Crisi di governo: Degel haTorah si ritira dalla coalizione, e Shas ci pensa. Mentre Bibi cerca di tenere in piedi il governo, in mezzo alla guerra e alla tragedia degli ostaggi

Israele

di Anna Balestrieri

Mentre gli Stati Uniti spingono per un accordo sugli ostaggi, il premier israeliano Beniamin Netanyahu affronta pressioni crescenti dall’estrema destra e dai partiti religiosi della coalizione. Il rischio di una crisi istituzionale si affianca alla prosecuzione della guerra a Gaza e alle tensioni sul fronte interno.

Crisi sulla legge sulla leva: Degel HaTorah annuncia il ritiro dalla coalizione

È infatti di lunedì 14 luglio la notizia che Degel HaTorah – una delle due componenti principali del fronte haredi – ha annunciato il proprio ritiro dalla coalizione a causa della legge sull’esenzione degli studenti delle yeshivot che, secondo loro, non fa progressi. La decisione è stata comunicata dopo la presentazione di una bozza ritenuta non conforme agli accordi presi con il Likud. “Il testo di legge presentato oggi si discosta da quanto promesso. I parlamentari di Degel HaTorah si dimettono e lasciano immediatamente la coalizione.”

Shas, altro partito ultraortodosso, ha per il momento rifiutato di firmare una mozione per lo scioglimento della Knesset, ma ha lasciato intendere che potrebbe uscire dal governo nei prossimi giorni se la legge non avanzerà. Senza Degel HaTorah, la maggioranza si riduce a 61 seggi; senza Shas, scenderebbe a 50, rendendo il governo tecnicamente minoritario. Tuttavia, la pausa estiva offre a Netanyahu un margine di manovra: la Knesset non sarà attiva e non sono previste votazioni imminenti.

Pressioni, dimissioni minacciate e cinismo politico

Durante l’intera giornata di lunedì, Netanyahu ha cercato di ricucire con i partiti haredim, convocando riunioni d’emergenza e tentando di mediare tra i loro rappresentanti e il Likud. In serata, una bozza condivisa sembrava profilarsi, ma alcuni esponenti ultraortodossi hanno subito raffreddato gli entusiasmi, definendo la proposta “problematicamente distante” da quanto promesso.

Tutto questo, mentre la morte dei tre soldati era già nota ai vertici politici, come ha sottolineato il deputato d’opposizione Naor Shiri: “Sapevamo dei caduti dalle 12:30. Eppure l’unica priorità del governo è stata trattare con chi rifiuta la leva, per non perdere il potere. È un tradimento dei nostri soldati.”

Ostaggi e guerra: il tempo come strategia

A quasi due anni dall’inizio dell’operazione militare a Gaza, il primo ministro Benjamin Netanyahu torna da Washington senza alcun accordo sugli ostaggi, nonostante le forti pressioni esercitate dal presidente statunitense Donald Trump. Le trattative rimangono bloccate: da un lato, Hamas chiede garanzie americane per la fine del conflitto; dall’altro, Israele insiste nel voler mantenere una presenza militare significativa a Gaza durante l’implementazione di una prima fase dell’accordo.

Intanto, il conflitto continua a mietere vittime. Tre soldati israeliani sono rimasti uccisi lunedì 14 luglio nel nord della Striscia, colpiti da un missile anticarro.

Nonostante i sondaggi mostrino una maggioranza netta della popolazione favorevole a un accordo complessivo per riportare a casa tutti gli ostaggi e porre fine ai combattimenti, Netanyahu denuncia una manipolazione mediatica, accusando la stampa israeliana di influenzare l’opinione pubblica.

L’obiettivo di Netanyahu: arrivare alla pausa estiva senza strappi

Secondo osservatori politici, la priorità del premier resta la tenuta della propria coalizione. In caso di necessità, sarebbe pronto a cedere alle richieste americane, ma punta a rinviare ogni decisione sostanziale dopo l’inizio della pausa estiva della Knesset, prevista a fine luglio. In quel momento, il governo potrebbe sopravvivere anche senza una maggioranza operativa, almeno temporaneamente.

Fonti vicine al governo parlano di un’intesa in due fasi: una prima con il rilascio parziale degli ostaggi (circa dieci dei venti ancora in vita) e la restituzione di alcune salme, seguita da un possibile ritorno alle operazioni militari per contenere le critiche dell’ultradestra.

L’allarme istituzionale di Herzog e la sicurezza interna

La Corte Suprema ha aperto la strada alla nomina del nuovo direttore dello Shin Bet, che potrebbe essere David Zini, vicino all’ala messianica della coalizione. L’opposizione avverte che una tale scelta potrebbe compromettere l’imparzialità dei servizi di sicurezza in vista di future elezioni.

In parallelo, è in corso un duro scontro istituzionale tra il governo e la consigliera legale Gali Baharav-Miara, minacciata di rimozione. La procuratrice Baharav-Miara aveva avviato un procedimento contro uno dei consiglieri più vicini a Netanyahu, Yonatan Urich, accusato di furto e diffusione di documenti riservati alla stampa estera. Il premier ha definito le accuse infondate, pur contraddicendo dichiarazioni precedenti in cui affermava di non essere a conoscenza dei fatti. A un’ora dall’audizione prevista per lunedì 14 luglio, la funzionaria ha annunciato che non vi avrebbe preso parte, denunciando l’intero procedimento come una farsa con esito già deciso. “È un’udienza di facciata, che legittima la rimozione del consulente legale per motivi impropri, come l’opposizione ad atti illegali o la promozione di indagini. È un attacco diretto allo stato di diritto.”

Anche il presidente Isaac Herzog è intervenuto con toni allarmati: “Siamo su una montagna russa senza freni. Bisogna fermarsi, prima che si cada nel baratro.”

Il governo regge, ma su fondamenta fragili: tra ostaggi ancora in mano a Hamas, minacce di crisi parlamentare, e un sistema giudiziario sotto pressione, la stabilità dell’esecutivo appare sempre più precaria.