. “Parlo duro per rispetto della verità: Netanyahu deve essere portato in tribunale”, ha concluso Amishav.
Della Pergola: “Il crollo dell’Occidente”
Sergio Della Pergola, professore emerito all’Università Ebraica di Gerusalemme, ha sottoscritto parola per parola le denunce di Amishav, aggiungendo però uno strato ulteriore: “il crollo vergognoso dell’Occidente”. Ha evocato il ricordo del 1934, quando il 99,7% del popolo italiano votò per i fascisti, e ha denunciato la stessa unanimità cieca che oggi domina festival come Venezia, le università, fino alle aggressioni personali da lui stesso subite, come quella al Mulino. “Non siamo al ’38, ma l’unanimità di migliaia di pecore all’assalto è uguale”, ha osservato.
Il professore ha ricordato un episodio emblematico: il rettore dell’Università di Pisa che, dopo aver letto l’intera Torah, ne avrebbe ricavato unicamente che essa insegna a non uccidere. A questa visione semplificata Della Pergola ha contrapposto un paragone provocatorio: “Abbiamo empatia per la vedova di Goebbels o per i morti di Dresda? L’Europa oggi prospera sul genocidio di milioni di tedeschi. Eppure nessuno lo considera un ostacolo alla sua legittimità”.
Da qui la sua polemica con Il Mulino, che aveva cancellato l’aggettivo “devastante” quando il demografo aveva parlato della tragedia di Gaza come un “danno collaterale devastante” ma intrinseco ad ogni guerra.
Lo sciopero come segnale di vitalità
Della Pergola ha sottolineato che lo sciopero del 17 agosto mostra una società viva, non rassegnata. Alcuni parlano di due milioni di partecipanti. E in Israele, a differenza dell’Occidente, c’è ancora dibattito: c’è chi manifesta per gli ostaggi deportati a Gaza, chi perché non c’è più uno Stato funzionante, ma non c’è unanimità conformistica.
Crisi politica e nuove alternative
Sul piano politico, il quadro è chiaro: il governo è in crisi e oggi perderebbe le elezioni. Posizioni estreme come quelle della ministra Orit Struck, secondo cui gli ostaggi possono anche morire, non rappresentano la popolazione. Anzi, i sondaggi mostrano che il 60-70% degli israeliani oggi è favorevole a chiudere la guerra, mentre in Cisgiordania e a Gaza il 70-80% dei palestinesi ha approvato il massacro del 7 ottobre.
All’orizzonte si affacciano alternative: Naftali Bennett, Avigdor Lieberman, Yair Golan — che ha ridato vita alla sinistra unendo Meretz e laburisti nei Democratici. Invece Benny Gantz e Yair Lapid sono in caduta libera. “Israele avrebbe bisogno di un nuovo partito repubblicano sul modello del Bush senior americano”, ha suggerito Della Pergola.