Le vite sospese degli ostaggi usciti dai lager di Hamas

Israele

di Luciano Bassani

Israele trattiene il fiato in attesa del ritorno dei venti ostaggi sopravvissuti a oltre un anno di prigionia nelle viscere di Gaza. Sono uomini e donne riemersi dalle cosiddette “Casseforti” di Hamas, i bunker e i tunnel sotterranei dove i rapiti del 7 ottobre 2023 sono stati tenuti prigionieri in condizioni estreme. Negli ospedali di Tel Aviv cresce l’attesa: sono pronti ad accoglierli.

Nella capitale e nel sud del Paese, gli ospedali sono in stato di massima allerta. Le luci restano accese nelle corsie designate per accogliere i reduci: medici, psicologi e infermieri si preparano a fronteggiare un’emergenza sanitaria e umanitaria senza precedenti.

“Molti di loro arriveranno stremati, con segni evidenti di deprivazione e traumi profondi. Il nostro compito sarà restituire loro salute, dignità e sicurezza”, spiega il dottor Amir Halevi, portavoce dell’ospedale Ichilov di Tel Aviv.

Sono stati individuati sei ospedali principali per l’accoglienza immediata, con due strutture d’emergenza vicine alla Striscia di Gaza per i casi più critici.

A Tel Aviv e nel centro del Paese opereranno il Sheba Medical Center, l’Ichilov (Tel Aviv Sourasky) e il Beilinson Hospital; al sud, pronti all’intervento immediato, i centri Soroka di Be’er Sheva e Barzilai di Ashkelon. In ciascuno sono state predisposte unità dedicate, ribattezzate “Returnee Wings”, per garantire privacy e assistenza personalizzata.

Al momento dell’arrivo, ogni reduce sarà sottoposto a un protocollo sanitario rigoroso:

• Visita medica urgente con la presenza, ove possibile, di un familiare.

• Screening infettivologico e test di gravidanza per le donne in età fertile.

• Esami per trombosi e coagulazione, dato l’alto rischio dovuto all’immobilità prolungata.

• Valutazione nutrizionale per individuare carenze di vitamina B12, Vit. D, zinco, potassio e altri micronutrienti.

• Monitoraggio del “refeeding syndrome”, per evitare complicazioni dovute alla reintroduzione improvvisa di cibo dopo mesi di malnutrizione.

“Ogni corpo racconta una storia di privazione — spiega la nutrizionista Yael Ben David —. Dovremo riabituarli lentamente alla vita normale, senza provocare danni ulteriori.”

Per tutti è previsto un periodo minimo di degenza di quattro giorni, necessario a stabilizzare le condizioni fisiche e psicologiche.

Le stanze, singole e insonorizzate, sono state predisposte in reparti isolati, con accesso controllato, visite limitate e divieto assoluto di immagini o riprese. Anche i familiari dovranno rispettare tempi graduali di riavvicinamento, per evitare shock emotivi nei primi giorni.

Ogni ospedale ha attivato team multidisciplinari composti da internisti, cardiologi, pneumologi, dermatologi, odontoiatri, infermieri, dietisti, psicologi, assistenti sociali e medici forensi incaricati di documentare eventuali abusi.

Una volta dimessi, gli ostaggi saranno seguiti da cliniche territoriali di riabilitazione che garantiranno il proseguimento delle cure fisiche e psicologiche nel lungo.

Le autorità sanitarie considerano la cura psichica il cuore del processo di recupero. Ogni reduce sarà sottoposto a una valutazione psicologica entro 24 ore dal ricovero.

Psicoterapia individuale, terapia del trauma, sostegno familiare e gruppi di reintegrazione accompagneranno i pazienti per mesi. “Il trauma della prigionia è invisibile, ma profondo — spiega la psichiatra Tamar Oren —. Lavoreremo per restituire loro fiducia nel mondo e nelle persone.”

La tutela della dignità personale è un punto fermo del protocollo. Le cartelle cliniche saranno codificate, le immagini dei pazienti vietate ai media e le interviste autorizzate solo previo consenso scritto.

Nei casi in cui emergano segni di violenza o torture, interverranno medici legali specializzati per documentare le prove, nel rispetto delle norme internazionali sui diritti.

Oltre ai traumi mentali, i medici prevedono gravi complicanze fisiche:

• Malnutrizione severa, perdita di peso, debolezza muscolare e osteoporosi.

• Problemi respiratori e dermatologici legati all’aria viziata e all’umidità dei tunnel.

Infezioni e parassitosi dovute a scarsa igiene e ambienti insalubri.

• Squilibri elettrolitici e danni cardiaci provocati da stress e disidratazione prolungata.

Mentre Tel Aviv si prepara ad accoglierli, Israele ritrova un filo di speranza.

“È il momento della cura e dell’ascolto — ha dichiarato il presidente Isaac Herzog — ma anche della giustizia. Nessuno dimenticherà ciò che è stato fatto ai nostri cittadini.”

Nei corridoi degli ospedali, tra mascherine e silenzi, si percepisce un’emozione trattenuta. Ogni letto pronto racconta una storia sospesa che, finalmente, può tornare a respirare.